Ebrahim Raisi è il nuovo presidente della Repubblica Islamica iraniana. Il religioso e giudice di orientamento ultraconservatore ha ottenuto 17.926.345 voti (circa il 62% dei consensi). Già prima della pubblicazione dei dati ufficiali dello spoglio i suoi due principali rivali (il candidato moderato Abdolnasser Hemmati e il conservatore Mohsen Rezai) hanno riconosciuto la sua vittoria congratulandosi con lui.
La tredicesima consultazione elettorale per il rinnovo della carica di presidente della Repubblica Islamica di Iran, che ha avuto luogo venerdì 18 giugno, medesima giornata nella quale si è votato anche per i consigli islamici di città e villaggi nonché alle parlamentari di medio termine, ha registrato dunque il (per altro previsto) successo del capo della magistratura, un religioso ultraconservatore molto vicino alla Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, che a suo tempo lo nominò al vertice della magistratura iraniana.
ASTENSIONISMO RECORD
Una consultazione elettorale caratterizzata dall’astensionismo, un fenomeno in crescita negli ultimi anni, ma che in questa particolare occasione ha raggiunto un picco mai registrato nel passato nella Repubblica Islamica iraniana. Infatti, per questa importante consultazione si è recato ai seggi soltanto il 48,8% degli aventi diritto al voto, mentre nella capitale Teheran l’astensionismo ha raggiunto addirittura il 74%, un comportamento che ad avviso degli analisti sarebbe stato determinato in buona parte dall’esclusione da parte del Consiglio dei Guardiani della rivoluzione di tutti i maggiori rivali riformisti e conservatori del candidato ultraconservatore, esclusioni delle quali però non sono state rese note le motivazioni.
Secondo il quotidiano di orientamento riformista “Etemad”, inserendo nel calcoli l’alta percentuale di schede bianche e nulle, circa il 13% del totale, il reale dato sulla partecipazione dell’elettorato si attesterebbe ancora più in basso, addirittura al 43%, pari sostanzialmente a quella registrata lo scorso anno in occasione delle parlamentari, che allora segnarono il minimo storico in una consultazione elettorale dalla fondazione della Repubblica Islamica nel 1979. Si tratta comunque di cifre oggetto di contestazione, poiché i conservatori asseriscono invece che a recarsi alle urne sia stato più del 50% degli aventi diritto.
IL PROSSIMO QUADRIENNIO IN IRAN
Nel prossimo quadriennio, un periodo che verrà contrassegnato da importanti eventi per l’Iran e la regione mediorientale intera, al governo a Teheran saranno dunque Raisi e i suoi collaboratori, conseguentemente ci sarà da attendersi una fase politica marcatamente conservatrice, seppure in politica estera, materia di competenza primaria della Guida suprema Ali Khamenei e dei Pasdaran, l’influenza del presidente sarà meno incidente.
L’hojatoleslām Raisi ha percorso tutta la propria carriera all’interno della magistratura, e oggi, grazie alla sua elezione al vertice dello Stato i conservatori sono in grado di controllare tutte le «caselle chiave» della Repubblica Islamica. Al riguardo, per quanto concernono le trattative in corso a Vienna sul nucleare iraniano, alcuni ritengono che l’elezione di Raisi alla carica di presidente potrebbe rappresentare addirittura un vantaggio, poiché si accorcerebbe la catena di trasmissione delle disposizioni emanate da Khamenei e applicate dai livelli inferiori della catena gerarchica della teocrazia.
L’ELEZIONE DI RAISI SUONA LA «SVEGLIA» AL MONDO
A Gerusalemme il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha aperto la sua prima riunione di gabinetto da quando il suo nuovo governo di coalizione ha prestato giuramento con parole dure riguardo al nuovo presidente iraniano. Egli ha infatti affermato che «le elezioni presidenziali in Iran costituiscono un segnale “di sveglia” per le potenze mondiali, prima di tornare a un accordo nucleare con Teheran».
Bennett ha poi aggiunto che «di tutte le persone che Khamenei avrebbe potuto scegliere, ha scelto il “boia di Teheran”, l’uomo infame tra gli iraniani e in tutto il mondo per aver guidato i comitati di morte che hanno giustiziato migliaia di cittadini innocenti nel corso degli anni».
Allo specifico riguardo va rilevato che in passato Ebrahim Raisi era stato sanzionato dagli Stati Uniti d’America per il suo coinvolgimento nell’esecuzione di massa di migliaia di prigionieri politici nel 1988, alla fine del lungo conflitto che oppose l’Iran all’Iraq di Saddam.
IL «GIOVANE» NOMENKLATURISTA DELLA TEOCRAZIA
Raisi ha sessanta anni, quindi è una personalità relativamente giovane nel panorama della teocrazia iraniana, un aspetto non privo di rilievo se viene presa in considerazione la fase di estinzione naturale della prima generazione di vertici religiosi affermatisi a seguito della Rivoluzione islamica di Khomeini. Egli ha attraversato per intero i quattro decenni di vita della Repubblica Islamica ricoprendo un ruolo importante all’interno del sistema istituzionale del suo paese.
Il suo coinvolgimento nel processo che nel 1988 portò alla condanna a morte di almeno quattromila prigionieri politici detenuti all’interno delle carceri iraniane venne a suo tempo reso noto dall’ayatollah Montazeri, tra i possibili successori di Khomeini alla guida dell’Iran poi imprigionato dai suoi avversari politici. Fu proprio Montazeri a definire quelle esecuzioni di massa come «il più grande crimine della storia della Repubblica Islamica d’Iran».
I NEGOZIATI SUL NUCLEARE
Nel corso della campagna elettorale, nei dibattiti televisivi ai quali ha partecipato, Raisi avrebbe continuato a rispettare i termini dell’accordo internazionale stipulato nel 2016 sul programma nucleare. L’atteggiamento realista è funzione dei timori di una ritorsione che aggraverebbe ulteriormente la drammatica crisi economica che affligge da anni il Paese. A questo punto si dovrà attendere la formazione della compagine governativa a Teheran, soltanto allora si potrà disporre di elementi sufficienti a pronosticare meglio il prossimo futuro. Di certo c’è che l’accordo nucleare non potrà venire stracciato dal nuovo esecutivo della repubblica Islamica, poiché le sanzioni e un più stringente blocco economico fa paura anche a i più intransigenti.