di Benny Lai, pubblicato il 21 agosto 2021 da ACI Stampa – La prima volta che varcai la soglia dell’ Archivio Segreto Vaticano – sono trascorsi molti anni – notai una punta di stupore tra i frequentatori che conoscevano la mia attività professionale. Non a torto, debbo aggiungere, poiché di rado gli operatori delle comunicazioni sociali vengono attratti da raccolte di documenti, salvo non siano stimolati da occasioni fuori dal quotidiano, come l’apertura di un fondo archivistico o l’allestimento di una particolare mostra. E quando ciò accade ci si limita a ricordare i chilometri di scaffali, i più preziosi cimeli, l’attività didattica svolta in materia di archivistica E di paleografia.
APERTURA DELL’ARCHIVIO
La storia del transitus Domini, per ripetere una nota espressione di Papa Montini, non sollecita l’attenzione dei giornali, della televisione o della radio. Da qui la sorpresa o la perplessità per una presenza tra i vecchi banchi e nel piccolo, quasi segreto giardino, in condominio con l’attigua biblioteca che al contrario i responsabili dell’Archivio, lo scomparso cardinale Eugenio Tisserant e il prefetto monsignor Martino Giusti avevano accettato tranquillamente.
Ricordo che Tisserant, il quale allora era uno dei pochi cardinali facili a lasciarsi accostare e a rispondere a tono su argomenti curialmente, scabrosi mi indirizzò a monsignor Giusti sbrigativamente: «Tanto lui non fa difficoltà a nessuno», disse.
Per la verità monsignor Giusti si accontentò di approvare la necessità avvertita da un giornalista nella prospettiva di scrivere una serie di articoli di risalire alle fonti di non fondarsi su affermazioni tratte da precedenti studi magari contribuendo ad accreditare soltanto tesi.
L’OBOLO DI SAN PIETRO
Avviene sovente e non esclusivamente nel giornalismo. Più volte, ad esempio, è stata attribuita la nascita di quella singolare istituzione che è l’Obolo di San Pietro – si intende nella sua forma di compenso per la fine del potere temporale – all’iniziativa di cattolici belgi e francesi, i quali nel 1860 a Gandhi e a Lione costituirono arciconfraternite adibite alla raccolta delle collette e alla preghiera.
Ma è sufficiente una relazione conservata nel ricco spoglio del cardinale Mariano Rampolla del Tindaro per certificare che contemporaneamente un identico sodalizio sorgeva in Roma.
«Avvenuta appena nel 1860 la perdita delle più floride province dello Stato pontificio- è detto nel documento- sorse Roma per parte di zelanti Cattolici la generosa idea di promuovere in tutto il mondo un’opera col titolo non nuovo del Denaro ad Obolo di San Pietro che venisse a rinfrancare il Vicario di Gesù Cristo del danno che soffriva nel suo Patrimonio per la perdita di quei possedimenti».
L’unica differenza fu che l’organismo romano – «ogni mese una deputazione tratta a sorte umiliava al Santo padre il prodotto che alla fine dell’anno raggiungeva il milione di lire» – non ebbe o non cercò la notorietà delle istituzioni belghe e francesi.
D’ATTUALITÀ SUL PIANO GIORNALISTICO
Tuttavia non è tanto questo genere di puntualizzazioni che testimonia l’attualità dell’Archivio dal punto di vista giornalistico, quanto la possibilità di approfondire la conoscenza delle strutture del metodo di lavoro degli uffici vaticani, penetrarne l’intimità.
La corrispondenza fra la Segreteria di Stato e i nunzi apostolici, al di là del valore dei temi trattati, illumina nei più minuti dettagli un modo di pensare e di agire che il succedersi degli anni e dei pontificati non ha sostanzialmente modificato.
Si avverte che le doti personali del diplomatico, più o meno spiccate, sono in un certo senso rese eguali dallo zelo e dalla mancata ricerca del successo personale naturalmente a livello pubblico. Si resta affascinati dall’immediata aderenza del rappresentante Pontificio alle richieste della Segreteria di Stato sia che si tratti di una vicenda politica – o in particolare dopo i 70 con Giacomo Antonelli – di affari finanziari quali l’acquisto e la vendita di titoli pubblici la gestione di legati testamentari, i rapporti con le banche persino la ricerca di refurtiva.
FURTO Al «BUCO NERO»
Avvenne nei primissimi anni del Novecento in seguito a un clamoroso furto detto “del buco nero” dall’ironico nome dato alle stanze già adibite alla censura dello Stato pontificio nelle quali era stata allocata l’amministrazione delle neonate Opere di Religione: tutti i nunzi furono abilitati al fine di reperire il cospicuo numero di titoli pubblici azionari asportati o comunque di impedirne la negoziazione sui mercati esteri.
La consultazione dei documenti conservati nell’archivio non serve solo a chiarire i problemi storici grandi o piccoli che siano; a studiare sotto diverse angolazioni le fasi della formazione della civiltà occidentale o la perenne questione di fondo dei rapporti fra Chiesa e Stato. A volte dalle vecchie carte, che molti si ostinano a considerare una tomba del passato, emergono vicende umane che il tempo non è riuscito a sclerotizzare, spaccati della vita vaticana sotto un determinato pontificato che oggi alcuni potrebbero anche rimpiangere.
IL PAVIMENTO DELLA CAPPELLA PAOLINA
Debbo alla cortese sollecitudine del Vice Prefetto monsignor Terzo Natalini che ha portato all’archivio l’efficienza e l’alacrità romagnola, lo studio di protocolli le cui annotazioni rivaleggiano a buon diritto, anzi superano qualsiasi pur efficace cronaca. «20 giugno 1891 monsignor Maggiordomo e Prefetto dei Sacri Palazzi Apostolici comunica che i preventivi saranno presentati in luglio, espone stato dei lavori per il pavimento della cappella Paolina e da farsi al giardino della Pigna, chiede autorizzazione per retribuire il professor Marocchi pel Catalogo museo egiziano».
Di fianco il responso: «L’Eminentissima Commissione (da quell’anno investita dal Leone XIII di grandi poteri relativamente alla gestione delle finanze vaticane) desidera sapere quanto fu speso per la Paolina e se la spesa fu autorizzata. Non crede opportuno altre spese». Il medesimo giorno: «Monsignor Maggiordomo prega l’Eminentissima Commissione prendere in esame progetto impianto illuminazione elettrica ed unisce rapporto del Cavaliere ingegner Panucci», ma «l’Eminentissima Commissione prima di esaminare il progetto dimanda se ammessa illuminazione elettrica sarà del tutto eliminata quella a gaz».
SI FA LUCE (ELETTRICA) IN VATICANO
Malgrado la risposta positiva la Commissione Cardinalizia decide di rinviare ad altra epoca, quando avrà rimesso ordine le finanze vaticane, l’istallazione della luce elettrica. La sua severità nel risparmiare è tale che respinge la «dimanda» di una somma destinata al «riattamento di alcune tende di seta per l’appartamento di Sua Santità».
«Monsignor segretario – si legge nel protocollo – risponde che interpellato Sua Santità disse che non era necessaria tale spesa».
Raccontano che è un giovane avendo in animo di scrivere un libro sulla vita romana del Cinquecento, prese a frequentare un archivio che ne conservava gli atti notarili. Per mesi e mesi lo studioso decifrò e si appuntò quanto emergeva dai manoscritti: piccole storie quotidiane, conclusioni di litigi e di amori che con la loro incisività e la ricchezza di particolari facevano rivivere nei dettagli un’epoca. Continuò a studiare, e l’interesse per quanto apprendeva lo assorbì al punto di indurlo a rinunciare alla pubblicazione del volume. Si dedicò completamente alla lettura degli atti. Per suo esclusivo godimento.