Un recente rapporto diffuso da un gruppo di attivisti per il rispetto dei diritti umani, ripreso in seguito dal quotidiano “New York Times”, ha reso noto che le autorità della Corea del Nord hanno giustiziato pubblicamente almeno sette persone condannate per aver guardato o distribuito video K-pop (la musica pop sudcoreana) nell’ultimo decennio.
Il rapporto è stato pubblicato il 15 dicembre 2021 dal Transitional Justice Working Group e si basa su interviste a quasi settecento persone fuoruscite della Corea del Nord. Esso riporta testimonianze di esecuzioni pubbliche avvenute nel periodo nel quale al potere a Pyongyang vi era già Kim Jong-un, evidenziando come uno dei reati più comuni fosse guardare o distribuire video sudcoreani.
IL K-POP SECONDO KIM YONG-UN
Kim Jong-un ha definito il K-pop un «cancro vizioso», lamentandosi del fatto che la cultura sudcoreana stia corrompendo «l’abbigliamento, le acconciature, i discorsi, i comportamenti» dei nordcoreani, secondo quanto riportato dal NYT. Jean Lee, Senior fellow del Wilson Center, ha spiegato alla CNN che la Corea del Nord vede come una minaccia per i giovani «guardare film sudcoreani e vedere com’è la vita per i coreani al di fuori del loro Paese, perché stanno vedendo immagini di Seoul, di come bene stiano vivendo, come liberamente stiano vivendo».
Il Times ha ricordato che la distribuzione di programmi di intrattenimento sudcoreani nella Corea comunista può essere punita con la morte in forza di una legge introdotta nel Paese nel 2020, inoltre, il mese scorso è stato condannato a morte un uomo che avrebbe trafficato in Corea del Nord la serie Netflix sudcoreana Squid Game.
ELIMINAZIONI FISICHE NASCOSTE
Il nuovo rapporto sui diritti umani afferma che le famiglie delle persone giustiziate sono state spesso costrette ad assistere all’esecuzione, esso rileva inoltre che la Pyongyang ha risposto alle critiche mossegli a livello internazionale modificando le proprie modalità di esecuzione fisica, selezionando i siti dove eseguire le sentenze di morte in maniera che risultino più facili da controllare allo scopo di prevenire fughe di notizie.
L’autore principale del rapporto Ahyeong Park ha affermato che «gli omicidi perpetrati dallo Stato continuano a verificarsi con modalità che potrebbero non essere così visibili dall’opinione pubblica come in passato», aggiungendo che «ciò a cui dobbiamo prestare maggiore attenzione sono le uccisioni non pubbliche, come gli omicidi segreti o compiuti al chiuso».
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