È l’argomento principe: cosa riuscirà a concludere il presidente americano Joe Biden dal suo articolato tour nel Vecchio continente? Nell’era del dopo-Trump, auspicando che non si verifichino (ma non è affatto detto) ritorni di fiamma del sovranismo più esasperato, come quello appunto incarnato dal precedente inquilino della Casa Bianca, Washington cerca di rinsaldare quel necessario legame transatlantico ispirato al multilateralismo che era stato archiviato nel corso dell’intero mandato presidenziale di «The Donald».
Ci sarà molto da discutere in Europa per Biden, a cominciare dalla Nato e dalla possibile riconfigurazione del suo ruolo, per poi finire, tra qualche giorno, a parlare di armi strategiche con il presidente della Federazione russa Vladimir Putin, col quale verrà affrontato il tema del rinnovo del Trattato START 2. Nel frattempo procede il disimpegno militare dall’Afghanistan, un film drammatico già visto in passato che prelude a un finale inquietante, il ritorno dei talebani.
UN NUOVO CONCETTO STRATEGICO
L’occasione di percepire le tendenze in atto riguardo a ciò che diventerà l’Alleanza atlantica è stata offerta dalla Nato Defense College Foundation, che ha organizzato un evento a Roma, presso l’Hotel Hilton, la cui prima sessione ha avuto luogo nel pomeriggio di oggi e che si concluderà domani. Si tratta di un think thank legato all’Alleanza atlantica che tratta di queste specifiche tematiche dal punti di vista strategico.
Attualmente la Nato si trova di fronte a numerose questioni aperte, delle quali la più impellente è quella relativa alla decisione se continuare a essere un’alleanza di natura difensiva oppure ampliare i propri compiti abbracciando nuovi campi di intervento. Una esigenza prospettatasi a seguito della fine del confronto bipolare, cioè da quando, stante la sua missione fondamentale (la difesa collettiva così come stabilita dall’articolo 5 del Trattato di Washington), si sono rese necessarie di volta in volta continue rifocalizzazione dei suoi obiettivi.
IL PROSSIMO VERTICE DI BRUXELLES
Quella attuale è una fase sistemica che pone numerose e variegate sfide ai decisori politici e ai pianificatori della Nato: gli antagonisti Russia e Cina, il terrorismo internazionale, i mutamenti climatici e altre e di queste non ce n’è una che un singolo paese membro sia nelle condizioni di poterla affrontare da solo, quindi, la conclusione risiede nel rafforzamento del legame transatlantico. Di sicurezza collettiva, così come di Iniziativa Nato 2030, si tratterà dunque al prossimo vertice Nato di Bruxelles in calendario per il 14 giugno.
Rafforzare l’unità dell’Alleanza e concentrare le attenzioni sui fondamentali aspetti della resilienza, del rapid deployment, dell’interoperabilità e della tecnologia, settore quest’ultimo nel quale i Paesi membri saranno chiamati a cooperare al fine di promuoverne lo sviluppo, poiché – come si è affermato -, l’attuale vantaggio tecnologico dell’Occidente non va considerato per scontato.
MANTENIMENTO DELL’ORDINE INTERNAZIONALE
La Nato deve potenziare le proprie attività al fine di preservare l’ordine internazionale è stato detto, e gli avversari sono chiari: Federazione russa (in attesa dell’era post-Putin) e Repubblica popolare cinese, paesi che incrementano sempre più la loro presenza nel mondo anche attraverso interventi «ibridi» in grado di destabilizzare i paesi vicini alla Nato, per quest’ultima importanti partner.
Non è una novità che la regione dell’Indo-Pacifico rappresenti la priorità per Washington, che, infatti, ha da tempo iniziato a spostare le proprie forze in quel teatro operativo. La Nato è un’organizzazione difensiva regionale capace di impegnarsi anche in sfide di respiro globale. Oggi per gli Stati Uniti d’America l’alleanza con l’Europa costituisce un vantaggio in termini commerciali, quindi è probabile che Washington sosterrà la Nato, seppure in una chiave calibrata con riguardo al contenimento di Pechino in termini economici e militari.
GLI EUROPEI E LA CINA
L’Unione europea non potrà rimanere a lungo neutrale nel confronto senza però pagare un prezzo sul piano transatlantico, altrimenti verrebbe indebolito il legame con gli americani. Se la Russia rappresenta la maggiore sfida alla sicurezza transatlantico e nell’Indo-Pacifico gli americani incrementano gli investimenti militari, il burden sharing degli europei della nato sarà nei Balcani e in Africa. Infatti, il Mediterraneo rappresenterà il «test chiave» della collaborazione Ue-Nato. Posto che è impossibile separare l’economia cinese da quella mondiale, l’approccio percorribile rimane quello della cautela e del realismo. Oggi la Repubblica popolare cinese non costituisce una minaccia militare diretta per la Nato, ma l’Europa ne ha una dipendenza economica. Attualmente Pechino e Mosca non hanno interessi convergenti e «pesano» in modo differente sul piano globale, però è possibile che rivengano più di una ragione per consolidare un’alleanza «di necessità», cosa che la Nato dovrà evitare a tutti i costi.
ASPETTANDO I TALEBANI
Intanto prosegue il disimpegno militare occidentale dall’Afghanistan, che procede di pari passo con la crescita delle inquietudini per il futuro del Paese centroasiatico, che rischia di precipitare nuovamente nel buco nero dell’islamismo radicale «istituzionalizzato» e di quello jihadista che rinviene le proprie radici in Islamic State. Anche in questo specifico caso esistono dei diretti addentellati con le dinamiche della Nato, poiché il ritiro del dispositivo militare americano potrebbe avere un impatto sulla credibilità e sul futuro concetto strategico dell’Alleanza, con paventati rischi reputazionali.
Certamente si tratta di qualcosa che era nell’aria già da tempo, molto prima che Biden lo annunciasse ufficialmente, da quando Obama registrò il calo di interesse dell’opinione pubblica americana per questo genere di missioni. Sull’argomento a insidertrend.it è intervenuto il generale alpino Giorgio Battisti, comandante a vari livelli delle forze di pace in Afghanistan a partire dalla prima missione iniziata nel 2002.