Sono stati rilasciati quasi tutti i religiosi cattolici maliani che erano stati sequestrati martedì scorso da sconosciuti armati nella regione di Mopti, nel Mali centrale. I due religiosi e i due loro accompagnatori sono stati abbandonati su una strada nella regione di Bandiagar. Permane invece incerta la situazione di padre Leon Dougnon, parroco di Ségué, del quale la conferenza episcopale locale ignora dove sia stato segregato dai suoi rapitori, che potrebbero appartenere a una formazione armata jihadista. Nessun gruppo ha finora rivendicato la responsabilità di quanto accaduto. Al governo maliano, che attraversa una fase di transizione a seguito di due colpi di stato in meno di un anno, sfugge il controllo di vaste aree del paese, in particolare al nord e al centro, dove l’amministrazione centrale è praticamente assente mentre gli attacchi di vari gruppi jihadisti si registrano in aumento.
UN PAESE FUORI CONTROLLO
La regione centrosettentrionale del Mali permane dunque afflitta dalle violenze, oltre al sequestro dei religiosi, recentemente alcuni militari francesi sono rimasti feriti nel corso dell’effettuazione di una missione di ricognizione. I gruppi armati jihadisti imperversano mentre il paese attraversa una prolungata fase di instabilità politica, mentre ormai risulta difficile distinguere tra la violenza perpetrata dagli islamisti radicali e quella delle organizzazione criminali locali, poiché entrambi approfittano dell’assenza di forze in grado di assicurare un reale controllo del territorio.
In seguito all’annuncio del ridimensionamento dell’operazione militare francese Barkhane nel Sahel, si registra un incremento degli attacchi opera dei gruppi jihadisti. Lunedì scorso un terrorista suicida si è fatto esplodere davanti a un blindato delle forze armate di Parigi causando il ferimento di sei militari francesi e di quattro civili maliani, tra cui un bambino. L’attentato è stato compiuto presso Gossi, località del Mali settentrionale sulla strada tra Mopti e Gao, un’area ritenuta essere una roccaforte dei jihadisti, dalla quale essi colpiscono anche il territorio del confinante Burkina Faso.
Tra i religiosi sequestrati in Mali c’è ancora la suora colombiana Gloria Narváez, rapita quattro anni fa nel nord del Paese e attualmente nelle mani del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (GSIM), una rete di vari organizzazioni di affiliazione qaedista aggregatesi nel 2017.
LA LUNGA FASE DI INSTABILITÀ
La crisi maliana si è andata inasprendo a partire dal 2012, cioè da quando sono divampate le tensioni indipendentiste e si è consolidata la presenza dei gruppi jihadisti vicini ad al-Qaeda e a Islamic State. A tutto ciò va poi aggiunta la perdurante instabilità politica, caratterizzata negli ultimi nove mesi da due colpi di Stato militari che hanno portato alla destituzione del presidente in carica Ibrahim Boubacar Keita, l’ultimo dei quali risalente al 24 maggio scorso, che ha portato al potere il colonnello Assimi Gota, ufficiale a capo del Comitato nazionale per la salvezza del popolo (CNSP) che è poi divenuto presidente ad interim fino alle prossime elezioni.
Il compito di monitorare questa delicata fase è stato assunto dal Gruppo di sostegno alla transizione in Mali (GST Mali), organismo istituito dal Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana (UA) nell’ottobre dello scorso anno a seguito del colpo di stato militare. Il GST Mali è composto dagli Stati che confinano con il Paese, dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) e dalla missione dell’Onu in Mali (MINUSMA). L’ultima riunione dell’organismo internazionale ha avuto luogo in marzo a Lomé su iniziativa del capo di Stato togolese Faure Gnassingbé, deciso a darsi un ruolo di primo piano nella gestione della crisi. Al momento non risulta fissata la data del prossimo vertice.
I COLONNELLI GUARDANO A RABAT E RABAT SI MUOVE NEL MALI
Il colonnello Goita è un militare che ha ricevuto l’addestramento in Russia, al contrario di numerosi suoi colleghi dell’esercito maliano, che invece sono transitati dall’accademia militare marocchina, come ad esempio il colonnello Ismael Wague, riconfermato l’11 giugno al ministero della riconciliazione nazionale.
Dal 18 agosto, data del colpo di stato, Goita ha svolto il ruolo di principale referente tra Bamako e Rabat, in un momento nel quale il Marocco dimostra un crescente attivismo nella regione saheliana.
L’elemento apicale del CNSP si è recato personalmente nella capitale marocchina nel mese di febbraio, dove è stato ricevuto dal capo della diplomazia Nasser Bourita, dall’ispettore generale delle Forze armate reali (FAR) Abdelfattah Louarak e dal direttore del servizio di intelligence esterna del Regno (DGED) Yassine Mansouri.
Una visita che ha preluso all’invito ufficiale alla partecipazione di Rabat (la prima in assoluto) alle riunioni del GST Mali fatto che ha suscitato la prevedibile diffidenza dell’Algeria.
IL SAHEL, CRITICA REGIONE DI PROSSIMITÀ
Algeri finora ha svolto un ruolo importante nel quadro della transizione maliana. Infatti, dopo essersi spesa nel processo che nel 2015 condusse alla fine delle ostilità tra il governo di Bamako e i ribelli tuareg del Coordinamento dei movimenti dell’Azawad, l’algerino Smail Chergui ha ricoperto la carica di commissario per la pace e la sicurezza dell’Unione africana, mentre nello scorso mese di marzo il ministro degli esteri algerino Sabri Boukadoum aveva guidato alla riunione del GST Mali di Lomé una delegazione del proprio paese che includeva elementi di vertice dei servizi segreti.
Ma oggi nel teatro maliano irrompe il Marocco, paese rivale di Algeri intenzionato a partecipare a tutti i prossimi lavori dell’istituzione panafricana che riguarderanno il Mali e, più in generale, l’intero Sahel.
In febbraio l’algerino Chergui è stato sostituito nello strategico ruolo di commissario per la pace e la sicurezza in mali dalla nigeriana Bankole Adeoye, avvicendamento che potrebbe portare a un riequilibrio dell’influenza all’interno dell’organizzazione panafricana, addirittura al punto che – si ritiene – che la creazione di una forza multinazionale di intervento dell’Unione africana in Sahel composta da 3.000 militari, che è sempre stata fortemente sostenuta da Algeri, potrebbe venire abbandonata da Adeoye.