LIBIA, stabilizzazione. La tregua regge… per ora

Lo scorso 16 aprile il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato all'unanimità la Risoluzione 2570, approvando il meccanismo di monitoraggio del cessate il fuoco e l'invio di osservatori delle Nazioni Unite

a cura di Giuseppe Morabito, generale dell’Esercito italiano in ausiliaria e membro del direttorio della NATO Defence College Foundation – Lo scorso 16 aprile il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità la Risoluzione 2570, approvando il meccanismo di monitoraggio del cessate il fuoco e l’invio di osservatori delle Nazioni Unite. Sessanta civili fanno parte della componente di monitoraggio del cessate il fuoco e devono lavorare al fianco della Commissione militare congiunta «5+5», composta da cinque ufficiali dell’Esercito governativo libico e cinque dell’Esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar (LNA). La domanda che si pone chi è stato in Libia e ne conosce le dinamiche è quella che gira intorno al dubbio in merito all’evidenza concreta di sapere se sarà sufficiente una squadra di sessanta persone per prevenire il nuovo scoppio delle ostilità in questo paese profondamente diviso.

L’istituzione di un nuovo consiglio presidenziale e di un governo di unità nazionale guidato dal primo ministro Abdulhamid Dbeibha, pienamente approvato dal legittimo parlamento libico, la Camera dei rappresentanti, è un passo importante nella giusta direzione dopo un decennio di guerra civile. Le elezioni generali sono previste per il 24 dicembre 2021 ma la Libia di oggi non ha né una base costituzionale né una legge elettorale e non va dimenticato che dalla mala gestione delle elezioni parlamentari del 2014 è stata uno dei principali fattori scatenanti della successiva escalation della guerra civile.

Dbeibha, un uomo d’affari esperto ma senza un background militare, si concentra principalmente sulla ripresa economica: combattere il coronavirus, gestire la crisi energetica ( sembra incredibile in un paese produttore di petrolio, ma la guerra ha creato questo), migliorare le condizioni di vita della popolazione e rilanciare quel che resta  dell’economia.

Rispetto allo scorso autunno, la situazione della sicurezza nella regione nord-occidentale della Tripolitania è invariata. In alcune zone, come la capitale Tripoli, il tasso di criminalità è molto alto e ci sono frequenti scontri tra varie bande e milizie. Fino ad ora, Dbeibha e il suo ministro degli interni, non hanno assunto alcun controllo diretto sulle potenti unità combattenti e non hanno agito contro le numerose milizie, che si sono tutte legittimate come “forze di sicurezza”.

L’accordo di cessate il fuoco tra l’esercito libico, il GNA, e l’LNA pare al momento funzionare anche se le forze contrapposte si fronteggiano ancora nella regione di Sirte-Al Jufra, una mezzaluna petrolifera strategicamente importante, da dove viene esportata più della metà del greggio libico.

Attualmente non si svolgono combattimenti di rilievo ma permane il rischio di rinnovate e più ampie ostilità in una fase successiva. Probabilmente le ostilità saranno causate da gruppi di opposte milizie nell’evidenza di una profonda sfiducia reciproca. Turchia e Russia, senza sorpresa di chi conosce le attitudini dei due “presidenti uno definito ormai un dittatore, continuano a mantenere, contrariamente all’accordo di cessate il fuoco, una significativa presenza militare nella regione. Entrambe utilizzano hanno utilizzato foreign fighter e mercenari. I turchi hanno inviato in Libia “terroristi” assoldati tra gli ex tagliagole dell’Isis mentre i russi si sono “limitati” ai mercenari della Wagner.

Da un lato, il GNA ha bisogno del supporto turco per mantenere la capacità di controllo delle aree di territorio conquistate nell’avanzata verso est, dall’altra l’LNA, attualmente indebolito, si affida ai russi per difendersi da un eventuale attacco a sorpresa del GNA supportato dalla Turchia e da ingenti rimesse economiche dal Qatar. Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha comunque dichiarato una “linea rossa” da Sirte all’oasi di Al Jufrah (230 chilometri più a sud nel deserto del Sahara) nel giugno 2020 per impedire che la Libia orientale cadesse nelle mani del GNA e della Turchia. Gli analisti concordano che con l’Egitto che credibilmente minaccia di intervenire se questa “linea rossa” fosse superata dal GNA e le milizie turche a suo supporto, un ritorno alla guerra potrebbe facilmente portare ad un’escalation regionale.

Nonostante questi presupposti, in USA ed Europa si continua a credere e sperare che l’attuale situazione politica possa offrire l’opportunità di consolidare il cessate il fuoco, sperando che lo stesso non sia solo un’opportunità che potrebbe risultare vana  senza un’efficiente missione di monitoraggio delle Nazioni Unite

Nella migliore delle ipotesi, una futura missione di monitoraggio potrebbe fornire un quadro chiaro ed esaustivo della situazione militare, comprese le violazioni del cessate il fuoco, il ritiro delle forze straniere e contribuire a rafforzare la fiducia reciproca tra le fazioni in guerra. Nel peggiore dei casi, la missione potrebbe rivelarsi semplicemente simbolica con solo sessanta osservatori che consigliano e monitorano un’area di poco meno di due milioni di chilometri quadrati ( la Libia è per estensione il quarto paese dell’Africa e quasi tre volte la Francia). Per fare un confronto, gli  osservatori della missione delle Nazioni Unite nel Sahara occidentale (MINURSO) sono più di 500 e controllano un’area meno estesa della Libia e sicuramente meno problematica.

In sintesi, è necessario un monitoraggio internazionale credibile. Sebbene nessuna missione potrebbe scoraggiare un nuovo scoppio delle ostilità, sicuramente, se adeguatamente equipaggiata, organizzata, dotata di personale e supportata,  la missione sarebbe almeno in grado di definire da dove proviene l’aggressore iniziale.

Per quanto precede , superando le resistenze di Mosca e Ankara, il contingente di osservatori dovrebbe ammontare ad alcune centinaia di elementi dotati di elevata tecnologia e capacità di movimento sulle tre dimensioni e supportata anche da tecnologia satellitare.

L’operazione UE in corso denominata IRINI, istituita per imporre l’embargo sulle armi in mare, potrebbe fornire, pur rimanendo completamente al di fuori del territorio libico, un supporto almeno iniziale.

Atteso che l’instabilità della Libia è una minaccia per gli interessi nazionali nell’intero bacino del Mediterraneo va sempre tenuto anche conto che  gruppi terroristici sfruttano la mancanza di controlli nella regione meridionale del paese per stabilire  le basi di partenza per le loro operazioni in tutta l’Africa sia destabilizzando, ad esempio, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad e Nigeria, sia come corridoio per alimentare e trarre vantaggi economici  dall’immigrazione clandestina in direzione del nostro paese.

Memori dell’indiscutibile  successo  dal punto di vista militare dell’intervento  guidato dalla NATO del 2011, poi naufragato per l’incapacità diplomatica dell’Europa e degli Stati Uniti, è importante oggi non fare errori di valutazione e mantenere credibile l’impegno in  Libia emarginando sia Turchia sia Russia. Quanto precede rimane comunque poco probabile fino a quando l’amministrazione Biden non manifestera’ un reale interesse a quanto avviene in Libia.

Mentre Italia e Francia hanno le loro differenze di vedute e interesse non si deve negare che un contributo significativo di tutti gli europei alla forza di controllo in Libia è qualcosa di cui gli stessi paesi hanno bisogno e trarranno vantaggio in termini di minore immigrazione clandestina, maggiore sicurezza di parte dei rifornimenti energetici e minore minaccia terroristica soprattutto da rientro dei pericolosissimi  “foreign fighters”.

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