L’argomento è stato discusso, anche nei suoi aspetti economici, dal professor Mario Baldassarri e dal giornalista Claudio Landi nel corso dell’ultima trasmissione della serie “Capire per conoscere”, andata in onda sulle frequenze di Radio Radicale oggi, 20 settembre 2021.
«A mio parere – ha esordito l’ex viceministri dell’Economia e delle Finanze che attualmente presiede il Centro studi economia reale – gli Usa in questo momento sono come un treno fuori dai binari», poi, sempre riferendosi all’ormai noto AUKUS, cioè l’accordo tra Stati Uniti d’America, Regno Unito e Australia, sul quale egli concorda con i più, affermando che «ha bypassato l’Europa per fronteggiare la Cina».
NECESSARIA LA MASSIMA COMPATTEZZA DELL’EUROPA
«In questo momento è necessari la massima compattezza dell’Europa – ha quindi aggiunto -, perché Washington sta perseverando nella sua strategia di contenimento della Repubblica popolare cinese escludendo, però, i suoi alleati. Aveva iniziato a farlo Donald Trump col suo “America first” e ora, paradossalmente, questo accordo trilaterale stipulato da Biden si pone sulla falsariga della politica della precedente amministrazione repubblicana».
Secondo Baldassarri «dobbiamo tuttavia porci anche degli interrogativi riguardo alle ragioni che riconducono questa scelta all’Europa: le istituzioni politiche del Vecchio continente sono fragili, direi addirittura inesistenti, e ancora non è stato portato a termine un reale processo di integrazione continentale».
In effetti non ha tutti i torti, poiché su temi di fondamentale importanza come la politica estera, la difesa, la sicurezza e l’immigrazione, non esiste una rappresentanza comune a livello politico, non esiste un governo europeo.
NON TUTTO AVRÀ LUOGO NEL PACIFICO
«D’altro canto – ha proseguito l’economista – sono cinquanta anni che attraverso la NATO gli americani finanziano la Difesa europea: ora, si può anche non condividere la linea seguita dall’amministrazione democratica, però un riequilibrio nel quadro della NATO, anche nei termini delle risorse da impiegare, lo si sarebbe dovuto raggiungere già da tempo».
Ad avviso di Baldassarri esisterebbe poi un terzo elemento della questione: «Credo che gli americani commettano un errore nel ritenere che ormai il futuro sia nel Pacifico, con il conseguente confronto con Pechino in quello scacchiere, perché questo non deve significare buttare a mare l’alleanza sull’Atlantico, dato che per avere forza nel confronto in Asia, Washington dovrà mantenere una solida alleanza anche in Atlantico. Questo ovviamente se si ragiona sulla base di una strategia che funzioni, ma questo è un grosso problema…»
SI INVERTONO I RUOLI SULLO SCENARIO MONDIALE
Si tratta di un altro importante argomento, che si affianca a quello del riequilibrio economico, infatti, giocano un loro ruolo fondamentale anche il “peso politico” delle potenze e quello delle strategie concordate nelle sedi multilaterali e internazionali.
«È a tal punto semplice la soluzione: per competere efficacemente con la Cina le due sponde dell’Atlantico devono restare unite, ma per ottenere questo risultato esse andranno riequilibrate sia nei termini dell’apporto di contributi (spese per la Difesa) che in quelli programmatici, nell’elaborazione delle strategie».
Ma l’accordo trilaterale AUKUS bypassa tutto questo e, di fronte all’attuale quadro geoeconomico e geopolitico, «che – ricorda Baldassarri – deriva dall’Afghanistan dei talebani», mutato e stravolto, lo scenario mondiale si complica ulteriormente. «E – sottolinea il giornalista Claudio Landi – mentre Washington persegue questa sua strategia, Pechino invece chiede di aderire al Trattato Trans-Pacifico, cioè a uno strumento chiave per l’egemonia mondiale (che fu degli americani, ma dal quale essi si disimpegnarono), basato sull’economia, la libertà dei commerci e l’intensificazione delle collaborazioni internazionali».
DALL’EQUILIBRIO DELLA FORZA A QUELLO DELL’ECONOMIA
Siamo dunque di fronte a due strategie diverse, una basata sulle armi (come i sottomarini nucleari australiani), l’altra sull’integrazione economica, con la prima (quella americana) che presuppone una impostazione del confronto con la superpotenza emergente, cioè l‘avversario sistemico cinese, che comporti l’impiego dell’armamentario della Guerra fredda, quindi di strumenti che appartengono al passato.
«Si è passati dall’equilibrio della forza a quello dell’economia – hanno concluso i due interlocutori -, ma oggi, più che le armi in sé, è una solida base tecnologica che conferisce forza e potere, meglio ancora se condivisa con i propri alleati».