Alla fine il generale Abdel Fattah al-Burhane, capo del Consiglio sovrano di transizione, è apparso dagli schermi della televisione sudanese per leggere un proclama alla popolazione nel quale si annunciava la riassunzione da parte dei militari dei pieni poteri nel Paese e la sostanziale esautorazione le autorità civili.
«Mi affido alla dignità del popolo sudanese per la terza volta – ha egli dichiarato , quando nel corso della rivoluzione del dicembre scorso i giovani hanno voluto costituire un consiglio di transizione le forze armate hanno risposto. Noi ribadiamo quindi che le forze armate hanno deciso di consegnare il potere a un governo eletto dal popolo, poiché la nostra presenza qui è transitoria».
PROCLAMATO LO STATO DI EMERGENZA
Proseguendo il suo discorso al-Burhane ha rilevato come oggi, dopo due settimane di relativa stabilità, il conflitto sia nuovamente acuito e, «in su questo aspetto ha convenuto anche il premier Hamdok (attualmente agli arresti, n.d.r.) quando ha affermato che le forze armate sono fondamentali alla transizione del Paese, soprattutto a seguito del varo della legge che le ha riformate».
Il generale golpista ha quindi affermato che i militari auspicano la partecipazione popolare al processo di ricostruzione del paese e vogliono che esso si attui in un clima di stabilità, allo scopo di giungere poi a libere elezioni. «Per questo – ha concluso al-Burhane – abbiamo ritenuto necessario imporre lo stato di emergenza nazionale», atto che comportato la sospensione di alcune garanzie costituzionali oltre allo scioglimento del Consiglio di sovranità nazionale.
INQUIETANTI SEGNALI
La situazione si fa dunque grave. I militari si oppongono dunque a una transizione democratica che porti all’assunzione dei pieni poteri da parte dei civili, lo si era compreso dalla resistenza delle forze armate nel confronto interno al Consiglio transitorio, laddove un accordo tra le parti è apparso da subito molto difficile. Infatti, già venti giorni fa erano stati ravvisati i primi senali di crisi, con un apparente tentativo di colpo di stato bloccato sul nascere con estrema discrezione, che ha visto alcune unità militari fare rientro nelle loro caserme.
Dopo due anni di speranze il Sudan ripiomba dunque nuovamente nell’incubo della dittatura e della violenza , con i vertici civili dello stato incarcerati o estromessi dalle loro funzioni, a cominciare dal premier Abdallah Hamdok, la cui abitazione è stata circondata dai soldati.
EVITARE LA CARNEFICINA
Le proteste di piazza seguite al colpo di stato, con i manifestanti che hanno dimostrato davanti al comando supremo delle forze armate a Khartoum, sono state represse dagli uomini dall’esercito e dai paramilitari loro alleati. Negli incidenti, che hanno visto i manifestanti erigere delle barricate nelle strade del centro della capitale, sono rimaste ferite numerose persone.
I sindacati hanno lanciato diversi appelli alla popolazione affinché essa non si rechi a protestare nella zona del quartier generale delle forze armate, invitando la gente a rimanere nei propri quartieri di residenza evitando così altri spargimenti di sangue provocati dalla reazione armata dei soldati che potrebbero portare a una carneficina.
IL SUDAN È ISOLATO
Nelle ultime ore i militari hanno proceduto a diversi arresti di esponenti politici e della società civile, tra i quali i ministri che facevano parte del Consiglio sovrano, cioè dell’organo misto fino a oggi presieduto dal generale al-Burhane, che da qui a poche settimane, sulla base del dettato della costituzione sudanese, avrebbe dovuto lasciare il posto a un governo formato da civili.
Ora, bloccata la naturale alternanza al vertice dello stato, i militari hanno estromesso la componente civile dal Consiglio. Essi hanno anche isolato il dall’esterno interrompendo la connessione Internet e chiudendo l’aeroporto principale del Sudan; i militari hanno inoltre preso il controllo dei mezzi di informazione pubblici, arrestando o allontanando dai loro luoghi di lavoro alcuni dipendenti della radio e della televisione.