ECONOMIA, ambiente. COP26 di Glasgow, un consuntivo: senza infamia né lode aspettando il prossimo vertice del Cairo

Ad avviso del professor Mario Baldassarri, «non è stata una occasione sprecata, poiché è andata meno male del previsto, seppure siano state delineate delle prospettive limitate». Necessario un «comitato esecutivo associato a una Sanità e a un welfare globale». Il nodo sulle emissioni climalteranti e il rinfacciamento delle responsabilità. Nella città scozzese c’era un convitato di pietra che tutti conoscevano perfettamente ma che nessuno ha voluto nominare: il nucleare. Il progetto «Ignitor» sviluppato da uno scienziato italiano al MIT: verso la fusione nucleare

«Non è stata una occasione sprecata poiché è andata meno male del previsto, seppure delineando scarse prospettive per il futuro», questo il commento del professor Mario Baldassarri sull’ultimo vertice mondiale sul clima che ha recentemente avuto luogo nella città scozzese. «È positivo che duecento paesi abbiano firmato un pezzo di carta, che quindi concordano su alcune indicazioni, se vogliamo un po’ labili, ma comunque va considerato positivo».

l’ex viceministro dell’Economia, attualmente presidente del Centro studi economia reale, è intervenuto come di consueto nel corso della trasmissione “Capire per conoscere”, questo lunedì condotta dal direttore di Radio Radicale Alessio Falconio.

LA «GLOBALIZZAZIONE NECESSARIA»

In secondo luogo, sottolinea Baldassarri, «la verifica di questi fragili impegni non viene rimandata sine die, bensì al COP27 del Cairo, cioè all’anno prossimo, dunque a breve termine».

Cina e India alla fine hanno fatto valere le loro posizioni, tuttavia, ciò che è emerso da questo vertice è che un’assemblea di così tanti Stati è in grado di concordare un documento generico, però continua ancora una volta a segnalare la carenza di un governo globale di un mondo globale». Egli si riferisce a un “comitato esecutivo” formato dai maggiori paesi del Pianeta che possa assumere concordemente le decisioni di maggiore importanza e poi le faccia rispettare.

A Glasgow questa carenza è stata evidenziata in particolare da due temi di rilevanza fondamentale: i vaccini e l’innalzamento della temperatura media terrestre.

SANITÀ E WELFARE MONDIALE

«Nel primi caso – argomenta Baldassarri – sembrerebbe che non si sia ancora compreso che la pandemia è un problema globale che necessita di una risposta altrettanto globale, perché traferire ai paesi del terzo e quarto mondo un miliardo di dosi di vaccini non è assolutamente sufficiente, dato che ne occorrerebbero una dozzina di miliardi ogni anno, resi disponibili ai quattro miliardi di persone che non sono assolutamente nelle condizioni né di produrli, né di distribuirli e tantomeno di inocularli». E qui l’economista ritorna sul concetto di «Sanità e di welfare mondiale», almeno in una sua forma embrionale nella quale i paesi più ricchi si facciano carico degli oneri del trasferimento a quelli in via di sviluppo sia la tecnologia che le capacità produttive, oltreché quelle organizzative.

MUTAMENTI E RISCALDAMENTO TERRESTRE

«Nel secondo caso assistiamo a un “tiro alla fune” che ha quale posta lo scaricamento delle responsabilità in ordine all’emissione in atmosfera di gas climalteranti che provocano i mutamenti climatici».

Neppure questo è emerso a Glasgow, poiché se si assumono i dati delle emissioni di CO₂ dall’inizio dell’era dell’industrializzazione a oggi si rileva come gli Usa vi abbiano contribuito per un complessivo 25%, l’Europa per il 22%, la Cina per il 12,7% e l’India per il 3 per cento. «Quindi – riflette Baldassarri -, se facciamo riferimento allo stock attuale di anidride carbonica risulta evidente come oltre la metà di queste emissioni siano state generate dai complessi industriali di Stati Uniti d’America ed Europa».

VECCHI E NUOVI FLUSSI CLIMALTERANTI

Se vengono invece presi in considerazione i nuovi flussi di emissioni climalteranti nel Pianeta, «da adesso in poi, si noterà come da questi flussi, sulla base della localizzazione regionale della loro sorgente, cioè in sostanza dove vengono materialmente prodotti i beni e i servizi, gli Usa continuano a contribuire per il 14,5%, l’Europa scende al 9%, mentre la Cina balza a un 28% e l’india al 7%», tuttavia incide anche un terzo elemento.

«È vero che l’emissione di CO₂ si  determina al momento della produzione – egli prosegue -, ma in seguito bisogna anche vedere chi poi consuma questi beni e servizi esportati nel resto del mondo, con la conseguente insorgenza dell’interrogativo sulle concrete responsabilità relative alle emissioni climalteranti».

CHI INQUINA E CHI CONSUMA 

In termini di consumi, infatti, questi stessi dati forniscono un quadro diverso, con gli Usa che nei flussi futuri continueranno a determinare all’incirca il 17% delle emissioni, l’Europa scenderà ulteriormente al di sotto dell’8%, la Cina sotto il 6% e l’India a meno del 2 per cento. «Questo in ragione del fatto che, se attualmente la Repubblica Popolare emette il 28%, una volta esportati nel resto del mondo buona parte della sua produzione, di fatto, attribuisce larga parte della propria quota di emissioni ai paesi consumatori dei suoi prodotti, con la citata quota residuale pari al 6% determinata dai propri consumi interni».

Nel corso della trasmissione, Baldassarri ha poi introdotto un ulteriore elemento connesso con la materia trattata: la quota pro capite di tonnellate di CO₂.

QUOTE «PRO CAPITE» DI ANIDRIDE CARBONICA

Quelli ai quali si è fatto cenno in precedenza sono dati in valori assoluti, ma i “pesi” in termini di popolazioni sono ovviamente molto diversi da paese a paese. In questo senso, gli ultimi dati ricavati prima della pandemia da coronavirus indicano una produzione di CO₂ pro capite negli Usa pari a 16 tonnellate, in Europa 6, in Cina 7 e in India 1,8.

«Ma, se la punta della produzione di anidride carbonica è causata dalla generazione di energia elettrica (consumi pro capite in kWh), ancora una volta primeggiano gli statunitensi con 12 kWh, gli europei 7, i cinesi 4 e gli indiani 2. Si tratta dei dati che conducono al “tiro alla fune” che porta allo stallo nelle decisioni».

AI LATI OPPOSTI DEL TAVOLO NEGOZIALE

«I paesi industrializzati che hanno creato il loro benessere inquinando il resto del mondo – conclude il suo ragionamento Baldassarri -, oggi, giustamente, tentano di imporre regole per ridurre l’inquinamento nel futuro, sollevando però le eccezioni di Cina e India, che stano entrando adesso in un meccanismo di crescita e benessere». Essi infatti temono un blocco del loro sviluppo attraverso la limitazione, se non addirittura il divieto di ricorso a fonti energetiche fossili.

«Il nodo di fondo è quello sull’unico accordo possibile, raggiungibile a un tavolo del G8, cioè del governo del mondo, e non di un’assemblea quale è l’ONU o la COP, qualcosa che si può raggiungere soltanto se non si sfugge a due aspetti, il primo di natura economica, l’altro di natura politica.

TRASFERIRE RISORSE PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE

«Ogni accordo deve prevedere un trasferimento di risorse dai paesi avanzati a quelli sottosviluppati, ma non nei termini del sussidio o dell’aiuto umanitario, bensì di indennizzo quale ristoro dell’inquinamento provocato negli ultimi decenni dal mondo industrializzato, risorse che, ovviamente andranno trasferite in funzione degli investimenti nella trasformazione e nella tecnologia, in modo da spingere il terzo mondo verso un buon livello di sviluppo ottenuto a fronte del minimo livello di inquinamento. Ma chi sarà demandato all’assunzione di tali decisioni?».

E questo è il secondo aspetto considerato, quello politico, che riconduce il ragionamento di Baldassarri al concetto di “comitato esecutivo” mondiale che andrebbe istituito anche partendo dall’interno dei vari consessi internazionali di respiro globale oggi esistenti.

IL CONVITATO DI PIETRA

«Tutti lo conoscono molto bene, ma nessuno osa nominarlo: è il nucleare. Sappiamo – conclude Baldassarri – che in prospettiva la soluzione del problema energetico del pianeta Terra deriverà dalla fusione nucleare, cioè un’energia pulita infinita che spingerà verso lo zero i prezzi delle fonti energetiche. Una volta che non è prevedibile prima dei prossimi trenta anni. Nel frattempo, l’unica fonte che potrà permetterci la transizione energetica sarà il nucleare di IV generazione».

Ma in Italia, oltre agli stretti vincoli di natura politica al nucleare, si eccepisce che vanno considerati i costi elevati di realizzazione di nuove centrali e quelli relativi allo smaltimento delle scorie.

ITALIA E NUCLEARE

«C’è una falsa informazione che viene fatta circolare da anni, quella che l’Italia sia uscita dal nucleare. L’Italia è uscita dalla produzione di energia nucleare, ma il Paese continua a rifornirsi ininterrottamente per il suo 26% del suo fabbisogno  di energia elettrica da Paesi confinanti che a producono attraverso le loro centrali nucleari. Se noi sommassimo tutto quello che abbiamo pagato finora solo ai francesi per la loro energia, oggi ci troveremmo con una cifra pari a quella sufficiente a costruire otto nuove centrali nucleari. Al tempo del referendum che venne indetto a seguito del disastro di Černobyl, sull’onda emotiva i cittadini italiani scelsero di non produrre più energia nucleare sul territorio del loro paese, ma certamente non di non consumare più energia elettrica prodotta con il nucleare all’estero. Quindi attualmente l’Italia è un paese che consuma una quota consistente (1/4 del totale) di energia elettrica prodotta da centrali nucleari».

VERSO LA FUSIONE NUCLEARE: IL PROGETTO «IGNITOR» DEL MIT

«In prospettiva è evidente che del grosso delle risorse necessarie allo sviluppo della fusione nucleare se ne debba fare carico lo Stato, ma al riguardo va considerato che da più di venti anni uno dei migliori fisici al mondo, un italiano di nome Bruno Coppi, che lavora al Massachusetts Institute of Technology (MIT) collabora al progetto Ignitor, sviluppato congiuntamente da americani, russi e italiani, nell’ambito del quale venti giorni fa si è riusciti a sperimentare per la prima volta una fusione nucleare col plasma. Ma si tratta di una iniziativa che incontra difficoltà a causa della scarsità di finanziamenti».

A393 – ECONOMIA, AMBIENTE: CONCLUSA LA COP26, senza infamia né lode verso il prossimo vertice del Cairo del 2022. Il consuntivo di Glasgow è senza infamia né lode, tuttavia, ad avviso del professor MARIO BALDASSARRI, «non è stata una occasione sprecata, poiché è andata meno male del previsto, seppure siano state delineate delle prospettive del tutto limitate».
L’ex viceministro dell’Economia e delle Finanze, attualmente presidente del Centro studi economia reale, afferma la necessità di un «comitato esecutivo associato a una Sanità e a un welfare globale». Il nodo sulle emissioni climalteranti e il rinfacciamento delle responsabilità. Nella città scozzese era presente un convitato di pietra, qualcosa che tutti conoscevano perfettamente, ma che nessuno ha voluto nominare: il nucleare. Il progetto «Ignitor» sviluppato da uno scienziato italiano al MIT: verso la fusione nucleare.
Questi i questi temi trattati nel corso della trasmissione “Capire per conoscere”, andata in onda lunedì 15 novembre 2021 sulle frequenze di Radio Radicale, che ha visto anche la partecipazione di ALESSIO FALCONIO, direttore dell’emittente radiofonica che ha condotto la trasmissione.
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