AEROSPAZIO, industria. «Pericolo giallo» a Pordenone, Pechino si accaparra della tecnologia militare italiana: il «golden power» svuoterà le «scatole cinesi»?

Procura della Repubblica e Guardia di Finanza del capoluogo della Destra Tagliamento hanno portato alla luce una complessa struttura di società off shore nella maggior parte dei casi «shell company» riconducibili allo Stato cinese. Sei persone denunciate per violazione della legge sui materiali d’armamento (185/1990), tre sono cittadini italiani e tre cinesi; ipotizzate anche violazioni alla normativa sulla tutela delle aziende di rilievo strategico nazionale

Nel Pordenonese emissari di Pechino hanno cercato di ottenere sofisticate tecnologie occidentali da applicare in campo militare, in particolare nel settore aeronautico. È emerso dalle indagini della Guardia di Finanza e della Procura della Repubblica della città della Destra Tagliamento, che hanno portato alla luce una ramificata struttura riconducibile agli organi istituzionali della Repubblica Popolare cinese. Sei le persone denunciate per violazione della legge sui materiali d’armamento (la 185/1990), tre di cittadinanza italiana (tra i quali un ufficiale pilota dell’Aeronautica militare in pensione e tre di quella cinese. All’esito della complessa indagine sono state inoltre ipotizzate violazioni alla vigente normativa sulla tutela delle aziende di rilievo strategico nazionale, il cosiddetto «golden power».

L’inchiesta condotta dalle Fiamme gialle pordenonesi aveva preso avvio a seguito di una serie di accertamenti effettuati su delega dell’Autorità giudiziaria, aventi a oggetto l’aviosuperficie ricompresa in un’area del demanio militare in località San Quirino, sulla quale era stata riscontrata una sinergica occupazione, in assenza di autorizzazioni, da parte di un aeroclub privato (formalmente una onlus attiva nella protezione civile, attività rivelatasi poi inesistente) e di una società che fabbricava aeromobili e veicoli spaziali, operante inoltre nella progettazione e nella produzione di velivoli a pilotaggio remoto (SAPR, o UAV, unmanned aerial vehicle), macchine impiegate anche a fini militari e, a questo scopo, certificati in sede NATO in quanto agli standard a quest’ultima rispondenti.

Si tratta di sistemi forniti anche alle Forze armate italiane, con le quali l’impresa pordenonese, la Alpi Aviation, aveva ottenuto alcune commesse, impresa che nel passato aveva collaborato anche con Leonardo S.p.A..

LA «LONGA MANUS» DI PECHINO SULL’ITALIA

Nel 2018 il 75% del capitale sociale della società era stato acquistato da una «shell company» con sede nella zona amministrativa speciale di Hong Kong, un acquisto che, tuttavia, evidenziava la netta sproporzione tra le quote sociali precedenti e quelle rivalutate nel corso dell’operazione negoziale: 3.995.000 euro rispetto agli originari 45.000, cioè una cifra novanta volte superiore.

La società estera acquirente era stata costituita ad hoc immediatamente prima dell’acquisto di quella pordenonese, e risultava inoltre priva di risorse finanziarie commisurate all’operazione, questo nonostante la compravendita in oggetto e i conseguenti aumenti di capitale richiesero investimenti pari a oltre cinque milioni di euro da effettuare in territorio italiano.

Le Fiamme gialle, ripercorrendo in senso inverso la filiera di «scatole cinesi» sono risalite anche alla reale identità degli autori dell’operazione conclusa a Hong Kong, portata a termine attraverso il ricorso a una complessa e ramificata rete di società di comodo direttamente legate allo Stato cinese nella figura della SASAC (Commissione per la supervisione e l’amministrazione dei beni di proprietà dello Stato), che a sua volta opera per il tramite del Management Commitee of Wuxi Liyuan Economic Development Zone, cioè dal vertice dal quale originava tutta la catena fittizia di shell company.

Secondo gli inquirenti italiani il perfezionamento di tale subentro nella società del Pordenonese sarebbe stata frutto di modalità opache, tese proprio a non fare emergere la riconducibilità all’ingombrante nuovo socio straniero.

Questo poiché la doverosa variazione della compagine societaria al Ministero della Difesa (che per legge è tenutario del registro delle imprese di armamento) veniva comunicata soltanto due anni dopo l’acquisto e dietro ripetuti solleciti del dicastero di Via XX Settembre. Un differimento nel tempo che ha consentito alla società pordenonese di continuare a sottoscrive importanti contratti nel suo settore di attività;

inoltre, veniva omesso di comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri l’acquisto da parte di soggetti esteri del 75% del capitale della società italiana, in aperta violazione delle statuizioni dettate dal Decreto legge nr. 21/2012, recanti norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della Difesa e della Sicurezza nazionali, nonché sulle attività di rilevanza strategica in quelli dell’energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni, il cosiddetto «Golden Power».

La strana acquisizione da parte cinese non rispondeva a scopi speculativi o di investimento, ma esclusivamente all’acquisizione del know how tecnologico e produttivo, anche di natura militare, posseduto dall’impresa italiana, conoscenze per il quale si era proceduto alla pianificazione della delocalizzazione aziendale presso il polo tecnologico di Wuxi, non lontano da Shanghai.

In passato la S.r.l. di San Quirino era stata «attenzionata» poiché indicata essere fornitrice alla Repubblica Islamica dell’Iran di materiali rientranti tra quelli inclusi nella categoria dual use. Su di essa gravarono i sospetti nutriti dagli Stati Uniti d’America, che la ritennero in affari con la teocrazia sotto embargo. Nel 2009 il Dipartimento di Stato di Washington esortò l’ambasciata statunitense a Roma a chiedere all’Agenzia delle Dogane italiana l’effettuazione di una verifica riguardo alla segnalazione ricevuta dall’intelligence dal Giappone, secondo la quale Alpi Aviation aveva funto da intermediaria (allora si affermò che aveva anche potuto farlo involontariamente) tra la società nipponica Tonegawa-Seiko e l’iraniana Farazeh Equipment Distributor Company, questo per far pervenire a Teheran componenti per velivoli a pilotaggio remoto, in particolare di servoattuatori modello PS050 e SSPS105, apparecchiature che comandano il movimento delle superfici mobili dei velivoli.

Emergeva dunque che questo strano acquisto da parte cinese non era stato effettuato a scopi speculativi o di investimento, ma esclusivamente ai fini dell’acquisizione del know how tecnologico e produttivo posseduto dall’impresa italiana, anche in campo militare, conoscenze di rilievo strategico per le quali si era proceduto alla pianificazione della delocalizzazione aziendale presso il polo tecnologico di Wuxi, non lontano dalla città di Shanghai.

La gestione di tali operazioni non trovava per altro formalizzazione in delibere e/o atti societari posti in essere dagli organi amministrativi dell’impresa, così come prevedrebbe la legge italiana, ma soltanto in accordi coperti da «divieti di divulgazione» concordati dalle controparti prima della compravendita.

I conseguenti riscontri effettuati presso i Ministeri della Difesa e degli Affari esteri appalesava quindi delle fattispecie penali previste nei casi di violazione della legge 185/1990 sulle cessioni di materiali d’armamento, che impone la preventiva autorizzazione all’avvio delle trattative e al successivo trasferimento di detti materiali, richieste mai presentati dalla società.

Sono state inoltre riscontrate ulteriori fattispecie di reato relativamente all’esportazione (nominalmente temporanea, ma di fatto prolungatasi per un anno) di un UAV nella Repubblica Popolare cinese in occasione della Fiera internazionale di Shanghai del 2019, che durò soli cinque giorni. L’UAV/UCAV (era infatti un velivolo di impiego militare) risultava, per altro, essere stato dichiarato agli uffici doganali per quello che realmente era, bensì quale «modello di aeroplano radiocomandato».

Previa autorizzazione della Procura della Repubblica di Pordenone, verranno a breve inoltrate evidenze documentali anche alla Presidenza del Consiglio dei ministri al fine di valutare l’eventualità dell’applicazione del Golden Power in conseguenza delle citate violazioni al Dl. 21/2012.

VECCHIE CONOSCENZE

In passato la Alpi Aviation di San Quirino, presso Pordenone, società a responsabilità limitata di ridotte dimensioni attiva nel campo industriale nella produzione di componentistica per aerei, elicotteri e droni (UAV o SAPR), era stata «attenzionata» in quanto indicata quale fornitrice alla Repubblica Islamica dell’Iran di materiali rientranti tra quelli inclusi nella categoria dual use.

L’ipotesi, allora, era che l’operazione commerciale potesse essere stata perfezionata nelle forme della triangolazione, in violazione dell’embargo internazionale imposto a Teheran e, inoltre, in assenza delle autorizzazioni previste nei casi di esportazioni di materiali d’armamento o di componenti di essi concesse in via preventiva dallo Stato italiano.

La vicenda Alpi Aviation ritornò poi alla ribalta delle cronache a seguito della notizia di attività investigative condotte dalla Procura della Repubblica per il tramite della Guardia di Finanza, notizia trapelata a seguito delle perquisizione effettuate nei confronti delle quattro persone indagate che avevano ricevuto regolare avviso di garanzia, ma in assenza di comunicati stampa diffusi dalle Autorità inquirenti.

L’AFFAIRE IRANIANO

Sulla Alpi Aviation gravavano i sospetti degli Stati Uniti d’America, che ritenevano la società pordenonese in affari con l’Iran sotto embargo. Nel 2009 il Dipartimento di Stato di Washington esortò l’ambasciata statunitense a Roma a chiedere all’Agenzia delle Dogane italiana l’effettuazione di una verifica riguardo alla segnalazione ricevuta dall’intelligence dal Giappone, secondo la quale Alpi Aviation avrebbe funto da intermediaria – ma si afferma che avrebbe anche potuto avere fatto involontariamente – tra la società nipponica Tonegawa-Seiko e l’iraniana Farazeh Equipment Distributor Company, questo al fine di far pervenire agli iraniani di componenti per velivoli a pilotaggio remoto.

Per un periodo di tre mesi le Autorità italiane monitorarono l’impresa di San Quirino, attività al cui esito non emersero tuttavia elementi comprovanti il suo coinvolgimento in traffici illeciti, un aspetto del quale è possibile trovare un riscontro nel cablogramma inviato dall’allora consigliere economico presso l’ambasciata Usa a Roma William Meara, del Dipartimento di Stato di Washington (¹).

È altresì noto che gli americani invitarono informalmente le Autorità della Repubblica italiana a proseguire nelle attività di sorveglianza, una richiesta che venne però respinta da Roma poiché (…) non inoltrata attraverso i canali e nelle forme ufficiali.

Ovviamente, appare superfluo rilevare come in un caso del genere quasi certamente possa essere entrata in gioco l’Air Force Office for Special Investigations (USAF-AFOSI), cioè l’organismo federale americano investito delle competenze in materia di security, controspionaggio e contrasto delle organizzazioni terroristiche, oltremodo attiva nel Nordest italiano da tempo e perfettamente interfacciata con le Autorità della Sicurezza italiana.

Alla base dell’affaire internazionale risiedeva la necessità di Teheran di approvvigionarsi di particolari componenti destinate al montaggio su velivoli, i servoattuatori modello PS050 e SSPS105, che comandano il movimento delle superfici mobili. Non si tratta di prodotti di livello tecnologico eccessivamente elevato, seppure il grado di sofisticazione di essi dipenda dalla tipologia di macchina sulla quale vengono installati, tuttavia di queste componenti e possibile farne un uso duale.

OPERAZIONE ANDATA A BUON FINE, MA SOLTANTO IN PARTE

A quanto è dato sapere, l’operazione in predicato andò a buon fine soltanto in relazione ai PS050, dei quali gli iraniani nel febbraio 2009 si sarebbero assicurati duecento unità. Di seguito verrà sinteticamente riassunto lo schema di triangolazione del caso di specie:

l’iraniana FEDCO (Farazeh Equipment Distributor Company), che in precedenza aveva già funto da intermediaria per conto di un’altra società della Repubblica Islamica, la SHID (Shahid Hemmat Industrial Group) (²), era l’interfaccia di Alpi Aviation che, a sua volta, faceva riferimento al complesso industriale giapponese per la fornitura di componenti, materiali che a sua volta girava agli iraniani. Una triangolazione, però, effettuata in violazione dell’embargo e, per di più, in totale assenza delle previste autorizzazioni che avrebbero dovute essere concesse dalle Autorità statali italiane.

ARRIVANO I CINESI: LE TAPPE DI UNA PENETRAZIONE

L’ingresso dei cinesi nella società di San Quirino è successivo e avviene attraverso la Mars Information Tecnology Co limited, società registrata a Hong Kong soltanto cinque mesi prima dell’operazione, il 20 febbraio 2018, quindi poco prima di acquisire (il successivo 17 luglio) la maggioranza delle quote di capitale della Alpi Aviation. In quel momento la Alpi Aviation aveva ventun’anni di vita e 30.000 euro di capitale sociale. Risultava invece con chiarezza come la regia dell’operazione andasse ricondotta in capo allo studio legale Denton.

A questo punto è utile ripercorrere brevemente i vari passaggi dell’operazione di acquisizione tenendo ben presente che il 23 marzo 2019 fu la data nella quale Italia e Cina siglarono il Memorandum of Understanding (MoU) relativo alla cosiddetta Nuova via della seta.

Una settimana prima, il 15 marzo 2019, lo stesso studio legale Denton aveva reso noto che attraverso il suo team di Shangai stava prestando assistenza alla China Corporate United Investment Asset Management co. limited (CCUI) nell’operazione di costituzione di un fondo di investimenti a Wuxi.

SULLO SFONDO LA NUOVA VIA DELLA SETA

Azionista di maggioranza del fondo risultava essere la CRCC Capital, una state-owned enterprise della Repubblica Popolare. Conseguentemente, CCUI e CRCC – secondo quanto ufficialmente dichiarato da Denton – controllavano indirettamente la s.r.l. limitata italiana Alpi Aviation.

Alcuni mesi dopo l’adesione ufficiale italiana alla Via della seta, Alpi Aviation annunciava «la prossima apertura» di un sito produttivo a Wuxi, mentre nel novembre dello stesso anno (2019) l’impresa di san Quirino partecipava alla seconda edizione della citata Fiera internazionale dell’import di Shanghai.

Da questo momento iniziarono a circolare voci (suffragate in seguito da dichiarazioni ufficiose) del possibile trasferimento nel Jiangsu dell’intero centro di ricerca e sviluppo di Alpi Aviation. Ciò emerse, tra l’altro, dalle dichiarazioni rese da  Li Xia, vicepresidente della China United Investment Holding (partner della società friulana nella Repubblica Popolare cinese) al portale di informazione economico-finanziaria Yicai, che non escluse una ipotesi del genere.

LE PREOCCUPAZIONI NEL PORDENONESE

All’indomani della perquisizione della sede di Alpi Aviation S.r.l. effettuata dalla Guardia di Finanza, il presidente di Confindustria Alto Adriatico Michelangelo Agrusti, nel corso di una dichiarazione rilasciata alla stampa si disse «preoccupato dallo shopping cinese in Friuli, che in quello stesso periodo veniva evocato anche in ambienti diversi a causa del caso Faw-Iveco, cioè della possibile cessione del ramo veicoli industriali della FCA ai cinesi, allo scopo della quale il vertice del gruppo dell’automotive presieduto da Elkann aveva intavolato delle trattative.

I quotidiani locali posero l’interrogativo sulla possibile cessione ai cinesi di tecnologie applicate anche al campo militare.

«Il problema è ancora più rilevante – affermò lo stesso Agrusti parlando delle società italiane cedute ai cinesi -, Quando si tratta di imprese che hanno a che fare con strutture sensibili per la sicurezza del Paese». Va ricordato che Agrusti è sempre stato contrario all’accordo sulla Nuova via della seta cinese opponendosi decisamente nelle sedi di competenza nonché pubblicamente.

La sua era una evidente piena presa di distanze sia dall’operazione portata a termine da Alpi Aviation che dalla stessa Alpi Aviation, società associata a Unindustria il cui operato egli stigmatizzava pur evitando di citarla apertamente.

L’AVIOSUPERFICIE DELLA COMINA

L’aviosuperficie finora utilizzata da Alpi Aviation è situata sul sedime demaniale in località La Comina, un luogo non lontano dalla base USAF di Aviano che la società divenuta di proprietà cinese avrebbe utilizzato grazie alla schermatura garantitale da un’associazione senza scopi di lucro (Onlus, organizzazione non lucrativa di utilità sociale), l’Aero Club di Pordenone, che oltre allo svolgimento delle attività sportive proprie quali il volo, il paracadutismo e altre, era attivo anche nel campo del volontariato e della protezione civile.

Allo specifico riguardo va inoltre ricordato che la località in questione è alla confluenza dei torrenti Cellina e Meduna, presso San Foca, area utilizzata dall’Esercito italiano a fini dell’addestramento del proprio personale in servizio e come poligono di tiro. Inoltre, come accennato, non è distante dalla base dell’aeronautica militare statunitense di Aviano.

Secondo il colonnello della Guardia di Finanza Stefano Commentucci, ufficiale che ha condotto le indagini, «gli investimenti da parte di soggetti stranieri nel territorio nazionale, di per sé presentano riflessi positivi per il sistema economico italiano, purché, però, siano riconducibili a vere operazioni di investimento, di tipo finanziario o di programmi imprenditoriali, ma in questo caso siamo di fronte a qualcosa di ben diverso».

 

(¹) Al riguardo confrontare il documento Wikileaks del 9 aprile 2009 – From Secretary of State to: Italy Rome / missile technology control regime.

Iranian procurement entity uses Italian firm as intermediary in effort to acquire Japanese origin items (secret)

(²) Shaid Hemmat Industrial Group (SHID), gruppo industriale iraniano che in precedenza era stato impegnato nello sviluppo e nella realizzazione di vettori missilistici a propellente liquido, si era avvalso della collaborazione di FEDCO, società fornitrice di componenti tecnologiche relative a diversi programmi di sviluppo e produzione dell’industria militare della Repubblica Islamica, in particolare proprio nel settore dei missili a propellente liquido nonché degli UAV/UCAV.

Condividi: