STRATEGIA, analisi. Nuova via della seta cinese e pandemia: qualcosa passa da Dubai?

Alla luce degli ultimi sviluppi indotti sia dagli effetti del coronavirus che delle dinamiche proprie dell’economia e del confronto tra le potenze e i maggiori centri mondiali di interesse, il generale Giuseppe Morabito affronta gli aspetti connessi con lo sviluppo del grande progetto cinese finalizzato, tra l’altro, al raggiungimento del massimo livello possibile di sicurezza nella movimentazioni delle merci sui mercati; indispensabile al conseguimento di tale obiettivo, però, è una crescente influenza di Pechino in Asia, Africa e Mediterraneo

di Giuseppe Morabito, generale dell’Esercito italiano in ausiliaria e attualmente membro del direttorio della NATO Defence College Foundation – La pandemia proveniente dalla Cina Popolare, tecnicamente «CV 19», ha reso il 2020 uno degli anni peggiori per l’industria energetica, poiché ha influenzato negativamente i mercati influendo conseguentemente anche sui prezzi delle materie prime di importanza nevralgica per il commercio globale. La NATO Defence College Foundation, in particolar modo Fabio Indeo, hanno analizzato con attenzione questo fenomeno allo scopo di definirne i contorni geopolitici.

IL MEDIO ORIENTE AL CENTRO DELL’ATTENZIONE

I principali aspetti evidenziatisi nel corso della crisi sono stati l’emergere sorprendentemente rapido degli Stati Uniti d’America quale principale produttore mondiale di petrolio e di gas, le prospettive non certo positive per i paesi membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG), il ruolo dell’Asia nel rilanciare la domanda globale di petrolio e gas e il ruolo sempre più importante della Cina Popolare negli affari del Medio Oriente in quanto tra i maggiori importatori mondiali di idrocarburi.

Il Medio Oriente, tornato in queste ore al centro dell’attenzione a causa degli avvenimenti che si stanno verificando in Israele e nella striscia di Gaza, svolge un ruolo importante nell’ambizioso progetto geoeconomico sviluppato da Pechino e basato sulla interconnettività globale, poiché si tratta di una regione strategica situata al crocevia tra Europa, Africa e Asia, continenti che la China Belt and Road Initiative (BRI, Nuova Via della seta) intende collegare.

Una regione che è anche la fonte fondamentale per l’approvvigionamento energetico cinese, quindi Pechino l’ha coinvolta interamente nelle rotte marittime e terrestri del suo mastodontico progetto.

UNA CATENA GEOECONOMICA CON ASIA ED EUROPA

La componente marittima della BRI (denominata MSR) è una catena geoeconomica del valore pari alla metà del commercio globale tra la stessa Cina, l’Asia orientale e Europa. Il progetto prevede lo sviluppo di una serie di complessi porto-parco industriale attraverso le linee di comunicazione marittima strategiche (SLOC) che collegano la Cina a Golfo persico, Mar Arabico, Mar Rosso e al Mediterraneo. All’interno della componente terrestre il Medio Oriente costituisce l’ultimo segmento del corridoio economico originante in Asia, attualmente in fase di sviluppo. Esso inizia nella provincia cinese dello Xinjiang, quindi attraversa l’Asia centrale per poi raggiungere l’Iran e la Turchia.

Pechino sta completando la sua BRI attraverso un’azione diplomatica tesa a formare un  partenariato «su misura» con i Paesi mediorientali, tuttavia, il successo dei suoi sforzi di partnership dipenderà dalla capacità dei vari attori coinvolti di gestire le loro reciproche rivalità, nonché da come Washington reagirà alle mosse cinesi preordinate all’estensione della propria influenza nella regione.

GOLFO PERSICO: GLI «HUB» MARITTIMI CINESI

I paesi del Golfo Persico (o Arabico, che dir si voglia) si trovano dunque coinvolti in qualità di attori attivi nella iniziativa cinese, che rinviene quali hub marittimi i porti di Khalifa (Emirati Arabi Uniti, EAU), Duqm (Oman), Jizan (Arabia Saudita) oltre a quelli di Port Said (Egitto), Ain Sokhna (Gibuti) e Ashdod (Israele).

Per i Paesi del Golfo una partnership con Pechino potrebbe rivestire importanza ai fini del sostegno ai loro sforzi tesi alla diversificazione economica, possibile attraverso una riduzione della loro notevole e pericolosa dipendenza dalle esportazioni petrolifere.

L’Arabia Saudita, in  modo particolare, è intenzionata ad attrarre investimenti per realizzare centrali nucleari allo scopo di soddisfare il suo crescente fabbisogno di elettricità e ridurre così la sua dipendenza dal petrolio, questo mentre gli EAU sembrerebbero invece propensi a cooperare con le aziende cinesi al fine di incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili (principalmente solare)  in linea con la loro visione «green» di Clean Energy Strategy 2050.

BYPASSARE LO STRETTO DI HORMUZ

La chiave degli sforzi della Cina per promuovere la MSR e conseguire il suo obiettivo di diversificazione geografica e sicurezza delle rotte commerciali risiede però nella cooperazione con l’Oman, più che negli accordi con gli emirati del Golfo.

Duqm e gli altri porti del sultanato sono importanti per Pechino perché si trovano fuori dalla strozzatura dello Stretto di Hormuz, congestionata dal traffico navale e vulnerabile per via delle imprevedibili azioni imprevedibili dell’Iran.

A seguito del recente incidente occorso alla portacontainer nello Stretto di Suez è apparsa oltremodo evidente la vulnerabilità dei globali rispetto ai blocchi navali, comunque essi si verifichino.

La Repubblica popolare cinese ha quindi iniziato a sostenere gli sforzi dell’Oman (che permane la monarchia meno ricca dell’area) di ampliamento della propria rete nazionale di strade e ferrovie, collegandole ai corridoi di trasporto degli altri paesi della Penisola arabica, sviluppando in questo modo dei corridoi marini-terrestri combinati quali alternative alle rotte che attraversano Hormuz.

LA DIRAMAZIONE FERRIOVIARIA MERIDIONALE E L’IRAN

Al riguardo, di estremo interesse risulta la visione strategica di Fabio Indeo, che sottolineando come dal punto di vista cinese le aree portuali di Duqm e Dubai siano tra loro alternative (dunque in grado di consentire una diversificazione delle rotte a fini di sicurezza), pone altresì in luce come la strategia di Pechino possa trovare applicazione anche nel Mediterraneo, laddove i porti greci e Italiani rappresentano le alternative di approdo delle merci cinesi dirette ai mercati dell’Europa centrale dopo che esse abbiano superato il critico collo di bottiglia di Suez.

Per quanto concerne l’Iran, va rilevato che la sua posizione strategica è importante anche in funzione di hub di transito ferroviario della BRI, infatti, la rotta terrestre che attraversa il territorio della Repubblica Islamica costituisce la diramazione meridionale del corridoio sino-asiatico, concepito come alternativa alla principale rotta marittima e terrestre transcaspica.

La Repubblica popolare cinese sta finanziando il potenziamento della rete ferroviaria iraniana volta a collegare la provincia cinese dello Xinjiang alla città di Teheran, per poi raggiungere la Turchia e l’Unione europea, un impegno che, con ogni probabilità, in cambio otterrà una relativa calma» nel Golfo Persico.

LA «LIAISON» SINO-IRANIANA

Tutto possibile ma non certo, poiché lo scorso anno Pechino e Teheran hanno negoziato un nuovo accordo di cooperazione della durata di un quarto di secolo al fine di implementare la loro partnership strategica e sembrerebbe che i cinesi siano disposta a sfidare le sanzioni statunitensi imposte all’Iran, anche alla luce del recente ulteriore deterioramento delle loro relazioni con Washington.

La Cina Popolare aveva ridotto le importazioni di petrolio dall’Iran rivolgendosi all’Arabia Saudita per i propri approvvigionamenti, ma un rapporto del quotidiano “New York Times” ha rivelato che da una bozza di accordo di cooperazione emergerebbe che Pechino potrebbe proseguire con i suoi investimenti in Iran allo scopo di sviluppare i settori delle materie prime energetiche, petrolio e gas, nonché in quello dei prodotti petrolchimico, contribuendo allo sviluppo delle infrastrutture di trasporto e agli impianti di produzione della Repubblica Islamica. Quale corrispettivo Pechino otterrebbe delle forniture di idrocarburi iraniani a prezzi di favore per i prossimi venticinque anni, un accordo dunque che presenterebbe mutui vantaggi per entrambi.

ALLA RICERCA DELLA MASSIMA SICUREZZA POSSIBILE

Va infatti rammentato che le merci cinesi desinate all’esportazione vengono imbarcate nei porti della Repubblica Popolare e poi navigano nell’Oceano Indiano attraversando i diversi punti di strozzatura (i cosiddetti «colli di bottiglia») prima di raggiungere il Mediterraneo e quindi l’Europa, e tra di essi c’è il canale di Suez. Le rotte  energetiche si sviluppano invece in direzione inversa, recando il petrolio e il gas naturale estratto in Medio Oriente e attraversando i punti di strozzatura vulnerabili, tra i quali soprattutto lo stretto di Hormuz e quello di Malacca.

Da qui si comprende come uno degli obiettivi principali della Via della seta sia quello della sicurezza della navigazione attraverso l’appianamento delle tensioni e dei conflitti regionali, il contrasto dei fenomeni della pirateria e del terrorismo mediante il soft power o ricorrendo se necessario all’impiego di forze militari nei casi in cui pechino percepisca minacce ai suoi interessi.

Il Libro bianco sulla strategia militare redatto in Cina nel 2015 definisce la protezione degli interessi della Repubblica Popolare all’estero come un compito strategico; nel testo vengono «legalizzate» le attività antiterrorismo condotte al di fuori del proprio territorio nazionale dalle forze di sicurezza cinesi.

GOLFO PERSICO E CORNO D’AFRICA: VERSO UN MUTAMENTO DI SCENARIO?

Allo scopo, Pechino si è assicurata una base militare a Gibuti, motivando ufficialmente questa sua proiezione con la «necessità di fornire sicurezza lungo le vie marittime che lambiscono il Corno d’Africa (Bab el-Mandeb) e il Mar Arabico.

La cooperazione sino-iraniana viene ovviamente vista con preoccupazione da Washington e dai Paesi arabi del Golfo, perché potrebbe mutare lo schema di sicurezza regionale basato sul ruolo primario degli Usa quali fornitori di sicurezza.

Si rifletta su quanto accadde alla fine del 2019, cioè prima della crisi tra gli Usa e l’Iran generata dall’eliminazione del generale iraniano Qasem Soleimani; allora  Iran, Cina e Russia avevano sfidato Washington per il ruolo di fornitore di sicurezza areale, svolgendo una esercitazione navale congiunta nell’Oceano Indiano e nel Mare di Oman.

Un “tempo di pandemia” è  ormai trascorso ma nella regione quasi nulla si è verificato, atteso che per gli Stati arabi del Golfo e per l’Iran gli investimenti cinesi assumono rilevante importanza allo scopo di promuovere le sia le loro economie sia i programmi di diversificazione energetica. Tuttavia, la presenza cinese nella regione potrebbe alimentare nuove tensioni a causa delle decisioni assunte dell’amministrazione Biden sia dal comitato centrale del Partito comunista cinese.

IN ATTESA DI DUBAI EXPÒ 2021

In ogni caso, per i prossimi mesi l’attenzione nell’area del Golfo Persico verrà concentrata sull’Expo 2020 di Dubai, esposizione mondiale posticipata di un anno che inizierà il prossimo mese di ottobre e che per la prima volta avrà luogo in un paese mediorientale, negli EAU, cioè uno degli attori della straordinaria iniziativa di pacificazione regionale promossa con successo dal presidente americano Donald Trump, gli Accordi di Abramo.

L’Expò, che ha luogo a cadenza quinquennale in uno dei paesi più industrializzati del mondo, avrà una durata di sei mesi, quindi fino al 31 marzo del 2022, e avrà quale tema la «connessione delle menti» e la «creazione del futuro» (Connecting Minds, Creating the Future). A questo punto c’è da sperare che le «Connessioni» della Via della seta siano per un «futuro positivo per tutti», anche per Italia, e non soltanto per Pechino.

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