di Giuseppe Morabito, membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation – Il tanto atteso e sperato primo turno delle elezioni presidenziali in Libia non si è svolto nella data prevista, che sarebbe dovuta essere il 24 scorso. La ragione ufficiale del mancato appuntamento alle urne è stata che «l’elenco definitivo dei candidati non era stato pubblicato dall’Alta Commissione elettorale nazionale (HNEC)». Appariva evidente che non era stata applicata la legge elettorale al momento dell’accettazione di alcune candidature. Le contestazioni vertevano sulle numerose decisioni riscontrate palesemente errate, che avevano posto nelle condizioni alcuni candidati “controversi” di poter venire comunque inseriti nelle liste elettorali, contrariamente a quanto invece era previsto dalla legge che disciplina la materia. In sintesi: non sono state pubblicate le liste dei candidati.
MAGISTRATURA SCREDITATA
Parte degli osservatori internazionali ritengono che agendo in questo modo la magistratura libica avrebbe minato la propria attendibilità, aspetto che andrebbe considerato estremamente negativo per il futuro del Paese. Nel rimbalzo di responsabilità, non pochi intravedono il problema principale proprio nella legge elettorale. Come ha affermato un giudice libico in una delle sue sentenze, essa fissa un termine che sarebbe stato impossibile rispettare, perché fissava la data delle elezioni al 24 dicembre, prevedendo inoltre che i candidati rinunciassero agli incarichi amministrativi o politici in quel momento da loro ricoperti a partire dalla data del 24 settembre 2021. Ma quella legge è stata emanata in ottobre (…)
Non solo, un altro problema è stato quello dell’esclusivo respingimento delle candidature di coloro i quali erano stati condannati in via definita dei tribunali per una ristretta fascia di reati.
UNA LEGGE SCRITTA IN MODO DA NON FUNZIONARE
Ciò ha significato che qualcuno, incarcerato per omicidio ma in attesa del giudizio di appello, ha potuto lo stesso candidarsi alle elezioni. Una legge che parrebbe dunque sia stata scritta in maniera da non funzionare al momento della sua concreta applicazione. Sulla base del suo dettato, la magistratura ha conseguentemente preso in esame tutti i casi dal punto in cui questi si trovavano, rifiutando di assumersi responsabilità in ordine ai problemi che le avevano scaricato addosso dal HNEC. Infatti, quest’ultimo non avrebbe dovuto accettare la legge cosi come era stata promulgata, cioè oltremodo confusa.
Il conseguente rinvio delle elezioni presidenziali non è stato basato su eccezioni di natura costituzionale (che sarebbero state comunque deboli) o su controversie aventi a oggetto la legge medesima, ma (a parere degli esperti) sulla mancanza di volontà della maggior parte degli attori in causa di applicare il discutibile impianto normativo.
DISINTERESSE DEL POTERE PER LE ELEZIONI
Molti degli attuali membri della Camera dei Rappresentanti libica (HoR) probabilmente non sarebbero stati rieletti, poiché agli occhi degli elettori il loro rendimento e i risultati conseguiti in questi ultimi anni non sono stati sufficienti. Dopo le elezioni, con ogni probabilità il destino dell’Alto Consiglio di Stato (HCS) sarebbe quindi stato quello di scomparire, venendo sostituito con nuovi membri, al pari del futuro dei membri dell’attuale Governo di unità nazionale (GNU), messo quantomeno in dubbio.
Il risultato è che al momento nulla è cambiato e le potenti milizie armate che controllano illegalmente Tripoli continuano a convivere bene con il governo del presidente Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, che si guarda bene dall’interferire con i loro affari. È inoltre opinione comune che nessuno di quelli che oggi gestiscono il potere in Libia abbia un reale interesse a giungere a libere elezioni nel Paese.
L’AGENDA PERSONALE DI DBEIBEH
Una tabella di marcia, che sia davvero realistica e concretamente applicabile, andrebbe fissata facendo riferimento con chiarezza alla sua durate e alle sue fasi, che comprenda poi l’accettazione di una carta costituzionale «definitiva», qualcosa che funga da assicurazione legale sul fatto che non ci potranno essere elezioni nei prossimi anni. I motivi sono chiari e non è realistico che le rinviate elezioni presidenziali (e anche quelle parlamentari) si tengano in tempi brevi. Alcuni gruppi di pressione interni starebbero sollecitino nel senso dello svolgimento per lo meno delle elezioni parlamentari, tuttavia, anche queste questa evenienza appare improbabile.
Dal canto suo, Dbeibeh continua a portare avanti la sua agenda di primo ministro come se nulla fosse accaduto e, potrebbe benissimo riuscirci, almeno fino a quando godrà della protezione fornitagli delle milizie di Tripoli e Misurata «a lui fedeli».
IL «PREMIER DELLE MILIZIE»
Esiste però la possibilità che la Camera dei Rappresentanti possa riunirsi e tentare di designare un nuovo primo ministro, come annunciato da alcuni suoi membri e richiesto da altri, ma se questo premier designato non sarà in grado di ottenere la protezione delle milizie che contano, ebbene, egli non si troverà certo nelle condizioni di assumere l’incarico.
Al momento sussistono dubbi di natura legale sulla posizione di Dbeibeh e, in questo senso, il procuratore generale Al Sadiq al-Sour, definito «uomo retto e rispettabile», giocherà un ruolo importante nelle decisioni su quest’ulteriore diatriba. Nel caso in cui Dbeibeh esca “pulito” dall’accusa, molto probabilmente si assisterà a una prosecuzione dello status quo, con l’abbandono dell’Est e del Sud del Paese e un contestuale peggioramento della situazione socio-economica, che interesserebbe soprattutto la popolazione comune.
QUANTO POTRÀ DURARE QUESTO RINNOVATO CAOS?
A questo punto la domanda che molti si pongono è per quanto tempo questa drammatica situazione verrà accettata da coloro i quali non beneficiano del rinnovato caos. Si prospetta una spaccatura sempre più marcata tra la Tripolitania e le altre regioni della Libia, soprattutto di quelle petrolifere, e non è da escludere la formazione di governi regionali che, però, creeranno a loro volta crescenti tensioni, infine, non ci sarà da stupirsi se riesploderanno violenti i combattimenti tra le fazioni in contrasto.
Non c’è certezza tra gli analisti della situazione libica sul fatto se sia o meno stata una buona decisione quella di dare un assegno in bianco all’esecutivo presieduto da Dbeibeh attraverso la recente dichiarazione congiunta di Usa, Regno Unito, Francia, Italia e Germania, dato che sussiste il ragionevole dubbio che questa scelta non faciliterà la disponibilità del premier al compromesso.
LO SGUARDO ATTENTO DI ROMA
Bisogna infine tenere nella dovuta considerazione che né la Russia e neppure la Turchia hanno finora concordato il ritiro delle loro forze, mercenarie e non. Questi due rilevanti attori sullo scenario libico cercheranno dunque di influenzare i possibili mutamenti, rallentando o addirittura impedendo quelli che non gli faranno comodo. Attualmente sia Mosca che Ankara non navigano in buone acque, poiché sono afflitte da problemi non indifferenti, quali Kazakistan e Ucraina per Putin e la situazione interna (ma non solo) per Erdoğan, che vede precipitare in basso, molto in basso, l’economia del suo paese.
Per quanto concerne l’Italia, l’auspicio è che si continui a tenere in massima considerazione (e attenzione) la perdurante crisi governativa libica, dato che da quel paese della sponda sud del Mediterraneo proviene un’importante flusso di rifornimenti di materie prime energetiche, che per l’Italia risultano vitali. Un blocco dei rifornimenti dalla Libia aggraverebbe sensibilmente il problema del momento, cioè il “caro bollette”.