Nel caso le trattative per la formazione del nuovo governo in Germania dovessero portare a una coalizione «semaforo», cioè formata da socialdemocratici, verdi e liberali, Christian Limner, leader di quest’ultimo partito (la Fdp), potrebbe divenire ministro delle finanze della Repubblica Federale. Dei liberali tedeschi, tra l’altro, si ricordano alcune cose in particolare: in primo luogo l’attivismo di Hans Dietrich Genscher e della sua formazione politica nel favorire la secessione di Slovenia e Croazia dalla Federazione jugoslava (preludio alla sua cruenta disintegrazione consumatasi nel corso degli anni Novanta), poi, in anni successivi, l’estremo rigore dogmatico applicato al tempo della crisi greca, paese della zona euro colpevolmente iperindebitato che aveva inoltre «taroccato» i suoi documenti di bilancio.
IL PRIMO ESECUTIVO DELL’ERA POST-MERKEL
Ebbene, grazie ai voti ottenuti nelle urne la settimana scorsa, i liberali tornano a costituire un referente obbligato nei negoziati in atto per la formazione del primo esecutivo dell’era post-Merkel.
L’argomento è stato trattato dal professor Mario Baldassarri e dal giornalista Claudio Landi nel corso dell’ultima trasmissione della serie “Capire per conoscere”, andata in onda sulle frequenze di Radio Radicale il 27 settembre scorso.
«Il perno della teoria economica degli ultimi settanta anni, la cui elaborazione risale però a più di duecento anni fa – ha esordito l’ex viceministro dell’Economia e delle Finanze che attualmente presiede il Centro studi economia reale –, si articola sulla chiara distinzione tra risparmio e investimento. Si tratta di un concetto di assoluto buon senso, che però nei parametri di Maastricht non è presente, poiché in essi si fa esclusivo riferimento al deficit totale, senza distinguere tra spesa corrente e investimenti, e ne viene fissato un limite al 3%, che deve tendere a zero. In concreto, questo significa che tutte le entrate dello Stato devono essere sufficienti alla copertura delle spese pubbliche, investimenti inclusi».
L’ERRORE ORIGINARIO COMMESSO A MAASTRICHT
Un «evidente assurdo» ad avviso di Baldassarri, che rinviene l’origine dell’errore commesso a Maastricht nell’assunzione quale parametro, oltre al deficit totale, anche dell’avanzo primario, che secondo l’ex viceministro «è una pura definizione aritmetica, mentre al centro dei parametri andrebbe invece collocato il risparmio pubblico, cioè l’avanzo di parte corrente, risorsa che può venire allocata per finanziare gli investimenti, ricorrendo in parallelo anche ai mutui». Logica conclusione di questo ragionamento è che i parametri di Maastricht vanno modificati.
«Negli ultimi dieci anni – ha al riguardo proseguito Baldassarri -, sulla spinta impressa dai cosiddetti “rigoristi”, che io definisco “ottusi”, l’Italia ha tentato di rispettare i parametri non riuscendovi, ma questo ha fatto sì che venissero incrementate la spesa corrente e le tasse, tagliando al contempo gli investimenti, cioè ciò su cui si basa il rilancio dell’economia e la conseguente ripresa dell’occupazione. Una politica rigorista sì, ma anche masochistica».
LO «SPETTRO» DEI LIBERALI ALEGGIA NEI CORRIDOI DEL BUNDESTAG
Venendo poi agli equilibri nel dopo elezioni in Germania, Landi ha sottolineato come «una certa destra economica tedesca che rinviene in Limner il suo alfiere, qualora divenisse troppo influente all’interno del futuro esecutivo, potrebbe porre seri problemi di natura politica».
«È bene che a guidare la Germania vada qualcuno che ci capisca di teoria economica – ha replicato Baldassarri -, perché dovrà assumere decisioni che impatteranno notevolmente sia sul suo paese che sull’Europa. Uno statista che non sia cristallizzato si posizioni ideologiche per altro smentite dalla storia».
«Tuttavia – ha eccepito Landi -, anche il possibile cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz, politico navigato che da ministro delle finanze ha concretamente realizzato Next Generation EU, dovrà faticare per difendere questa sua creatura». «Era ovvio che dopo sedici anni di cancellierato di Angela Merkel l’elettorato tedesco votasse per un cambiamento – ha dunque affermato Baldassarri -, ma di fatto, adesso questi due storici partiti, se si esclude una riedizione della grosse koalition, possono esclusivamente formare un governo con liberali e verdi, ma senza però stravolgere le linee di politica economica che hanno seguito negli ultimi anni. Quindi, se Scholz diventerà cancelliere dovrà scegliere con attenzione il suo ministro delle finanze, evitando politici che siano la contraddizione vivente di ciò che ha realizzato nel recente passato in Germania e in Europa».
LE CONSEGUENZE DEL VOTO PER L’ITALIA
Il risultato delle elezioni tedesche impongono inoltre all’Italia un’agenda economica seria, che includa non soltanto investimenti ma anche riforme. E qui, secondo Baldassarri, si rinviene un secondo paradosso: «Da una parte i rigoristi e dall’altra gli scialacquoni fanno “pappa e ciccia”, perché se noi nel nostro paese non assumeremo una posizione netta sugli investimenti da realizzare con il PNRR e con le tre grandi riforme strutturali, risultati che ci permetteranno di sederci al tavolo europeo con le carte in regola, non avremo conseguentemente l’autorevolezza e la forza per discutere sulle regole comuni preordinate alla crescita e allo sviluppo di tutti i paesi europei a beneficio soprattutto delle future generazioni».