a cura del professor avvocato Roberto De Vita e del dottor Marco Della Bruna – https://www.devita.law/lomicidio-floyd-e-luso-ragionevole-della-forza/
La sentenza nel caso n. 27-CR-20-12646 (State of Minnesota vs. Derek Michael Chauvin) della Corte del IV Distretto del Minnesota ha calato momentaneamente il sipario sulla vicenda della morte del quarantaseienne texano George Floyd, con la condanna dell’agente di polizia Derek Chauvin a 270 mesi di reclusione (pari a 22 anni e 6 mesi) [1].
La decisione, molto attesa per l’enorme impatto sociale che l’omicidio di Floyd ha avuto a livello nazionale ed internazionale, è stata accolta da molti come un segno di cambiamento dell’atteggiamento dell’autorità giudiziaria nei confronti degli omicidi commessi dalle forze di polizia statunitensi.
Negli ultimi quindici anni, infatti, come ripetuto spesso dalle cronache sul caso Floyd, le condanne nei confronti di agenti di polizia per omicidio (murder [2]) sono state minime, solo 5 su 42 processi [3], definiti principalmente con sentenze per imputazioni più lievi. La forte reazione dell’opinione pubblica all’ennesimo grave episodio di violenza sproporzionata commesso dalla polizia ha innescato un processo di cambiamento all’interno del quale è apparso naturale che si inserisse, come logica conseguenza, l’attesissima sentenza di condanna nei confronti degli agenti di Minneapolis.
LA REAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA STATUNITENSE
Nel tempo trascorso tra la morte dell’afroamericano e la condanna di Chauvin, inoltre, le autorità locali di numerose amministrazioni cittadine – Minneapolis in primis – hanno iniziato ad annunciare corposi tagli ai budget dei corpi di polizia, accompagnati da un reimpiego delle risorse in favore di programmi di prevenzione della criminalità, del pronto intervento per problemi di salute mentale e altri progetti di carattere sociale.
Tutto ciò ha contribuito all’idea che la sentenza in questione, di per sé, fosse una naturale estensione di questa onda di (reale o apparente) cambiamento.
Tuttavia, per comprendere se realmente la pronuncia rappresenti il pilota per un nuovo orientamento in materia che possa influenzare le altre corti distrettuali statunitensi e, eventualmente, future pronunce della Corte Suprema, è necessario fare riferimento ai principi di diritto che hanno governato fino ad oggi i casi simili; ciò, con l’obiettivo – non secondario – di inquadrare quest’ultima decisione rispetto ai medesimi principi.
IL CASO FLOYD
La vicenda che ha condotto alla morte di George Floyd origina dall’acquisto di un pacchetto di sigarette in un negozio, asseritamente pagato con una banconota da $20 falsa.
Da quanto è possibile osservare nei video girati sul posto dai passanti e dalle riprese delle body cam degli agenti [4], la polizia di Minneapolis, chiamata dal proprietario del negozio, faceva scendere Floyd dal posto di guida della sua auto, puntandogli contro una pistola e, senza spiegare la ragione dell’intervento, lo ammanettava per farlo sedere sul sedile posteriore dell’auto di servizio.
Floyd resisteva all’arresto, spiegando di essere claustrofobico, e tentava di uscire dal veicolo, dicendo che si sarebbe sdraiato a terra. A quel punto, tre agenti lo costringevano a terra e si posizionavano sopra l’arrestato per immobilizzarlo, inginocchiandosi sul suo collo e sulle gambe, tenendo fermi i polsi e le caviglie.
Dopo diverse richieste di aiuto di Floyd nel corso dell’arresto (“I can’t breathe”) e sei minuti dopo l’immobilizzazione, su sollecitazione dei presenti sulla scena un poliziotto controllava il polso della vittima, senza trovare alcun battito. Dopo un totale di 9 minuti e quaranta secondi, all’arrivo dei paramedici in ambulanza, Floyd veniva liberato dalla posizione di costrizione e ne veniva dichiarata la morte una volta in ospedale.
SI PROCEDE NEI CONFRONTI DEL POLIZIOTTO
L’11 gennaio 2021, il Giudice Cahill decideva di procedere per Chauvin separatamente dai tre colleghi presenti durante l’intervento (Kueng, Lane e Thao), il cui processo inizierà a marzo del 2022.
Chauvin, dunque, veniva imputato per i seguenti capi: “unintentional second-degree murder while committing a felony, third-degree murder, perpetrating an eminently dangerous act evincing a depraved mind, second-degree manslaughter, culpable negligence creating an unreasonable risk” [5].
Fin dall’inizio del processo è stato chiaro che la questione determinante sarebbe stata il parametro di valutazione adottato per giudicare l’eventuale uso eccessivo della forza da parte di Chauvin e dei colleghi, come già fatto in casi simili riguardanti l’operato della polizia [6].
IL PRECEDENTE SULL’USO DELLA «LETHAL FORCE»
Fino al 1989, le Corti statunitensi si erano affaticate nel tentativo di trovare una soluzione uniforme per determinare se le forze dell’ordine avessero ecceduto nell’uso della forza, facendovi ricorso in modo irragionevole (unreasonable). Il caso Graham vs. Connor, giunto di fronte alla Corte Suprema, ha introdotto una prima definizione del ragionevole uso della forza, anche letale, da parte degli agenti, in un caso per alcuni aspetti simile a quello di Floyd [7].
Il diabetico Dethorne Graham aveva chiesto a un amico di accompagnarlo in un negozio di alimentari per acquistare del succo di frutta all’arancia, perché sentiva di essere in procinto di avere una reazione all’insulina. Trovatosi di fronte a una lunga fila per le casse, Graham era immediatamente uscito ed era risalito rapidamente in auto, chiedendo all’amico di riportarlo a casa. Il bizzarro comportamento veniva quindi notato da Connor, un agente della polizia di Charlotte (North Carolina), che decideva di fermare sul posto i due uomini in attesa di capire quanto fosse accaduto nell’alimentari.
Durante il controllo, Graham, in piena crisi insulinica, scendeva dall’auto e sveniva, venendo ammanettato e posizionato con la forza contro il cofano della volante. Al suo risveglio, iniziava a chiedere agli agenti dello zucchero, che gli veniva negato; durante tutto l’intervento, i poliziotti avevano insultato e maltrattato Graham, facendo capire di essere convinti che fosse ubriaco. La violenza adoperata dalla polizia risultava in numerose lesioni, per le quali Graham decideva di denunciare la città di Charlotte e gli agenti responsabili.
LA CORTE SUPREMA RIBALTA IL VERDETTO
Dopo due sentenze di rigetto della domanda di Graham, la Corte Suprema ribaltava il verdetto, rinviando alla Federal Fourth Circuit Court of Appeals per un nuovo giudizio, secondo un nuovo principio di diritto. In particolare, con una decisione unanime, espressa nella opinion redatta dal Chief Justice dell’epoca, William Rehnquist, la Corte esprimeva la lettura da seguire per individuare la ragionevolezza dell’uso della forza.
Le doglianze avverso un arresto, un controllo o qualsiasi altro tipo di intervento della polizia implicano un rinvio al Quarto emendamento della Costituzione Usa, secondo cui “The right of the people to be secure in their persons, houses, papers, and effects, against unreasonable searches and seizures, shall not be violated, and no warrants shall issue, but upon probable cause, supported by oath or affirmation, and particularly describing the place to be searched, and the persons or things to be seized” [8].
La Corte, dunque, individuava l’esito dell’indagine sulla ragionevolezza nel principio per cui le azioni degli agenti dovessero essere “oggettivamente ragionevoli” alla luce delle circostanze del caso concreto, senza che avessero rilevanza le loro intenzioni o motivazioni: da un lato, non si poteva affermare che delle intenzioni malevole costituissero una violazione del Quarto emendamento, a fronte di un uso della forza oggettivamente ragionevole; dall’altro, non era possibile ritenere che un uso della forza evidentemente sproporzionato potesse essere giustificato dalle buone intenzioni del soggetto agente.
Pertanto, anziché valutare la “ragionevolezza” con il senno di poi, secondo Rehnquist era necessario giudicare secondo il punto di vista di un ragionevole agente presente sulla scena. I giurati, dunque, non avrebbero dovuto valutare cosa avrebbero fatto nei panni dell’imputato, ma cosa avrebbe potuto fare un qualsiasi altro agente di polizia posto di fronte alle medesime circostanze di fatto.
LA PERCEZIONE DI UN PRESUNTO PERICOLO
Tra le implicazioni di questa interpretazione vi è la rilevanza che acquista la percezione di una presunta situazione di oggettivo pericolo da parte dell’imputato nel caso concreto. Di conseguenza, alla sentenza del 1989 della Corte Suprema sono seguite assoluzioni per fatti di violenza perpetrata dalla polizia, ai quali sarebbe altrimenti seguita – probabilmente – una condanna (ottenendo, prevedibilmente, reazioni contrastanti nell’opinione pubblica) [9]. Tra le più famose, si può annoverare il feroce pestaggio di Rodney King a Los Angeles da parte di quattro agenti della LAPD, nel 1991 [10].
Il problema della ragionevolezza, tuttavia, mal si applica al caso di George Floyd: la maggioranza dei casi in cui le difese hanno ottenuto assoluzioni o condanne lievi erano caratterizzati dalla necessità, per l’imputato di prendere decisioni rapide, poco ponderate [11]; situazioni diametralmente opposte a quella fronteggiata da Derek Chauvin.
Infatti, la condotta di quest’ultimo, che ha tenuto Floyd schiacciato a terra utilizzando entrambe le ginocchia, è proseguita ben oltre il momento in cui poteva essere ritenuta ragionevole. In primis, Floyd non è stato spostato quando era ormai immobilizzato e aveva smesso di resistere; in seguito, Chauvin non si è spostato per oltre due minuti dopo che uno dei colleghi si è accorto che l’uomo aveva smesso di respirare e che non riusciva a sentirne il battito tramite il polso.
LE MOTIVAZIONI DEL MINNESOTA VS. DEREK MICHAEL CHUVIN
Inoltre, è opportuno tenere presente che, prima che i giurati si ritirassero per deliberare, tra le istruzioni fornite per prendere una decisione, il giudice Peter Cahill ha incluso una definizione di “uso ragionevole della forza” che ricorda Graham vs. Connor: “No crime is committed if a police officer’s actions were justified by the police officer’s use of reasonable force in the line of duty in effecting a lawful arrest or preventing an escape from custody. [12]”
Si tratta di una soluzione di compromesso rispetto a due posizioni – ovviamente distanti – rispecchiate nelle proposte di istruzioni fornite dallo Stato e dalla difesa. Quest’ultima, infatti, aveva proposto una definizione copiata direttamente dalla majority opinion del 1989 del Chief Justice Rehnquist [13]. Ed infatti – nel corso del processo – la difesa di Chauvin ha tentato di introdurre l’idea che un uomo della stazza fisica di Floyd potesse apparire ed essere pericoloso anche quando apparentemente ridotto all’impotenza [14], nel tentativo di dare maggiore rilievo alla percezione di pericolo dell’imputato.
Al contrario, la pubblica accusa aveva ritenuto inappropriata al caso di specie una definizione sbilanciata verso la percezione soggettiva del soggetto agente, di fronte ad un caso di palese eccesso nell’uso della forza. La proposta di definizione, dunque, era incentrata sulla oggettiva necessità di ricorrere alla forza, indipendentemente dalle intenzioni, motivazioni o stati d’animo dell’imputato, ricercando un’interpretazione che si sarebbe allontanata decisamente da Graham vs. Connor [15].
CHAUVIN ABUSÒ DELLA PROPIRA AUTORITÀ
La valutazione espressa nella sentenza, invece, è frutto dell’applicazione dell’interpretazione del Giudice supremo del 1989: la Corte ha espresso una considerazione sull’uso della forza adottando il punto di vista di un agente di polizia nelle circostanze del caso concreto.
In particolare, ha concluso che Chauvin ha abusato della sua posizione di autorità, utilizzando una forza irragionevole per mantenere prono sulla strada l’ammanettato George Floyd: “una posizione che l’imputato sapeva essere a rischio di asfissia sulla base della sua esperienza e del suo addestramento”; peraltro, mantenendola per 9 minuti e quaranta secondi, ritenuti una “quantità eccessiva di tempo” [16].
Nonostante il mancato accoglimento della tesi sostenuta dall’Attorney General sull’interpretazione oggettiva dell’uso della forza da parte degli agenti di polizia, la sentenza di condanna pronunciata nei confronti di Chauvin rappresenta in ogni caso una novità nel panorama delle pronunce statunitensi sul tema – soprattutto agli occhi “laici” dell’opinione pubblica – e, allo stato, è difficile prevedere se essa rappresenti un’occasione mancata per piantare il germoglio di un cambiamento. Ciò che è evidente, tuttavia, è come nell’affrontare questo caso, ancora una volta un Giudice americano si sia dovuto confrontare con l’inadeguatezza del consolidato principio di diritto della “Graham vs. Connor”, soprattutto negli episodi in cui la violenza gratuita viene perpetrata dalla polizia nei confronti di individui con problemi di salute.
RIFERIMENTI
[1] Scarica qui il testo della sentenza.
[2] È opportuno precisare che, nell’ordinamento penale statunitense, il reato di omicidio doloso può ricadere sotto differenti nomines jurisa seconda della gravità e di circostanze che, nell’ordinamento penale italiano, costituiscono delle aggravanti e non fattispecie autonome. Le previsioni normative possono variare a livello statale, ma generalmente è importante differenziare, per gravità decrescente, tra murder e manslaughter: il primo può differenziarsi in primo, secondo e – in alcuni Stati – terzo grado, a seconda della gravità delle circostanze (ad esempio, la premeditazione) e dell’intensità del dolo; il secondo, invece, si caratte rizza per una minore intensità del dolo come lo intendiamo nel nostro ordinamento e, nella maggioranza dei casi, per un giudizio di gravità morale meno severo da parte della giuria (Per approfondire, cfr. https://www.justice.gov/archives/jm/criminal-resource-manual-1537-manslaughter-defined; https://www.dictionary.com/e/manslaughter-vs-murder/; S. J. Berman, “What Is Manslaughter? What Is Murder vs. Manslaughter?”).
[3] “Number of nonfederal police officers arrested for murder who have been convicted between 2005 and 2020, by charge”, giugno 2020.
[4] “RAW: George Floyd Minneapolis police body camera footage”.
[5] Cfr. Sentenza, p. 1.
[6] Bureau of Justice Statistics, “National Data Collection on Police Use of Force”.
[7] Graham v. Connor, 490 U.S. 386 (1989).
[8] Constitution of the United States.
[9] C. Lane, “Opinion: A 1989 Supreme Court ruling is unintentionally providing cover for police brutality”, 8 giugno 2020; Lance J. LoRusso, “Graham v. Connor: Three decades of guidance and controversy”.
[10] P. Feuerherd, “Why Didn’t the Rodney King Video Lead to a Conviction?”, 28 febbraio 2018.
[11] D. D. Kirkpatrick, “Split-Second Decisions: How a Supreme Court Case Shaped Modern Policing”.
[12] FOX 9, “Jury instructions: What the Derek Chauvin jurors are considering”, 19 aprile 2021.
[13] “The ‘reasonableness’ of a particular use of force must be judged from the perspective of a reasonable officer at the moment he is on the scene, rather than with the 20/20 vision of hindsight.” (V. James De Simone,“Chauvin Jury Instructions Could Determine Trial Outcome”, 25 marzo 2021).
[14] Un simile argomento difensivo, del resto, aveva contribuito all’assoluzione degli agenti imputati nel caso di Rodney King. Cfr. M. Tarm, “How is ‘reasonabless’ Key to Chauvin’s defense?”, 17 aprile 2021.
[15] “Any use of force beyond … [what is necessary] is not reasonable…. You must decide whether the officer’s actions were objectively reasonable based on the totality of the facts and circumstances confronting the officer, without regard to his own state of mind, intention, or motivation.” (V. James De Simone,“Chauvin Jury Instructions Could Determine Trial Outcome”, cit.)
[16] Cfr. Sentenza, pp. 7, 8.