MISTERI ITALIANI, mostro di Firenze. Duplice omicidio del 1968, si riaccendono i riflettori: è il solito «minestrone mediatico» estivo, l’inizio della divulgazione di verità finora sconosciute, ovvero di altro?

Si riparla dunque del delitto di Castelletti a Signa e della per nulla chiara vicenda che vide, suo malgrado, protagonista il bambino figlio di una delle due vittime assassinate con la Beretta calibro .22 del mostro. Tuttavia, il recente articolo pubblicato dal Corriere della Sera contiene alcune importantissime inesattezze, che però rilevano al punto da poter mutare l’intera ricostruzione dei fatti, portando a colpevoli diversi

Quello commesso a Castelletti di Signa il 21 agosto del 1968 fu il primo duplice omicidio del mostro di Firenze. Anche in quella notte di novilunio d’estate nelle campagne fiorentine vennero uccisi due amanti appartati in auto, Antonio Lo Bianco e Barbara Locci, tuttavia l’assassino risparmiò la vita di una terza persona, un bimbo che si trovava a bordo dell’abitacolo dell’Alfa Romeo Giulietta dove sua madre e un conoscente di lei si apprestavano a consumare un rapporto sessuale. Adulterino per la donna, poiché ella era coniugata con un altro uomo, sardo come lei: Stefano Mele, il padre del piccolo Natalino, che quella sera era coricato dormiente sulla poltrona posteriore dell’autovettura.

Secondo lo scrittore Paolo Cochi, autore del saggio “Mostro di Firenze al di là di ogni ragionevole dubbio”, in quel caso si trattò di un delitto dalle caratteristiche criminodinamiche differenti rispetto a quelli successivi.

La «firma» presente in tutti i delitti attribuiti al mostro è chiara, è l’impiego della famosa Beretta calibro .22 che sparò sempre proiettili serie “H”, ma non ci fu l’overkilling sui corpi. Questo fu dovuto alla presenza del bambino, che fu risparmiato.

LA PRIMA VOLTA CHE LA BERETTA UCCISE UNA COPPIA

Nel catenaccio di Dagospia, introduttivo all’articolo a firma Maurizio De Giovanni, pubblicato dal Corriere della Sera il 9 agosto 2021, si afferma che «la Beretta calibro .22 con cui fu realizzato il duplice omicidio non fu trovata dalla polizia (in realtà sul luogo del delitto intervennero i Carabinieri, n.d.r.) e, invece, chi la trovò ne fece un largo uso, firmando quelli che divennero i delitti del mostro di Firenze».

Poi, il giornalista della testata di via Solferino nel suo articolo passa a svolgere alcune considerazioni di natura sociologica e storica su quel particolare periodo, la fine dell’estate del 1968, definendolo «anno topico del cambiamento mondiale, spartiacque tra le epoche» che segnò «l’inizio della rivoluzione della consapevolezza e dei costumi», aggiungendo infine che «l’Italia si sarebbe spaccata di nuovo e di nuovo ci sarebbero stati conflitti, bombe e morti per strada, come era avvenuto un quarto di secolo prima».

Considerazioni che richiamano immediatamente una delle probabili caratteristiche del mostro, esposte nel quadro delle ipotesi esplorate anche da insidertrend.it, quando si è considerata la possibilità che il mostro fosse un individuo permeato da un profondo sentimento reazionario cattolico, addirittura turbato da esso al punto da essere indotto a rifiutare quella rivoluzione dei costumi in atto, che per lui era inaccettabile, una rivoluzione che ovviamente includeva la liberazione sessuale.

IL CONTROVERSO PERCORSO DI NATALINO

Quindi il bambino. Secondo De Giovanni che ne ripercorre i momenti immediatamente successivi all’assassinio della madre e dell’amante di lei: «Natalino, sveglio, bussa alla porta di una casa a due chilometri e cento metri dall’auto parcheggiata. Non un sentiero agevole: rovi, suolo impervio, sterrato. E il buio è totale, niente lampioni, niente finestre, niente luna. Natalino non ha nemmeno le scarpe, perché quando si è addormentato la mamma gliele ha tolte, forse l’ultimo gesto di delicatezza di Barbara per suo figlio. Eppure Natalino è la, gli occhi pieni di sonno, i calzini bianchi puliti. È solo quando bussa alla porta. Spiega che il suo papà è a letto malato, che lui ha sonno e molta fame, e che purtroppo lo zio e la mamma sono morti, quindi per favore può avere un passaggio a casa?».

Prosegue l’articolo del Corriere della Sera: «È davvero difficile che il bambino abbia volato, ma e ancora più difficile pensare che abbia percorso due chilometri e cento metri da solo attraverso rovi e bosco senza stancarsi, ferirsi e nemmeno sporcarsi i calzini. Ma il piccolo insiste nel dire che nessuno lo ha portato fin là, o che almeno non si ricorda. In una delle versioni che racconterà in seguito, in bilico tra possibile realtà e infantile immaginazione, dirà che qualcuno lo ha portato a cavalluccio, canticchiandogli per tranquillizzarlo “La tramontana” di Antoine, un successo dell’ultimo Festival di Sanremo».

GLI ELEMENTI REALI

Cosa c’è allora che non quadra in questa ricostruzione? Nell’articolo si afferma che i calzini del bambino erano puliti e che, di risulta, questi sarebbe stato accompagnato fino alla casa dove poi avrebbe chiesto aiuto, una ricostruzione che indurrebbe ad avvalorare nuovamente la cosiddetta «pista sarda» con i suoi addentellati, quali la responsabilità nel duplice omicidio di Stefano Mele, marito della Locci. Ma dai verbali allora di ben due testimoni, redatti dai Carabinieri  questo non risulta, poiché in essi vi si afferma che i calzini indossati dal bimbo erano sporchi , impolverati, logori e strappati. Natalino avrebbe dunque percorso a piedi (e non in braccio a una persona) quel tratto di sentiero ghiaioso.

A questo punto potrebbe nascere un interrogativo:  per quale ragione ogni volta che su casi del genere si giunge molto vicini all’acquisizione di elementi molto importanti ai fini dello sviluppo delle indagini, anche a distanza di molti anni dai fatti, l’attenzione dell’opinione pubblica viene in qualche modo indirizzata su altri aspetti, seppure di estrema valenza suggestiva?

Ma quali elementi ultimi son stati acquisiti dall’avvocato e  della parte lesa del delitto del giugno 1981 e da Paolo Cochi suo consulente?

I DOSSIER DELL’ARMA DEI CARABINIERI

Nei rapporti redatti dall’Arma dei Carabinieri nel 1984 si parla di un individuo che si ritiene responsabile di un furto di armi da fuoco effettuato in un armeria di Borgo San Lorenzo nel 1965, tra anni prima dunque del duplice omicidio di Castelletti a Signa, armi tra le quali rientra anche la Beretta .22 utilizzata negli anni seguenti dal mostro di Firenze, mai ritrovata.

Un dossier mai preso seriamente in considerazione nel corso delle lunghe indagini giudiziarie sui delitti.

Oggi, a distanza di sessantatré anni da quei primi assassinii commessi con quella pistola si torna sulla vicenda e lo si fa d’estate, a pochi giorni dall’ennesimo anniversario di una caso giudiziario ancora non risolto (il primo di una lunga serie) di duplice omicidio. Se il bambino arrivò da solo alla porta di quella casa tutta la ricostruzione muta.

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