DIFESA, missioni all’estero. Golfo Persico, gli EAU negano all’Italia la base aerea di al-Minhad

Si tratta di unainstallazione strategica ai fini delle operazioni «fuori area» delle Forze armate italiane, soprattutto in una fase delicata come quella attuale, che vede il ritiro del corposo contingente militare dall’Afghanistan. Il diniego rinviene le sue cause in una serie di vicende che recentemente hanno incrinato le relazioni tra i due Paesi, prima tra tutte la mancata cessione di armi agli emiratini posti sotto embargo da Roma per la guerra nello Yemen

L’Italia potrà utilizzare la base aerea emiratina di al-Minhad soltanto fino al prossimo 2 luglio, un ritiro ormai iniziato da tempo, seppure il Governo di Roma stia tentando, tra difficoltà apparentemente insormontabili, di ottenere un revoca del divieto all’ultimo minuto, evitando in questo modo uno sgombero che complicherebbe non poco le operazioni di disimpegno del proprio corposo contingente di truppe attualmente in ritiro dal teatro operativo dell’Afghanistan.

Un bel problema, che si pone proprio nell’immediatezza del voto di rifinanziamento da parte del Parlamento delle missioni militari all’estero, calendarizzato per il mese di luglio.

L’ultimo velivolo dell’Aeronautica militare italiana sarebbe decollato dalla pista della base del Golfo giovedì scorso, lasciando sul sedime della struttura aeroportuale soltanto dei materiali residui da recuperare in seguito oppure abbandonare.

I «NIET» EMIRATINI

Cosa sta succedendo? Quali sono le ragioni alla base di questo atteggiamento nei confronti dell’Italia da parte dagli Emirati Arabi Uniti?

Bocche cucite a Via XX Settembre, dove la vicenda non è stata pubblicamente commentata, ma questo non vuol dire che non esista, anche perché recentemente gli emiratini avevano fatto un altro «sgarbo» agli italiani, negando il sorvolo nel loro spazio aereo al velivolo che trasportava i giornalisti italiani a Kabul per assistere alla cerimonia del rientro della bandiera di guerra dell’Unità fino ad allora impegnata in operazioni nel teatro afghano nel quadro della più ampia missione internazionale di pace.

Insomma: ai velivoli militari italiani lo spazio aereo degli EAU viene negato e con esso anche l’utilizzo della cruciale base di al-Minhad, a Dubai, che ospita e nella quale fanno scalo aeri di varie Paesi. L’Italia ne faceva uso dal 2015, cioè da quando dovette organizzare i voli di trasferimento da e per l’Iraq e come scalo in rotta verso le basi italiane in Afghanistan, oltreché come base di supporto per le operazioni multinazionali nel Corno d’Africa e nell’Oceano Indiano. Se confermato (come tutto farebbe pensare), lo sgombero complicherebbe non poco le operazioni di rientro dall’Afghanistan.

CAUSE DEGLI ATTRITI TRA ROMA E DUBAI

La crisi tra Italia ed Emirati Arabi Uniti origina dalla decisione assunta da Roma in gennaio di imporre a Dubai e a Riyadh un embargo sulla vendita di armi e munizionamenti dato l’impegno degli EAU e dell’Arabia Saudita nel sanguinoso conflitto in atto da anni nello Yemen, che vede le due petromonarchie del Golfo in guerra contro gli Houthi filo-iraniani.

L’embargo italiano venne stabilito dall’esecutivo di coalizione presieduto da Giuseppe Conte, sostenuto dal Partito Democratico e dal Movimento cinque stelle.

All’epoca, Luigi Di Maio, esponente pentastellato che ricopriva la carica di ministro degli Affari esteri, si assunse il merito dell’iniziativa definendola «un chiaro messaggio di pace inviato dal nostro Paese» e aggiungendo che «il rispetto dei diritti umani è un impegno per noi obbligatorio». In febbraio il governo Conte è stato sostituito da un esecutivo di unità nazionale guidato dall’ex governatore della Banca centrale europea Mario Draghi, che ha mantenuto Di Maio nella carica.

L’embargo ha scatenato un’immediata minaccia di azione legale da parte di RWM Italia, un’unità con sede in Italia della difesa tedesca Rheinmetall, che ha affermato che avrebbe dovuto licenziare il personale se gli ordini relativi alla commessa per il munizionamento in via di fornitura a quegli Stati belligeranti del Golfo fossero stati bloccati.

LE ARMI ITALIANE (BLOCCATE) E QUELLE USA (CEDUTE)

In realtà, il rapporto con gli EAU iniziò a deteriorarsi già quindici anni fa, quando Finmeccanica (gruppo industriale italiano del settore armiero) non cedette dei velivoli senza pilota (SAPR, sistemi a pilotaggio remoto) precedentemente ordinati dagli emiratini a causa di complicazioni insorte riguardo ai diritti tecnologici.

Sempre in gennaio, l’amministrazione americana presieduta da Joe Biden annunciò che avrebbe esaminato l’ipotesi relativa a una massiccia cessione di armi per un importo pari a più di 23 miliardi di dollari a Dubai, che includeva cinquanta velivoli da combattimento di quinta generazione F-35, droni e munizioni di vario genere, che era stata annunciata dall’amministrazione Trump, in seguito, nello scorso mese di aprile i democratici insediatasi alla Casa Bianca resero noto che avrebbero rispettato gli accordi precedentemente stipulati con gli EAU.

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