Nei paesi a economie avanzate l’inflazione ha ripreso a crescere, in particolare in Germania e negli Usa, dove il tasso sta conoscendo incrementi consistenti, dinamiche che rischiano di consolidare le aspettative riguardo al fenomeno. Ma esso avrà una natura transitoria oppure no?
Un quesito al quale ha provato a fornire una risposta il professor Mario Baldassarri nel corso della consueta trasmissione “capire per conoscere”, condotta dal giornalista Claudio Landi e andata in onda a Radio Radicale lo scorso lunedì 21 giugno.
INFLAZIONE E «RIMBALZO» DELLA CRESCITA
Secondo l’ex ministro dell’Economia e attuale presidente del Centro studi economia reale, la ripresa dell’inflazione registrata in queste settimane «poggia su un rimbalzo della crescita che negli Stati Uniti, che quest’anno sfiorerà il 7% e in Europa si collocherà tra il 4 e il 5%, mentre sullo sfondo c’è la ripresa cinese, che si attesterà al 6 o 7%; su questa base di crescita ovviamente ha iniziato a riprendere anche l’inflazione, che negli Usa è giunta quasi al 5% e, non a caso, la Federal Reserve Usa ha fatto sapere che in prospettiva e con grande prudenza potrà riprendere ad aumentare i tassi di interesse».
Per ora, dunque, è la crescita economica che spinge l’inflazione, tuttavia non si tratterebbe di un fenomeno strutturale, bensì congiunturale. Tuttavia, alcuni economisti temono gli effetti dell’enorme debito pubblico americano, pari a 7 trilioni di dollari, che potrebbe consolidare la crescita dell’inflazione. Al riguardo Baldassarri tende a ridimensionare queste inquietudini, poiché egli afferma che «fintanto che il dollaro, di fatto, resterà l’unica moneta internazionale sia negli scambi commerciali che come riserva di valore, l’enorme debito statunitense potrà venire assorbito dal resto del mondo».
UN’OPPORTUNITÀ PER L’EUROPA
Detto questo, se ne può quindi trarre la conclusione che ci sarebbe un’opportunità per l’Europa, qualora la Federal Reserve dovesse procedere a un incremento dei tassi di interesse. In quell’evenienza, infatti, la Banca centrale europea dovrebbe bloccare i tassi sull’euro, riducendo il valore della moneta comune a fronte di un rafforzamento della divisa statunitense, una congiuntura che spingerebbe ancora di più la crescita economica del Vecchio continente. «Un riequilibrio in termini di crescita tra America ed Europa – commenta Baldassarri – potrebbe essere aiutato anche dai cambi delle due monete».
Ma, un dollaro eccessivamente inflazionato non rappresenterebbe un rischio per l’economia globale?
Certamente sì, tuttavia, anche in questo caso si prospetterebbe un’occasione per l’Europa: se quest’ultima comincerà a guardare all’euro non soltanto come strumento per gli scambi interni, ma anche come moneta internazionale, «e l’Europa comincia timidamente con il Next Generation EU a emettere titoli di debito europeo, beh, questo potrebbe conferire una consistenza internazionale alla moneta unica europea, affiancandola così al dollaro».
GLI IMPATTI DEL FENOMENO SULL’ITALIA
La prospettiva giusta sarebbe quella di avere un «paniere di monete» mondiale che contenga dollaro, euro, yen e renminbi/yuan, poiché il mondo è radicalmente mutato rispetto al passato e, sottolinea Baldassarri, «un “mondo globale” ha bisogno di una “moneta globale”, cioè di un complesso di monete delle maggiori aree economiche del pianeta». Un assunto enunciato già molti anni fa da John Maynard Keynes che, tenuto in conto delle avvenute trasformazioni, ha ancora valore.
Tornando all’inflazione, essa potrebbe avere diversi impatti sull’Italia. «Bisogna avere consapevolezza del fatto che questa fase molto lunga di tassi di interesse molto bassi, che speriamo prosegua ancora, ha dato al Paese la possibilità di sostenere il suo elevato debito pubblico, oggi a oltre il 160% del Pil. Ora, l’occasione per l’Italia è quella di utilizzare bene i fondi europei e attuare le riforme strutturali, onde portare la crescita economica oltre il 3% in termini permanenti da qui al 2030. Ma qui i tempi sono determinanti: fino al 2023 l’impulso alla crescita in Italia deriverà probabilmente dall’impiego dei fondi europei, dopo però dovrà essere l’effetto delle riforme, che si dovranno fare presto se si vorranno ottenere questi auspicati effetti.
LA SCOMMESSA PER IL PAESE
Una scommessa che implica delle responsabilità politiche, poiché si dovrà incidere radicalmente su Giustizia, Fisco, Pubblica amministrazione e altre materie legate all’erogazione dei finanziamenti europei. «Se così sarà – conclude Baldassarri – nel 2024 ci troveremo, magari con i tassi di interesse che nel mondo ricominciano a salire, ma con una solida prospettiva di crescita fino al 2030 e con il rapporto debito pubblico/Pil che regredisce, rendendo conseguentemente solvibile il Paese».
Se questa opportunità non verrà colta, tra due o tre anni l’Italia rischierà di trovarsi nel mezzo di una «tempesta perfetta» determinata da concomitanti fattori: un debito tra i più alti al mondo, i tassi di interesse in crescita e l’economia nazionale frustrata dall’assenza degli effetti derivanti dalle avvenute riforme di natura strutturale.