di Giuseppe Morabito, generale dell’Esercito italiano in Riserva, attualmente membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation – Il modo in cui è stato condotto il ritiro delle truppe dall’Afghanistan e il conseguente trionfo dei talebani hanno avuto un negativo impatto politico sul presidente Biden, fatto che non ha sorpreso analisti che hanno seguito il conflitto e che, in alcuni casi, presumevano che la pubblica opinione avesse perso interesse nelle vicende di quell’area.
DISIMPEGNO DALL’AFGHANISTAN
I sondaggi ora mostrano come la gestione Biden dell’Afghanistan sia uno dei fattori che hanno influito negativamente sui suoi indici di gradimento e di approvazione del proprio operato, avvicinandoli a quelli di Gerald Ford e Donald Trump nella stessa fase delle loro presidenze. La maggior parte degli americani era favorevole alla fine della guerra, ma il divieto dei talebani di frequentare le scuole alle donne e ragazze, l’abbandono al loro triste destino di molti afgani che avevano cooperato con Washington e le continue violenze dei terroristi dell’Isis, sembrano aver avuto un impatto negativo che non ha eguali.
Il calo di consensi di Biden è individuato dagli esperti soprattutto tra i gruppi di voto, cruciali per i democratici, delle donne e dei giovani. Nonostante anni di indirizzo tacciato quale islamofobo e antimmigrati da parte del presidente Trump, parrebbe, comunque, che oggi quasi il settanta per cento degli americani sostenga il reinsediamento, nel paese, dei cooperanti rifugiati afgani, dopo che siano stati sottoposti a controlli di sicurezza.
UN PRESIDENTE IN CRISI
L’importanza politica dell’Afghanistan, ovviamente, può diminuire nei suoi effetti negativi per l’attuale presidenza se l’argomento specifico resta fuori dai titoli dei giornali e dal radar delle televisioni. La gestione da parte di Biden della pandemia e dell’economia sarà chiaramente importante per gli elettori nelle elezioni di medio termine ma gli analisti sostengono che le fallimentari modalità di ritiro hanno in tutti i casi già contribuito a mettere in dubbio sia la credibilità sia l’approvazione elettorale di Biden che si era presentato come un leader assolutamente preparato e, di conseguenza, affidabile.Nathaniel Rakich, una apprezzata analista ha dichiarato che: «L’Afghanistan, e anche la variante delta, hanno frantumato quella tranquillità e evidenziato la domanda relativa al fatto che Biden fosse davvero così competente».I membri democratici del Congresso e gli operatori umanitari degli Stati Uniti, alleati nominali dell’amministrazione corrente, hanno anche affermano che la scarsa pianificazione e la mancanza di coordinamento che hanno afflitto il ritiro Usa sono un problema che potrebbe ripetersi.
LA QUESTIONE DI TAIWAN
Forse per tentare di spostare, rapidamente e per qualche tempo, l’attenzione in un’altra area del mondo, giovedì scorso, Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti hanno un «impegno» a difendere Taiwan mentre l’isola affronta una crescente pressione militare e politica da parte di Pechino.
Il presidente ha affermato che gli Stati Uniti hanno un «impegno» a proteggere Taiwan mentre la Cina comunista continua a dichiarare e minacciare di imporre con la forza, la propria sovranità sull’isola. Pechino ha addirittura «esortato» Washington ad agire con cautela sulla questione di Taiwan.
A Biden è stato chiesto, in un evento organizzato dalla CNN, se gli Stati Uniti sarebbero intervenuti in difesa della Repubblica di Cina-Taiwan, che Pechino continua a rivendicare, in spregio alla storia e alla democrazia, come parte integrante del proprio territorio.
«Sì, abbiamo l’impegno a farlo», è stata la risposta, in quella che sembrerebbe essere una novità rispetto alla trascorsa politica statunitense su Taiwan.
AMBIGUITÀ STRATEGICA
Va ricordato che, sebbene sia tenuta per legge a fornire al governo di Taipei i mezzi per difendersi, Washington ha perseguito a lungo una politica di “ambiguità strategica” sull’eventuale intervento militare in caso di attacco cinese.
«La Cina, la Russia e il resto del mondo sanno che possediamo lo strumento militare più potente nella storia del mondo», ha detto il presidente. che ha proseguito dichiarando «non voglio una guerra fredda con la Cina. Voglio solo che la Cina capisca che non faremo un passo indietro, che non cambieremo nessuna delle nostre opinioni».
La Casa Bianca ha poi chiarito che non c’è stato alcun cambiamento nella politica, ribadendo una dichiarazione simile di un funzionario statunitense nell’agosto 2021.
In particolare, «le relazioni di difesa degli Stati Uniti con Taiwan sono guidate dal Taiwan Relations Act», ha detto un portavoce della Casa Bianca, aggiungendo che «sosterremo il nostro impegno ai sensi dell’accordo, continueremo a sostenere l’autodifesa di Taiwan e continueremo a opporci a qualsiasi cambiamento unilaterale allo status quo».
AGIRE CON CAUTELA
In conclusione: «Il presidente non ha annunciato alcun cambiamento nella nostra politica e non c’è alcun cambiamento nella nostra politica».
Come anticipato, venerdì il ministero degli Esteri cinese ha risposto alle dichiarazioni di Biden «esortando» il presidente americano ad agire con cautela sulla questione.
«La Cina non ha spazio per compromessi su questioni che riguardano i suoi interessi fondamentali», ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin.
Per quanto riguarda Taiwan, isola con ventitré milioni di abitanti ed esempio della democrazia nell’Indo-Pacifico, la Presidente della Repubblica Tsai Ing-wen ha ribadito che saranno sempre i cittadini di Taiwan a decidere del loro futuro.
Fonti delle forze armate di Taipei hanno fatto trapelare il messaggio che non ci sarebbe grande preoccupazione, perché la Difesa taiwanese è assolutamente preparata a difendere la libertà costruita negli anni e, soprattutto, non ha alcuna intenzione di assumere un atteggiamento che possa provocare una escalation da parte di Pechino (in pratica a Taipei non cederanno alle continue provocazioni).
MESSAGGI MOLTO CHIARI
Il messaggio evidenzia la consapevolezza di non avere la certezza di poter contare, nell’eventualità del tentativo di invasione da parte della Cina Popolare, sul supporto esterno, ma al contempo quest’ultima deve essere cosciente che il prezzo da pagare per un attacco potrebbe essere molto alto.
Vedremo presto se Pechino continuerà nell’atteggiamento aggressivo e se il presidente Biden e la sua struttura governativa saranno capaci di farsi rispettare facendo tesoro della negativissima esperienza afghana.