MEDIO ORIENTE, armi di distruzione di massa. «Rogue State», ispezioni Onu e accordi internazionali: lessons learned alla luce degli ultimi sviluppi

Mentre nel porto siriano di Latakia i vigili del fuoco faticavano a spegnere il furibondo incendio provocato dallo strike dell’aviazione militare israeliana sui depositi di Assad ritenuti «sospetti», da più parti si è ripreso a riflettere sull’efficacia di certi approcci al problema degli arsenali chimici, batteriologici e nucleari detenuti da quelli che l’Occidente definisce «stati canaglia». Intanto, a Parigi la polizia ha arrestato un uomo accusato di contrabbandare in Siria materiali utili alla produzione di armi chimiche

L’attacco effettuato il 28 dicembre scorso dall’aeronautica israeliana contro alcuni depositi situati nel porto siriano di Latakia aveva un obiettivo duplice: distruggere materialmente alcuni sistemi d’arma inviati dall’Iran ai suoi alleati e proxi nella regione e, allo stesso tempo, rimarcare la determinazione dello Stato ebraico nei confronti di ogni tentativo di alterare sensibilmente gli equilibri militari in quel particolare e delicato teatro.

LE ARMI DEI «PROXI»

Quella parte di Siria controllata da Bashar al-Assad, infatti, permane un punto di smistamento fondamentale in ordine agli aiuti di natura militare provenienti da Teheran. Un importanza ancora maggiore qualora i sistemi d’arma in questione, per le loro caratteristiche intrinseche e/o per il loro grado di sofisticazione tecnologica, siano in grado di alterare sensibilmente gli equilibri sui vari fronti della guerra infinita del Medio Oriente. Questo spiega anche l’intervento ammonitorio pubblico del ministro della Difesa israeliano seguito al raid su Latakia dei bombardieri con la stella di Davide, seppure Israele non avesse ufficialmente riconosciuto la responsabilità dell’attacco. Tuttavia, a volte i gesti sono molto più eloquenti delle parole, infatti, Benny Gantz ha parlato nel corso di una visita alla base aerea di Ramat David, sede di alcuni squadroon di F-16I della Israel Air and Space Force.

SECONDO ATTACCO A LATAKIA IN UN MESE

Un bombardamento che ha provocato una serie di enormi esplosioni a catena nel porto siriano, probabili effetti della deflagrazione di stock di munizionamenti che vi erano stati depositati (dal canto loro, le autorità siriane hanno dichiarato che i container colpiti contenevano pezzi di ricambio per auto e olio), con incendi durati poi molte ore. Al riguardo, Gantz ha poi ammonito Damasco affinché «impedisca all’Iran di operare all’interno dei suoi confini, poiché le forze di Difesa israeliane continueranno a intervenire qualora necessario al fine di contrastare le attività poste in essere da Teheran».

Si tratta del secondo attacco israeliano alla città portuale questo mese, che segue quello del 7 dicembre, una ripetizione che potrebbe essere indice dell’importanza dell’obiettivo colpito. Questo anche alla luce del fatto che, sebbene Israele effettui continuamente raid contro obiettivi iraniani in Siria, raramente colpisce la zona di  Latakia, poiché nelle vicinanze si trova una importante base militare russa.

L’ARSENALE CHIMICO DI DAMASCO

La guerra, non soltanto cinetica bensì anche di propaganda, con le sue cortine fumogene di parole e immagini rendono come sempre poco chiaro il reale quadro dei fatti. Insomma: non sappiamo quali materiali d’armamento c’erano dentro quei container nel porto di Latakia o se Assad abbia o meno superato qualche linea rossa, tuttavia è possibile trarre alcune conclusioni.

Come già rilevò a suo tempo il professor Ely Karmon in un proprio articolo pubblicato sul quotidiano progressista israeliano il 28 luglio 2015, sia la CIA che gli ispettori dell’Onu pervennero tardivamente alla conclusione che Damasco non aveva ottemperato pienamente ai termini dell’accordo precedentemente raggiunto con Usa e Russia, che gli imponeva di smantellare il proprio arsenale chimico, 1.300 tonnellate di materiali d’armamento di distruzione di massa delle quali Assad aveva ammesso il possesso.

LE RIVELAZIONI DEL GENERALE AL-SAKET

Nel suo articolo, l’analista presso l’Interdisciplinary Center di Herzliya (IDC), sottolineò inoltre come i siriani avessero invece sviluppato nuove capacità, utilizzando per altro ancora armi chimiche nel corso di attacchi sui fronti di battaglia della guerra civile che stava dilaniando il Paese arabo. Nel 2014 lo aveva fatto nella maniera più discreta possibile ricorrendo al cloro per effettuare attacchi tattici di minore portata in aree di importanza strategica quali i quartieri della capitale e alcuni settori nord-occidentali. All’impiego di quelle testate chimiche non corrispose però una significativa  reazione da parte della comunità internazionale.

Infine, basandosi sulle dichiarazioni rese dopo la sua defezione dal generale Zaher al-Saket (ufficiale della V Divisione dell’esercito siriano e responsabile del programma chimico militare), il professor Karmon concluse affermando che il gruppo alawita al potere a Damasco stava eludendo i termini dell’accordo del 2013 attraverso il trasferimento di parte delle armi chimiche ai propri alleati in Libano e in Iran.

IERI, OGGI E DOMANI

Sempre in Siria, nel corso del conflitto anche le forze di Islamic State hanno impiegato agenti chimici, probabilmente gas mostarda, lo hanno fatto la prima volta a Kobane nel luglio del 2014 contro i combattenti dell’Unità di protezione del popolo curdo (YPG) e la popolazione civile della città. In seguito, il 23 gennaio del 2015 poi, sempre gli jihadisti del «califfato» compirono un attentato suicida con sostanze chimiche contro i peshmerga nel nord dell’Iraq. Successivamente, Islamic State ha tentato di fabbricare rudimentali proietti recanti testate chimiche allo scopo di impiegarli negli attacchi contro le posizioni curde in Iraq e Siria.

Grazie a un salto temporale ci trasportiamo ai giorni nostri, nel sud della Francia in procinto di festeggiare il capodanno.

L’ARRESTO IN FRANCIA DI UN PRESUNTO TRAFFICANTE

La notizia è passata quasi inosservata da un’opinione pubblica europea concentrata soprattutto sull’evoluzione della pandemia da coronavirus e inquietata dai possibili scenari economici futuri europei. Ebbene, lunedì scorso le autorità di sicurezza di Parigi hanno tratto in arresto un cittadino franco-siriano sospettato di aver fornito al governo siriano materiali in grado di venire utilizzati nella produzione di armi chimiche.

A carico dell’uomo, che ufficialmente si trovava in vacanza con la propria famiglia e che ora si trova in stato di custodia cautelare in carcere, pende l’accusa preliminare di complicità in crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Gli investigatori ritengono che, in violazione dell’embargo internazionale, egli abbia fatto ricorso a una società di trasporti in Francia e negli Emirati Arabi Uniti allo scopo di fare pervenire i materiali in Siria. Le autorità francesi non hanno tuttavia fornito dettagli riguardo ai materiali che il sospettato avrebbe trasportato.

Condividi: