Alle otto della sera (ora di Tel Aviv) la Jihad islamica palestinese ha reiterato la sua minaccia di bombardamento del territorio israeliano, rendendo noto che altri razzi sarebbero stati lanciati per le nove. Queste le ultime dinamiche registrate finora in una giornata da dimenticare per Israele e i palestinesi, caratterizzata ancora da violenze.
Gli eventi di oggi
Dopo l’ultimatum di Hamas è dunque giunto l’attacco della Jihad islamica palestinese: dei numerosi razzi lanciati contro il territorio di Israele almeno otto sono stati diretti su Gerusalemme, uno dei quali ha fatto scattare il sistema difensivo antimissile Iron Dome, che, solitamente, si attiva nel caso che gli ordigni siano diretti su un obiettivo concreto e non in campo aperto.
In precedenza l’allarme era scattato ad Ashkelon, mentre oggi decine di incendi sono stati segnalati nei terreni agricoli israeliani, provocati dagli intensi lanci di palloni incendiari effettuati dalla striscia di Gaza.
Saraya al-Quds, l’ala militare dell’organizzazione armata filoiraniana, ne ha rivendicato il complessivo lancio di trenta, inoltre, un suo portavoce ha attribuito alla propria formazione anche la responsabilità del tiro di un razzo anticarro Kornet contro un «veicolo militare» israeliano che si trovava in prossimità della linea di demarcazione, razzo che ha però colpito un autoveicolo civile, il cui conducente si è salvato.
In Israele sono dunque risuonate le sirene di allarme, mentre la polizia ha evacuato il Muro del Pianto. La minaccia lanciata dall’organizzazione islamista palestinese filiazione dei Fratelli musulmani aveva preteso che la polizia israeliana liberasse la spianata delle moschee entro le ore diciotto (le diciassette in Italia), oltre al rilascio dei manifestanti palestinesi arrestati in questi ultimi giorni di violente proteste di piazza.
L’escalation in una fase oltremodo delicata
Hamas, per bocca di Abu Odeiba, aveva dato tempo alle autorità dello Stato ebraico fino a quell’ora per far uscire i militari e gli agenti, oltre ai coloni ebrei, dalla moschea di Al Aqsa e dal quartiere di Sheikh Jarrah, assieme a quello di Silwan al centro di una controversia apparentemente irrisolvibile, quella degli sfratti esecutivi di alcuni nuclei familiari palestinesi residenti, che tuttavia, in forza di una sentenza giudiziaria emessa da un tribunale israeliano, saranno costretti ad abbandonare le loro abitazioni in quanto alcuni coloni ebraici ne hanno rivendicato la proprietà sulla base di risalenti e contestate atti documentali.
Hamas e le altre fazioni palestinesi che hanno deciso di attaccare lo Stato ebraico lo hanno fatto in una fase estremamente delicata, con una crisi politica che in Israele si protrae ormai da tempo che vede al governo il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu (si cerca infatti di formare un nuovo e stabile esecutivo), con una società che non è mai stata così polarizzata, mentre, dal lato palestinese, la frustrazione per il rinvio delle elezioni imposto dalla classe politica di Ramallah, declinante ed erosa dal suo stesso potere, che timorosa di una sconfitta nelle urne ha optato per un prolungamento artificiale e d’autorità della propria sopravvivenza.
La reazione militare israeliana
Secondo il comando supremo di Tsahal (le Forze di difesa israeliane) i combattimenti a Gaza probabilmente proseguiranno ancora per diversi giorni, poiché esso ritiene che l’attuale ciclo di violenze si protrarrà. Intanto, le unità militari hanno iniziato a colpire gli obiettivi di Hamas nella striscia di Gaza. Dopo i raid aerei, anche l’esercito si sta preparando all’eventualità di operazioni terrestri; diverse le opzioni esplorate, da un conflitto di maggiori dimensioni a una campagna di eliminazioni mirate dei principali leader delle organizzazioni armate palestinesi attive nella striscia.
Per il momento, il portavoce delle IDF ha confermato gli attacchi aerei alle cellule di lancio dei razzi, che avrebbero portato alla morte di almeno tre militanti palestinesi.
Dal ministero della salute di Gaza è stato invece reso noto che le persone rimaste uccise negli attacchi aerei israeliani finora sarebbero nove, tra i quali figurerebbero anche tre bambini. Al riguardo il portavoce militare israeliano non ha commentato ufficialmente la notizia, seppure altri funzionari dello Stato ebraico hanno dichiarato che i minori sarebbero morti a causa dell’esplosione accidentale dei razzi che stavano tentando di lanciare dal territorio della Striscia.
Incidenti alla Spianata delle Moschee
Nuovi incidenti tra i manifestanti palestinesi e la polizia israeliana si sono verificati sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme, in una giornata durante la quale la stessa polizia israeliana aveva fatto rispettare il divieto di accesso ai fedeli ebrei alla Spianata delle Moschee (che per gli ebrei è il Monte del Tempio), questo al fine di evitare ulteriori violenze e contrapposizioni dirette con gli ottomila fedeli musulmani presenti.
Secondo la Mezzaluna rossa il numero dei palestinesi rimasti feriti negli scontri con la polizia ammonterebbe a oltre trecento, di questi, più di duecento hanno dovuto fare ricorso alle cure in ospedale e sette di loro versano in gravi condizioni.
Il portavoce ufficiale di Hamas dal sito web della sua organizzazione ha poi soffiato sul fuoco, incitando i palestinesi alla rivolta: «Quanto avviene nella Moschea al-Aqsa – ha egli dichiarato – è una vera strage e un crimine di guerra. Facciamo appello al nostro popolo affinché scenda nelle strade e affronti l’occupante», mentre Hussein al-Sheikh, esponente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), riferendosi agli scontri in atto a Gerusalemme est ha dichiarato che «l’Anp sta valutando tutte le possibilità per rispondere a questa aggressione criminale contro i luoghi santi e i residenti».
Notte di violenze a Gerusalemme ed Haifa
In giornata è stata spesa la “marcia delle bandiere” che avrebbe dovuto avere luogo nella Città vecchia, per ragioni di sicurezza evacuato inoltre il Muro del Pianto e anche la Knesset mentre i deputati si trovavano in riunione. Nel tardo pomeriggio gli esponenti del partito arabo Ra’am, rappresentato nel parlamento israeliano, hanno sospeso i colloqui su Gaza e Gerusalemme precedentemente intavolati con i rivali politici del premier uscente Netanyahu in vista della formazione di un nuovo esecutivo.
Nella notte le violenze avevano avuto luogo principalmente alla Porta di Damasco, dove centinaia di dimostranti hanno fatto segno gli agenti del lancio di pietre e corpi contundenti, questi ultimi, a loro volta, hanno risposto mediante il lancio di granate stordenti ed effettuando cariche di alleggerimento al fine di disperdere i manifestanti palestinesi.
Registrati scontri anche a Sheikh Jarrah, dove la polizia è intervenuta contro i manifestanti palestinesi dopo che «fuochi d’artificio» erano stati fatti esplodere contro le case. Tafferugli anche nella città portuale di Haifa, nel nord del Paese, dove dieci manifestanti sono stati tratti in arresto.
Duro monito di Netanyahu
Nel pomeriggio il primo ministro uscente Netanyahu non aveva usato mezzi termini nel definire l’escalation in atto, dichiarando pubblicamente che: «La battaglia in corso per lo spirito di Gerusalemme rappresenta la lotta secolare tra tolleranza e intolleranza, fra violenza selvaggia e mantenimento di ordine e legge», aggiungendo che «gli elementi che ci vogliano espropriare dei nostri diritti ci spingono periodicamente ad erigerci con una posizione forte, come sta facendo adesso la polizia che appoggiamo. Solo la sovranità israeliana consente la libertà di culto per tutti», concludendo infine con una critica al sistema dell’informazione, poiché a suo avviso «le immagini dei mass media mondiali sono distorte e falsificano la situazione, ma la verità alla fine prevarrà».
In serata egli ha rincarato la dose ammonendo duramente l’organizzazione fondamentalista palestinese al potere a Gaza: «Hamas ha varcato una linea rossa e Israele colpirà con grande potenza; non tolleriamo attacchi al nostro territorio, alla nostra capitale, ai nostri cittadini e ai nostri soldati: chi ci attacca pagherà un duro prezzo».
Le reazioni dell’Onu
Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha «espresso la sua profonda preoccupazione per le continue violenze nella Gerusalemme est occupata, nonché per i possibili sgomberi di famiglie palestinesi dalle loro case nei quartieri di Sheikh Jarrah e Silwan». In seguito, attraverso una nota diffusa da un portavoce delle nazioni Unite, Israele è stato «esortato a cessare le demolizioni e gli sfratti, in linea con i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario. Le autorità israeliane devono esercitare la massima moderazione e rispettare il diritto alla libertà di riunione pacifica».
«Tutti i leader hanno la responsabilità di agire contro gli estremisti e di pronunciarsi contro gli atti di violenza e istigazione», proseguiva poi la nota. Guterres ha inoltre esortato a «mantenere e rispettare lo status quo nei luoghi santi», oltre a ribadire il proprio impegno, anche attraverso il Quartetto per il Medio Oriente, a sostenere palestinesi e israeliani nella risoluzione del conflitto, «sulla base delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite, del diritto internazionale e degli accordi bilaterali».
L’Onu non è riuscita a emettere un comunicato congiunto del proprio Consiglio di sicurezza su Gerusalemme a causa dalla riluttanza degli Usa a sottoscrivere la bozza elaborata dalla delegazione norvegese nel corso della riunione di emergenza di oggi. In essa si condannavano tutte le violenze perpetrate nella Città santa e si sollecitavano altresì entrambe le parti ad agire per riportare la calma. A essa sono stati apportati diversi emendamenti, tra i quali uno che menziona il lancio di razzi e di ordigni incendiari da parte dei palestinesi di Gaza contro Israele.
Quattordici dei quindici membri hanno sostenuto l’ultima bozza della dichiarazione, tuttavia non si è riuscito ad andare avanti dopo che gli Usa hanno chiesto un tempo maggiore per deliberare sulla questione.
La posizione della Giordania e la «voce grossa» di Erdoğan
Dal canto suo, il rappresentante diplomatico dell’Unione europea presso lo Stato ebraico, Emanuele Giaufret, si è detto «estremamente preoccupato a causa della spirale di tensione tra israeliani e palestinesi a Gerusalemme est», definendo comunque «totalmente inaccettabile» il lancio terroristico dei razzi dalla striscia di Gaza.
Re Abdallah II di Giordania in una telefonata avuta oggi con il presidente dell’Anp Abbas ha condannato «le violazioni e le misure israeliane» adottate sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme, sottolineando che «devono cessare immediatamente le pericolose provocazioni contro gli abitanti della Città». Secondo quanto riferito dall’agenzia ufficiale di stampa giordana “Petra”, poco dopo, il ministero degli esteri di Amman ha convocato l’incaricato di affari israeliano nel Regno hashemita, al quale è stata espressa «la condanna del governo giordano delle continue violazioni a danno della santa Moschea di al-Aqsa, gli attacchi sulla Spianata ai fedeli e agli abitanti di Gerusalemme, specialmente a Sheikh Jarrah».Erdogan: “Turchia farà di tutto per fermare il terrorismo di Israele”
Infine il presidente turco. Recep Tayyip Erdoğan, è intervenuto nella questione attraverso due separati colloqui telefonici, uno con il presidente palestinese Abbas e l’altro con il capo di Hamas Ismail Haniyeh, ai quali garantito il proprio sostegno dichiarando loro Che: «La Turchia farà tutto ciò che è in suo potere per mobilitare il mondo interno e, soprattutto il mondo islamico, per fermare il terrorismo e l’occupazione di Israele».
«La Turchia – ha egli aggiunto – continuerà a sostenere la causa palestinese, a stare al fianco dei fratelli palestinesi e a proteggere la dignità di Gerusalemme».