AFGHANISTAN, il ritorno dei talebani (1). Le prospettive del paese centroasiatico analizzate dal generale Domenico Rossi

L’ufficiale, già sottosegretario alla Difesa e attualmente candidato nella Lista civica Michetti sindaco alle prossime elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale di Roma, delinea un quadro della situazione afghana ed esplora alcune ipotesi riguardo alle dinamiche future. «La sicurezza, anche nella capitale – egli afferma -, deve essere il frutto di una organizzazione accuratamente pianificata e, nel caso romano, non potrà prescindere dalla salvaguardia ambientale»

insidertrend.it – Generale, quale è la sua opinione riguardo a questo affrettato disimpegno militare dall’Afghanistan?

Intanto va fatta una premessa: i militari eseguono gli ordini che gli vengono impartiti dai loro governi e, se questi ultimi gli ordinano di ritirarsi, lo fanno, anche se in venti anni di missione in teatro operativo hanno lasciato sul campo oltre cinquanta commilitoni caduti, come è capitato a noi italiani.

Domenico Rossi – Ora, semmai, sarebbe opportuno concentrare l’attenzione sulle conseguenze di quel ritiro, cioè sulle dinamiche che da esso si sono avviate: in primo luogo il rischio terrorismo. È di pochi giorni fa, infatti, l’allarme lanciato da vari organismi di Intelligence riguardo a possibili infiltrazioni di attentatori jihadisti tra la massa di rifugiati in fuga dall’Afghanistan che, in vario modo, stanno facendo ingresso anche  in territorio italiano;  in secondo luogo, mi sento di sottolineare – e lo faccio da (ex) militare che ha prestato servizio nel quadro di un’alleanza come la NATO -, che un altro grosso problema è quello della montante sfiducia nei confronti degli Stati Uniti d’America.

Sfiducia alimentata dal ritiro deciso da Biden…

Vero, ma solo in parte, poiché il problema dei talebani in realtà è iniziato durante il mandato presidenziale di Donald Trump, che in Qatar ha negoziato con il nemico senza coinvolgere il governo in carica a Kabul, accettando il ritiro per il maggio del 2021.

Non va poi dimenticato che Trump aveva fatto lo stesso nel nord della Siria due anni prima, quando aveva abbandonato al loro destino i suoi alleati curdi, combattenti che erano riusciti ad arginare e poi ricacciare indietro le milizie del sedicente «califfato» di al-Baghdadi, curdi che sono finiti nelle mani di Erdoğan. Allora, quel ritiro affrettato e impreparato, venne poi bloccato quando alcuni consiglieri convinsero Trump che gli americani avevano bisogno del petrolio di Deir-e-Zohr.

Il ritiro, ancorché rinviato è stato comunque troppo affrettato  fermo restando che occorre assegnare precise responsabilità  alla parte intelligence che non ha minimamente segnalato la possibilità di una conquista così immediata di tutto l’Afghanistan da parte dei Talebani ovvero lo sgretolarsi quasi istantaneo dello Stato vigente e delle sue Forze Armate che in gran parte si sono arrese senza combattere.  Politicamente Biden non è in grado di difendersi con efficacia e questo potrà significare che in futuro ne pagherà un prezzo. Resta unicamente la possibilità di risposte mirate contro Isis  per far pagare la morte di cittadini americani in divisa e non.

Perché Washington agisce in questo modo?

Chissà, forse perché l’attuale inquilino della Casa Bianca informa il suo agire al principio della «legittimità» – almeno sul piano della comunicazione – e della «morale», tuttavia – ed è un aspetto rilevato da molti -, questo lo induce ad attenersi a margini di tolleranza rispetto, ad esempio, alle azioni poste in essere dall’Iran, incluse quelle di natura propriamente militare, questo appunto al fine di salvare i negoziati sul nucleare di Teheran – la «legittimità», appunto -, oppure limitarsi ad ammonire i talebani al fine di conseguire i massimi risultati sull’opinione pubblica statunitense.

Forse è per questo che i massimi decisori politici americani agiscono in questo modo, configurando come prioritario il consenso interno, quello dell’americano medio, che è stanco degli impegni militari del suo paese nelle aree di crisi all’estero e che, come indicano i sondaggi di opinione effettuati di recente, pone in secondo piano la proiezione militare rispetto a tematiche più assillanti nell’immediatezza della vita quotidiana, quali il fisco o l’incremento del tasso di inflazione.

Ma, come è stato rilevato anche da non pochi analisti di strategia, questo atteggiamento della Casa Bianca ha luogo in una fase nel corso della quale la forbice tra la retorica ufficiale e la realtà dei fatti si va sempre più divaricando, con la conseguenza sul piano delle relazioni internazionali di un sensibile calo della fiducia da parte dei suoi alleati. Non solo, poiché tutto questo accade mentre Washington sta combattendo un’altra fondamentale battaglia, probabilmente la più importante di tutte: quella per il primato tecnologico che gli viene insidiato dalla Cina.

Mi consenta però di sottolineare come, in ogni caso, in Afghanistan gli italiani hanno dato il massimo, come sempre con abnegazione e duro sacrificio.

E adesso cosa succederà?

Non esiste un risposta unica, perché troppi sono gli interessi e gli attori in gioco. Sicuramente l’Europa deve prendere atto  del progressivo disimpegno americano in zone di interesse europeo e tendere finalmente verso una reale politica di difesa comune nonché verso la costituzione di Forze armate europee non alternative alla NATO ma capaci con la NATO di integrarsi.

Presso l’ONU già registriamo differenze tra i principali Paesi talché al posto di una “Zona di sicurezza” in cui far rimanere/transitare coloro che vogliono espatriare dall’Afghanistan per effetto della posizione di Cina e Russia si andrà verso di fatto la richiesta ai Talebani di garantire i diritti del popolo afghano .

I Talebani mostrano segni di apparente contrasto al terrorismo e di «parziali aperture», ma senza deviare dalla sharia e con notizie dall’interno di esecuzioni sommarie e di privazione dei diritti specie alle donne. Forse l’obiettivo realmente più percorribile è quello di costituire corridoi umanitari nonché gestire i profughi in arrivo che diano speranza a un popolo in fuga.

Restiamo al tema della sicurezza: lei si candida al Consiglio comunale di Roma, se Michetti vincerà le elezioni e diventerà il sindaco della Capitale le assegneranno un incarico in questo delicato settore?

In questo momento il mio impegno è quello di farmi conoscere  ai possibili elettori  e di concorrere alla vittoria di Enrico Michetti come sindaco di questa città. È chiaro che il mio curriculum parla di una vita spesa in ambito Difesa con capacità che possono evidentemente essere ricondotte al settore  sicurezza. Sicurezza che credo debba essere per la nostra città decisamente incrementata.

In tal senso  occorrerà prima di tutto confrontarsi proprio con i rappresentanti sul territorio che vigilano sulla sicurezza dei romani per capire come loro giudicano  il livello attuale di sicurezza attuale e come lo stesso può essere migliorato. Mi sembra cioè essenziale prima di tutto conoscere dai veri attori quali  sono  le esigenze di carattere legislativo, operativo, di coordinamento, di organizzazione, di equipaggiamento da migliorare. Dopodiché sarà responsabilità della politica quella di dare risposta a tali esigenze.

Questo passaggio mi sembra fondamentale, ancor più di dire a priori che  cosa si vuole fare, se si vuole procedere in termini di organizzazione e pianificazione, elementi senza i quali non si raggiunge l’obiettivo. Ciò, fermo restando che si possono prefigurare fin d’ora linee d’azione logiche quali quelle di tendere a una maggiore presenza delle forze preposte alla sicurezza in strada, a una finalizzazione delle stesse  in base alla mappatura del crimine o a un incremento dell’illuminazione.

Inoltre parlando di sicurezza, non si dovrà dimenticare quella ambientale, partendo dal fatto che l’Europa pone le politiche ambientali al centro di una strategia di sviluppo basata sulla sostenibilità e sull’uso efficiente delle risorse.

La sostenibilità si esplica attraverso la realizzazione di progetti di sviluppo a basso impatto ambientale così come l’uso efficiente delle risorse, presuppone a monte interventi di tutela ambientale finalizzati al risanamento e alla riqualificazione delle risorse medesime.

Si dovrà cioè intervenire in una molteplicità di settori: dai rifiuti alle discariche, dalle inquinamento ambientale alle aree protette, fino alle aree fluviali e così via.

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