COMUNICAZIONE, immagine e lavoro. Come cambiano e perché i codici di abbigliamento: uno studio rivela i nuovi paradigmi

L’abito fa il monaco? «Back to office», i sette consigli di «outfit» per un ritorno in ufficio in grande stile: archiviate le ferie si torna al lavoro, ma qual è l’outfit perfetto per un rientro impeccabile, fresco e allo stesso tempo elegante? Ecco il vademecum della «personal stylist» e consulente d’immagine Paola Farina per non sbagliare mai anche in questa stagione

Come tutti gli anni, allo scoccare di Settembre, si rientra in ufficio. Da sempre sinonimo di ritorno e ripresa, Settembre è un mese di transizione, che segna la linea di demarcazione tra le vacanze e il lavoro. E tra i tanti escamotages che si possono trovare per rendere questo passaggio il più delicato possibile, vi è di certo il rientro con stile, dettato dalla scelta dell’outfit perfetto, con capi d’abbigliamento capaci di coniugare le esigenze di eleganza e decoro del luogo di lavoro con gli ultimi caldi estivi.

Sul posto di lavoro sussistono una serie di regole non scritte che costituiscono il galateo del buon dipendente (vestito bene) e che negli anni hanno subito diversi cambiamenti, complici il momento storico e i giudizi diffusi. Secondo uno studio condotto da quattro studenti del Central College (Iowa, USA), Dress Codes in the Workplace: Effects on Organizational Culture , negli ultimi 30 anni i codici di abbigliamento di molte aziende statunitensi sono mutati drasticamente, specie nelle aree di casual, business casual e formale. Questa analisi, inoltre, ha confermato come il codice di abbigliamento adottato in un ambiente lavorativo abbia un effetto diretto sul comportamento dei dipendenti e sulla loro produttività, oltre a essere un mezzo di identificazione del ruolo sia per chi indossa sia per chi interagisce.

FORMALE, BUSINESS CASUAL E CASUAL

Dall’era di Internet in poi, le aziende hanno cominciato a percepire gli effetti negativi di un codice di abbigliamento troppo casual, rendendosi conto che incoraggiava un’atmosfera troppo amichevole e promuoveva la mancanza di autorità. Ma lo scoglio principale restava il concetto di business casual, che include dentro di sé un ampio ventaglio di possibilità entro il quale il datore di lavoro deve muoversi, anche grazie al supporto di un consulente d’immagine professionista che evidenzi i dos and don’ts.

Sono state avanzate diverse ipotesi sulla correlazione tra informalità e produttività in azienda: mentre inizialmente questa dipendenza era favorevole, col tempo si è trasformata in un motivo di distrazione per i dipendenti. Un’indagine  che ha coinvolto mille dirigenti HR, infatti, ha evidenziato che circa il 50% delle aziende con politiche casual denunciava ritardi, assenteismo e frivolezza. Una politica di abbigliamento formale, invece, oltre ad appiattire le gerarchie, genera fiducia nei dipendenti e nei clienti e promuove la sicurezza in se stessi e nelle proprie competenze. L’impiegato che veste in modo formale, infatti, è ritenuto più credibile e ha più possibilità di essere considerato idoneo alla promozione.

Per bilanciare professionalità e ambiente rilassato, dunque, le aziende farebbero bene ad alternare casual e formalità, così da incentivare prestazioni di livello e mantenere sempre alto il morale dei team. Lo studio conclude che, pur non esistendo un gold standard del codice di abbigliamento, vi è un sistema nel quale identificarsi in base a cultura e valori aziendali. La policy di abbigliamento, infatti, in quanto vettore di tali fattori, è un elemento primario da conoscere e tutelare.

«Da quando questi studi sono stati svolti il mondo è mutato: oggi il lavoro vive di flessibilità, la separazione tra casa e ufficio è sempre meno marcata e le regole di bon ton seguono la moda del momento – spiega Paola Farina -, tuttavia, resta inalterata la necessità di essere coerente con i valori e la visione della realtà in cui si vive, in azienda così come nel privato. Compito di noi professionisti è saper interpretare questa realtà e le persone al suo interno, coglierne l’essenza e creare un’immagine che sia fedele specchio dell’anima».

RIENTRO CON STILE (IN UFFICIO)

Stabilita quindi l’importanza di un outfit conforme alla policy aziendale, resta da trovare l’abbinamento perfetto. Paola Farina, Personal Stylist e Consulente d’Immagine, quarantaquattro anni, con venti anni di esperienza nel campo della moda e della comunicazione  e una formazione oltreoceano, ha stilato un vademecum in sette punti per il rientro in azienda, a seconda che si tratti di un ambiente formale, creativo o strutturato.

  • Se l’ambiente è formale, come nel caso della finanza o delle società di consulenza, si può optare per un tailleur, nella triade blu-nero-grigio, una borsa rigida, un tacco medio modello Oxford e un trucco leggero, che faccia risaltare i colori della pelle e degli occhi senza essere eccessivo; per gli uomini, invece, è perfetto un classico completo giacca e pantalone, ad esempio nero o fumo di Londra, da abbinare a scarpe stringate e, se si vuole dare un tocco in più, a un paio di bretelle. E se durante la settimana vige la regola del classico, il venerdì (Casual Friday) si può osare con un colore pastello. Etichetta vuole che siano banditi i sandali, anche nelle giornate più afose;
  • Se si tratta invece di un ambiente meno strutturato, come un ufficio pubblico, dove esiste una gerarchia di ruoli ma i rapporti sono rilassati, la gonna a pieghe tinta unita (per le donne) e un pantalone chiaro con chelsea Boots (per gli uomini) sono sicuramente la soluzione migliore. Anche qui, per mantenere uno stile sempre consono, andrebbe evitato il sandalo;
  • Creatività chiama creatività: se si lavora in un’agenzia di comunicazione o pubblicità, in televisione o nella moda, la libertà di movimento è maggiore, proprio per l’assenza di gerarchie. Un’idea? La giacca con un bottone per lui e i leggins con maxi camicia per lei, da abbinare nel primo caso a una classica sneaker in pelle e nel secondo a una ballerina e un accessorio vistoso;
  • Un evergreen adatto a tutte le circostanze, versatile nella forma e nelle fantasie, è il blazer, da abbinare a un paio di jeans o un pantalone in cotone. Per lui, invece, è perfetto un classico pantalone kaki con camicia bianca o blu;
  • Per le donne, un’opzione leggermente più ricercata ma decisamente chic è il twin-set abbinato a una pencil skirt, declinabile a seconda del proprio stile personale, che può essere abbinata a un tacco più o meno impegnato: solitamente, si tende a non superare i 7 cm, per questioni pratiche, nonostante di recente la moda e le PR abbiano sdoganato questo tabù;
  • Per gli uomini, invece, il consiglio per un outfit semplice ma di classe verte su una camicia bianca, ideale per occasioni formali e rilassate, con pantaloni taglio slim fit in blu, verdone o beige;
  • Infine, per lei, una soluzione molto in voga negli ultimi tempi, capace di coniugare freschezza ed eleganza: l’abito chemisier, tinta unita o a righe, con una cintura a stringere la vita e una tacco medio in pendant.

«Si tratta comunque di regole e non dogmi, poiché bisogna sempre tenere in considerazione il ruolo che si ricopre in azienda e l’occasione specifica: se si deve partecipare a un meeting importante, la cura dell’abbigliamento sarà ancora più approfondita – ella afferma -, di solito, quando seguo lo stile di una persona, per prima cosa cerco di arrivare all’essenza della sua personalità e di togliere la polvere dalla vera identità stilistica. Solo in questo modo si arriva a definire uno stile realmente personale».

PAOLA FARINA

Da sempre appassionata di moda, sin da quando era bambina, Paola Farina consegue la maturità classica prima di vincere una borsa di studio per frequentare Image Fashion & Communication, il primo istituto italiano per la formazione di redattori e stylist professionisti. Collabora da subito con gruppi quali Mondadori e Condé Nast e aziende come Coin e Deutsche Bank.

Dopo una laurea in Scienze della Comunicazione trova impiego in Rai, poi si occupa di comunicazione aziendale per società come Sky e Elsevier. Frequenta anche un master in beni di lusso al Politecnico di Milano e oggi, con una certificazione conseguita presso il Fashion Institute of Technology di New York, è Consulente d’immagine, Personal Stylist e Personal Shopper per privati e aziende.

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