CINA, pandemia coronavirus. «Virus di Wuhan» si può dire…

Quando si entra nel mondo della geopolitica la questione conta molto, in particolare per gli Stati Uniti e la Cina Popolare. Quindi, una nuova indagine sulle origini del virus deve essere vista nel contesto di un lungo iter di reciproche condanne e accuse tra Washington e Pechino

di Giuseppe Morabito, generale in ausiliaria dell’Esercito italiano e membro del direttorio della NATO Defence College Foundation – Molti nel mondo sviluppato e democratico si chiedono se è importante sapere da dove provenga il virus che causa la pandemia in corso. In termini di medicina, forse la questione non si pone in quanto i contagiati devono ancora essere curati, la importantissima campagna vaccinale completata  e la crisi della salute pubblica va comunque gestita.

Quando si entra nel mondo della geopolitica la questione conta molto, in particolare per gli Stati Uniti e la Cina Popolare. Quindi, una nuova indagine sulle origini del virus deve essere vista nel contesto di un lungo iter di reciproche condanne e accuse tra Washington e Pechino. La scorsa settimana il presidente americano Joe Biden ha annunciato di aver ordinato un’ulteriore indagine dell’intelligence statunitense sulle origini del CV-19, ordinando di ricevere un rapporto entro novanta giorni.

Il presidente, eletto da poco più di cento giorni, ha rivelato che la complessa struttura dell’intelligence statunitense è divisa tra due probabili scenari (contatto umano con animali o incidente di laboratorio) e non è stata in grado di valutare se uno sia «più probabile dell’altro».

Questo è un cambio di rotta significativo rispetto allo scetticismo iniziale sulle teorie che coinvolgono l’Istituto di virologia cinese di Wuhan e , anche se qualcuno rimane sorpreso, riprende la linea di giudizio e condotta in merito alla specifica problematica del predecessore di Biden, il presidente Trump.

L’anno scorso, infatti, in aperta contrapposizione con il presidente in carica, era stato dichiarata da alcuni scienziati, impegnati con il dipartimento della salute statunitense, la loro collegiale convinzione nel condannare fermamente le teorie della cospirazione che suggerivano che la pandemia non avesse un’origine naturale.

In questi ultimi giorni la posizione di chi sostiene la teoria dell’ipotesi degli «incidenti di laboratorio», disconoscendo quanto dichiarato precedentemente, sta diventando molto più accreditata negli Stati Uniti. Inoltre, il mese scorso un articolo del “Wall Street Journal” riportava di malattie tra gli operatori di laboratorio di Wuhan poco prima dei primi casi di Covid-19.

Con l’amministrazione Biden, che sta facendo un soddisfacente lavoro per tenere sotto controllo la pandemia negli Stati Uniti, il fatto che si stia ancora concentrando sull’origine del virus diventa un elemento importante della politica interna in merito alla questione. Tutti ricordano che in campagna elettorale il Presidente Trump avevo promesso un rapporto conclusivo ed esaustivo e oggi in suo successore non può permettersi di essere considerato meno determinato.

Chi conosce le dinamiche del popolo americano sa bene che quando si tratta delle terribili e nefaste conseguenze della pandemia, gli Stati Uniti vorranno che i libri di storia mostrino la grande potenza americana come vittima del risultato delle azioni malevole di forze esterne, piuttosto che il popolo americano  abbia subito la conseguenza propria di una cattiva gestione.

Questo è stato particolarmente evidente durante l’amministrazione Trump. Di fronte alla crisi sanitaria in corso, l’amministrazione in carica nel 2020 aveva sottolineato l’origine del virus, con Trump e funzionari a lui fedeli che si riferivano al «virus cinese» o «virus di Wuhan».

Gli Stati Uniti hanno giustamente criticato l’iniziale  cattiva gestione cinese, con l’ex segretario di Stato Mike Pompeo che ha parlato della noncuranza da parte di Pechino delle prime avvisaglie del contagio e della mancanza di trasparenza. La sintesi del messaggio 2020 era che la pandemia era “made in China”.

Analizzando la reazione della Cina Popolare, sia immediata sia successiva alla evidenza della pandemia è evidente che Pechino ha fatto di tutto perché, nonostante la pandemia sia partita da Wuhan,  la grande nazione asiatica fosse indicata come il paese che ha mostrato al mondo come sconfiggere il virus, non come quello che lo ha scatenato.  La Cina Popolare  avrebbe anche provato a “confondere le acque” intorno all’origine del virus, anche facendo accreditare le voci del sospetto che potrebbe essere l’esercito americano che ha contrabbandato l’epidemia a Wuhan.

Pechino ha sempre messo in evidenza, a livello internazionale, il successo nella lotta alla pandemia con un numero di casi dichiarati basso e, a livello nazionale, questo è stato usato per mostrare la superiorità del sistema politico e di governo del comitato centrale del partito comunista.

Sempre nel contesto internazionale, Pechino sta usando in suo soft power sfruttando amicizie politiche e favori economici a paesi terzi, per avvalorare l’immagine di una potenza globale responsabile e umanitaria, un paese che aiuta gli altri con forniture mediche attraverso la sua “diplomazia della mascherine” che tutti sanno ormai sia stato solo il mezzo per liberare le proprie aree di stoccaggio da un surplus di produzione forse talvolta non a norma Ue.

In merito si deve ricordare che nel 2020, i 194 Stati membri dell’Assemblea mondiale della sanità ( da cui è ingiustamente esclusa la democratica Taiwan per il veto di Pechino) hanno cercato di ottenere una valutazione indipendente e completa della risposta sanitaria internazionale alla pandemia. Ciò è avvenuto attraverso un gruppo di esperti indipendenti per la preparazione e la risposta alla pandemia, guidato dall’ex primo ministro della Nuova Zelanda Helen Clark e dall’ex presidente liberiano Ellen Johnson Sirleaf.

Nel suo rapporto di maggio, il panel ha criticato la non  tempestiva gestione della Cina Popolare e il ritardo dell’Organizzazione mondiale della sanità nel dichiarare un’emergenza ma non ha dato evidenza delle origini del virus, dichiarando che l’esatto ciclo di trasmissione rimaneva a quel momento sconosciuto.

l compito di indagare sulle origini del virus è stato poi affidato a una missione tecnica congiunta dell’Organizzazione mondiale della sanità e della Cina Popolare.

La citata missione ha definito che lo scenario del laboratorio era “estremamente improbabile” ma tale giudizio è stato criticato quando si è trattato di analizzare i dati messi a disposizione. Gli Stati Uniti hanno affermato che il rapporto fornisce un quadro “parziale e incompleto” e, nonostante le speranze di Pechino, il rapporto non ha risolto i dubbi sull’origine del virus.

Washington ha invitato l’OMS ad aprire una seconda fase della sua indagine, che Pechino ha rifiutato  creando quindi i presupposti per cui, a OMS bloccata, l’amministrazione Biden dichiari che pubblicherà i risultati della propria inchiesta.

Nell’immediato, non ci sono conseguenze evidenti per l’Europa e l’Italia. La forma delle relazioni USA-Cina sotto Biden è chiara: competitiva quando dovrebbe essere, collaborativa quando può e contraddittoria quando deve.

Nel mondo geopolitico c’è chi afferma che dovremmo aspettare fino alla fine della crisi per “assegnare la colpa”,  ma questo probabilmente  non accadrà sin quando gli Stati Uniti e la Cina saranno interessati a tale decisione.

Bisogna ricordare che il virus Ebola è internazionalmente chiamato cosi perché’ proveniente dalla zona dell’ omologo fiume in Congo oppure, andando indietro nella storia all’inizio dello scorso secolo, che all’influenza che uccise decine di milioni di persone fu dato il nome di «spagnola» poiché la sua esistenza in quel paese fu riportata da prima soltanto dai giornali spagnoli. La Spagna non era coinvolta nel conflitto mondiale in corso e la sua stampa non era soggetta a censura di guerra mentre nei paesi belligeranti la rapida diffusione della malattia fu nascosta dai mezzi d’informazione, che tendevano a parlarne come di un’epidemia circoscritta alla Spagna.

Nel mondo libero, oggi,  tutti coloro che non hanno pregiudizi politici o interessi economici, ammettono, dopo aver superato le antipatie per il  Presidente Trump, che la battaglia per controllare la narrativa cinese del «virus di Wuhan»  è iniziata lo stesso giorno della battaglia contro il virus stesso.

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