CRISI, confronto globale. Terminano le Olimpiadi in Cina: Taiwan osservata speciale mentre Hong Kong ha la febbre…

Nonostante le capacità di proiezione di potenza, per Washington due crisi contemporanee (l’Ucraina e Taiwan) costituirebbero un serio problema. In attesa degli ulteriori sviluppi della situazione a Taipei si prosegue nel confronto con Pechino, questo mentre a Hong Kong si attende la resa dei conti politica che dovrebbe seguire l’ultima ondata di contagi da coronavirus

a cura di Giuseppe Morabito, generale in ausiliaria dell’Esercito italiano e attualmente membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation – Le olimpiadi Invernali di Pechino terminano e, mentre tutto il mondo volge preoccupato lo sguardo a cosa accadrà ai confini tra Russia e Ucraina, potrebbe accadere che la “tregua” olimpica giunta al suo termine riveli il riemergere di un’altra crisi, quella nell’Indo-Pacifico. Ovviamente l’intero mondo democratico e liberale auspica che ciò non avvenga.

SFRUTTARE L’OPPORTUNITA PER «METTERE ALLE CORDE» GLI USA

Riguardo alla crisi russo-ucraina, comunque, per il presidente americano Joe Biden, c’era ancora spazio per tornare a un tavolo di trattative. A similitudine di quanto fatto con Kiev, l’amministrazione americana ha promesso di rispondere a difesa di qualsiasi attacco recato dalla Repubblica Popolare cinese a Taiwan, l’isola a statuto democratico situata al largo delle coste della Cina continentale. Due crisi contemporanee da gestire costituirebbero comunque per Washington un serio problema e non è affatto escluso che gli strateghi del rifiorito asse sino-russo non abbiano esplorato l’ipotesi relativa a una messa alle corde degli americani attraverso lo sfruttamento di un’occasione del genere, tenuta in debita considerazione anche la non sempre performante azione sul piano internazionale del nuovo inquilino della Casa Bianca.

AMBIGUITÀ STRATEGICA

Per decenni la posizione degli Usa riguardo alla Repubblica di Cina-Taiwan è stata riassunta nella cosiddetta formula della «ambiguità strategica», tuttavia, negli ultimi anni gli americani al fine di rimarcare il loro sostegno a Taipei hanno intensificato il transito delle proprie navi da guerra attraverso lo Stretto di Taiwan, confermandosi nel loro ruolo di maggiori fornitori di materiali d’armamento all’alleato cinese. Taiwan è infatti uno stretto partner economico degli Usa, fornitore chiave di semiconduttori, cioè di quella componente essenziale in molti dispositivi elettronici). Inoltre, Taipei è una convinta sostenitrice della politica statunitense quale contrappeso all’ascesa della Repubblica Popolare in Asia.

«TAIPEI CINESE»

Allo scopo di non provocare le reazioni di Pechino i taiwanesi hanno tollerato a lungo il nome «Taipei cinese» quale parte di un compromesso raggiunto dal Comitato olimpico internazionale con la Cina Popolare al fine di consentire a ciascuna parte di inviare le proprie rappresentative atletiche e farle partecipare quindi agli eventi sportivi in programma. In questi giorni, le squadre olimpiche taiwanesi recavano la bandiera bianca del Taipei cinese sulle loro tute, con un fiore a cinque petali al centro al posto dello stendardo ufficiale di Taiwan.

L’inno nazionale è stato bandito dai Giochi invernali 2022, seppure gli organizzatori delle olimpiadi estive di Tokyo avessero consentito che esso venisse trasmesso come parte di una celebrazione della vittoria dopo che la squadra taiwanese aveva battuto quella cinese nella competizione del doppio di badminton maschile.

VINCERE PER TAIWAN

Sebbene il testo dell’inno sia stato modificato è noto che per taiwanesi vincere medaglie per Taiwan e per la propria gloria è più significativo dell’uguaglianza di trattamento con la Cina Popolare. In effetti, il 55,9% degli elettori dell’isola avevano rifiutato una proposta di mutamento del nome per le Olimpiadi in «Taiwan» nel referendum del 2018, poiché a loro interessava maggiormente che Taiwan fosse in grado di aggiudicarsi le medaglie, ottenendo così una preziosa visibilità nei media a livello globale. Per gli abitanti dell’isola è una buona cosa quando in quanto, compatti, iniziano a porre in discussione la narrativa preferita da Pechino e le restrizioni da questa imposte a Taiwan. In effetti, la partecipazione di Taiwan segue la tendenza in atto in Asia, laddove normalmente le Olimpiadi intese come evento politico vengono rifiutate, nella speranza del raggiungimento di un approccio sereno con la Cina Popolare, il cui potere economico impedisce ad alcuni Stati di addivenire a boicottaggi, poiché per i Paesi del sud-est asiatico l’economia cinese risulta essere un mercato insostituibile per le esportazioni, nonché fonte di investimenti diretti.

L’ESEMPIO: LE RITORSIONI DI PECHINO ALLA COREA DEL SUD

Si pensi al caso di Seul, che nel 2016 contro la volontà di Pechino ha installato un sistema antimissilistico fornitogli dagli Usa: il turismo cinese in Corea del Sud e le importazioni di prodotti coreani sono stati improvvisamente sospesi, inoltre Pechino ha imposto alla Corea sanzioni economiche che hanno causato perdite per sedici miliardi di dollari al solo settore turistico.

Ora che il sipario sulle olimpiadi è calato la città stato di Hong Kong inizia a vivere i suoi tre mesi peggiori dall’inizio della pandemia. I nuovi casi si moltiplicano ogni giorno e l’hub finanziario e commerciale popolato da quasi otto milioni di persone si trova ad affrontare un’epidemia che, se si verificasse nella Cina Popolare, scatenerebbe un blocco in tutta la città, con milioni di persone costrette a rimanere a casa anche per settimane.

PANDEMIA A HONG KONG

Hong Kong non chiuderà allo stesso modo. Il suo amministratore delegato (quando  fu eletta era sostenuta da Pechino), Carrie Lam lo ha assicurato il 15 febbraio scorso, seppure non abbia ammesso che la quinta ondata di contagi stava travolgendo le strutture sanitarie e i luoghi di quarantena provocando un gran numero di vittime tra la popolazione. Il governo centrale della Repubblica Popolare cinese, consapevole del fatto che un blocco alla ex colonia britannica non può venire imposto dalla capitale, ha scaricato la responsabilità primaria del controllo della pandemia su Hong Kong.

Ma la cautela dei dirigenti locali sta rendendo irrequieti i leader comunisti di Pechino. Sempre il 15 febbraio, i media ufficiali sino-popolari hanno riportato le dichiarazioni del presidente Xi Jinping, secondo cui il territorio di Hong Kong ha adottato «tutte le misure necessarie» al fine di controllare l’epidemia.

LA PREOCCUPAZIONE DI XI

Allo scopo di far passare un messaggio di preoccupazione da parte del presidente XI nei confronti degli hongkonghesi, un tabloid statale di Hong Kong lo ha raffigurato accanto al cuore di San Valentino. Una raffica di editoriali di commentatori e studiosi, istruiti da Pechino, hanno poi lamentato l’atteggiamento dei funzionari di Hong Kong, che «adorano i valori occidentali e non hanno fiducia nella strategia zero covid della Repubblica Popolare» per combattere ogni focolaio d’infezione.

Logicamente, la situazione in atto nella ex colonia britannica infastidisce non poco il governo centrale di Pechino, perché, più aumenta l’attenzione sui focolai della pandemia nella Cina Popolare e più l’opinione pubblica mondiale torna sul fatto che la pandemia e i danni correlati in tutto la terra originano proprio dagli errori commessi nella città di Wuhan.

IN ATTESA DELLA RESA DEI CONTI

Se i modelli elaborati dagli epidemiologi si riveleranno esatti, l’ultima ondata pandemica di Hong Kong diminuirà entro l’estate. A quel punto, però, seguirà una resa dei conti politica più ampia che preoccupa non poco Taiwan, in quanto nei desideri del Comitato centrale del Partito comunista cinese l’isola dovrebbe divenire una provincia della Repubblica Popolare e, se le andrà bene, assumere uno stato di governo simile a quello di Hong Kong.

A questo punto rimane solo da sperare che lo spirito olimpico sia stato fecondo di tolleranza democratica.

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