di Giuseppe Morabito, generale in ausiliaria dell’Esercito italiano e attualmente membro del direttorio della NATO Defence College Foundation – In questa settimana, il primo ministro giapponese Yoshihide Suga ha lanciato un deciso avvertimento al presidente della Repubblica Popolare cinese (RPC) Xi Jinping, il tutto nella semplice affermazione che «il Giappone prenderà in considerazione qualsiasi attacco alla Repubblica di Cina, meglio nota come Taiwan, come una minaccia esistenziale».
Atteso questo, per comprendere gli equilibri nel Mare indocinese è necessario definire se sia imminente un attacco militare di Pechino alla «fastidiosamente democratica» Taipei e da cosa scaturisce il rinfocolarsi periodico del nazionalismo comunista cinese.
LE MINACCE DI XI JINPING
Nel suo discorso del 1° luglio, per celebrare i cento anni dalla fondazione del Partito comunista cinese (PCC), parlando dalla Porta di Tiananmen, Xi, vestito tradizionalmente, a favore della propaganda interna come il presidente Mao, è stato intransigente e ha affermato che «il sangue e la carne di 1,4 miliardi di cittadini cinesi respingerebbe il tentativo dell’Occidente di “opprimerci o schiavizzarci” e che “teste insanguinate” sarebbero il risultato di qualsiasi interferenza negli affari cinesi». Egli ha inoltre affermato che la riunificazione di Taiwan con il continente è «un compito storico in cui il Partito comunista è fermamente impegnato ed è desiderio comune del popolo cinese risolvere la questione di Taiwan e ottenere la totale riunificazione della madrepatria».
Poi, minacciosamente, è andato oltre: «Noi avremo un esercito di livello mondiale in modo da poter salvaguardare la sovranità dello Stato, la sicurezza e gli interessi di sviluppo con maggiori capacità e metodi più affidabili».
UN ATTACCO POSSIBILE SEPPURE NON NELL’IMMEDIATO
Attese le dichiarazioni «guerrafondaie», la minaccia posta dall’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) a Taiwan si può considerare possibile ma non immediatamente probabile. Nonostante gli impressionanti progressi nella modernizzazione delle forze armate sino popolari, che inquadrano 2,7 milioni di uomini, un attacco congiunto di natura aerea marittima e anfibia oltreché terrestre, su tale scala, rappresenterebbe un rischio immenso per Pechino. Infatti, come contrappeso della sua eventuale offensiva, in primo luogo va considerato che le forze armate di Taiwan schierano circa 300.000 militari in servizio attivo, che possono contare sul rinforzo di più di un milione e mezzo di riservisti; in secondo luogo non va dimenticato che nell’area di Taiwan vi sono 30.000 membri della “difesa statunitense”, incluse delle forze operative.
Infine, va considerato che la traversata più breve tra la Cina continentale e l’isola di Taiwan è lunga 110 chilometri, dunque la logica porta a considerare che Pechino potrebbe impiegare soltanto una parte delle sue forze in un assalto a Taiwan in quella che sarebbe un’area di combattimento fortemente complessa.
GUERRA NAVALE NEL MAR CINESE MERIDIONALE
Per ridurre i rischi di un probabile attacco, Pechino ha militarizzato illegalmente una serie di barriere coralline e alcune isole attorno al perimetro del Mar Cinese Meridionale allo scopo di disporre di più basi di appoggio per le azioni antinave eventualmente tese a bloccare efficacemente la marina degli Stati Uniti d’America e quelle dei suoi alleati in caso di attacco a Taipei. Per questo molte potenze occidentali conducono regolarmente nel bacino operazioni di «libera di navigazione», soprattutto, nel Canale di Taiwan, per dimostrare a Pechino che non ha titolo a qualsiasi controllo de facto del braccio di mare che viene, anche questo senza rispettare la legalità internazionale, reclamato come suo vitale spazio marittimo strategico.
Storicamente la Cina Popolare non ha mai condotto operazioni offensive paragonabili a quanto minacciato, ma solamente alcune grandi esercitazioni anfibie, quindi potrebbe pagare dazio in conseguenza della sua carenza di esperti militari in grado di condurre e pianificare operazioni del genere.
L’OPZIONE SOTTILE
Per la Cina e il Partito comunista intraprendere un’operazione cosi imponente senza alcuna esperienza pregressa costituirebbe un’enorme scommessa sul piano militare e un suo eventuale fallimento avrebbe conseguenze politiche e strategiche estremamente negative anche sul piano della propaganda interna.
Pertanto, nonostante l’enfasi posta dalle minacce alla democrazia di Xi, è ipotizzabile che Pechino preferisca di gran lunga provare a influenzare gradualmente Taiwan dall’interno e creare le condizioni per un’eventuale e relativamente sua pacifica reintegrazione con la Cina continentale. Tale disegno potrebbe prevedere la sovversione della classe politica di Taipei, rafforzata dall’implacabile opposizione a qualsiasi suo tentativo di raggiungere sia la piena indipendenza sia il riconoscimento in ambito internazionale, e l’uso del PLA come strumento di pressione nell’azione di coercizione strategica.
Numerosi analisti oggi ritengono che nonostante l’apparenza del potere totale detenuto dal PCC, ci sia la contingenza che il discorso di Xi abbia cercato di rafforzare l’idea del partito forte nella consapevolezza che lo stesso PCC rimanga eternamente convinto dell’esistenza di una minaccia da parte dei nemici del comunismo, sia all’interno sia all’esterno della RPC.
IL PCC E LA VISIONE DEL MONDO SINO-CENTRICA
Sulla scia della pandemia da «Virus di Wuhan», anche le democrazie asiatiche e l’Occidente, la principale area di mercato e fonte dell’aumento di potere economico cinese, sono sempre più diffidenti nei confronti di Pechino. Piuttosto che muoversi per alleviare tali preoccupazioni, Xi ha perseguito la linea opposta, ponendo il suo paese su posizioni sempre più belligeranti e aggressive.
Quanto sopra porta a interrogarsi sul fatto se la RPC costituisca una minaccia per la regione e per il mondo. È ovvio che alla base del potere di Xi ci sono le forze armate, che vengono conseguentemente equipaggiate e modernizzate di continuo.
Ma, a questo punto le esigenze di bilanciamento strategico comportano enormi implicazioni di natura economica per gli Usa e per la NATO, aspetto che la maggior parte degli europei sembra incapace di comprendere. In effetti, il discorso di Xi in occasione del centenario del PCC è stato un chiaro indicatore della strada verso il potere auspicata dal PCC in una visione del mondo sino-centrica.
TSMC E MICROCHIP
Conseguenza di questo (e forse motivazione) potrebbe essere sia l’evidenza che le potenze occidentali sono quotidianamente sottoposte a livello industriale da attacchi informatici e spionaggio sia il motivo per cui Pechino trasgredisce regolarmente le regole sul furto di proprietà intellettuale.
Tuttavia, ogni violazione di un trattato e ogni abuso di potere devono essere affrontati perché quando si ha a che fare con una Cina Popolare che si sposta costantemente dall’autoritarismo al totalitarismo, l’Occidente e i suoi leader devono essere rispettosi e pragmatici, ma anche lucidi e guardare ben oltre il denaro cinese.
Tralasciando i diritti soppressi nel vitale polo finanziario di Hong Kong, soprattutto quando ci si riferisce a Taiwan, «punge vaghezza» che dietro l’azione di Pechino potrebbero celarsi motivazioni più concrete di quelle dichiarate, non solo storiche o di ego: a Taiwan, infatti, c’è la TSMC, il campione della produzione mondiale di microchip.
LA SPINTA DI PECHINO VERSO LA TECNOLOGIA AVANZATA
Da anni i cinesi tentano di creare a una propria industria tecnologica avanzata, in particolare nel settore dei microchip, in modo da slegarsi totalmente da Taipei e dall’Occidente. Per ora i tentativi di Pechino non sono del tutto riusciti (o meglio, i progressi ci sono stati, ma non come era stato previsto) e le tensioni geopolitiche tra RPC e Usa (che impediscono a molte realtà cinesi legate al settore militare di servirsi da TSMC), unitamente alle criticità create dal virus pandemico proveniente dal laboratorio di Wuhan, hanno reso chiaro a Pechino e al resto del mondo che chi controlla la produzione tecnologica si troverà in posizione di vantaggio industriale.
Il Presidente Xi, anche se vestito da “vecchio rivoluzionario”, ha ben presente che se si arriva a un punto in cui nell’economia del terzo millennio non si è più nelle condizioni di continuare a gestire le attività industriali a causa della mancata fornitura di una componente centrale come i semiconduttori, questo porterà a minacciare e, spero mai, assumere posizioni estreme, non per ideologia e storia, bensì per la ricerca ossessiva della supremazia economica.