I palestinesi si vedono privati dei loro diritti per l’ennesima volta, infatti, il prossimo 22 maggio non potranno andare a votare per eleggere i loro rappresentanti al Consiglio legislativo. Le elezioni sono state rinviate d’autorità dalla dirigenza del Fatah nella persona del presidente dell’Amministrazione palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen).
Il pretesto del voto a Gerusalemme Est
La causa di questo rinvio è l’impossibilità dei residenti a Gerusalemme Est di partecipare alla consultazione nelle vesti di elettorato passivo: lo proibiscono gli israeliani, affermano i vertici del Fatah, ma in realtà si comprende benissimo che essi temono la sconfitta nelle urne.
Gerusalemme, è vero, parte araba della città che venne occupata dalle forze armate dello Stato ebraico nel corso della Guerra dei sei giorni del 1967, nel frattempo è divenuta capitale dello Stato di Israele, tuttavia, le ragioni che hanno indotto i vertici di Ramallah sono ben altre: Hamas, cioè il principale avversario (nemico) della classe dirigente di quello che fu il movimento di Yasser Arafat, è data in netto vantaggio in termini di consensi nell’elettorato palestinese e questo spaventa il gruppo di potere stretto attorno a ciò che rimane della squalificata dirigenza dell’Olp che dopo gli Accordi di Oslo fece ritorno da Tunisi in Cisgiordania e nella striscia di Gaza.
Oggi Mahmoud Abbas tende a scaricare la colpa su Israele, ma si comprende benissimo che il suo timore maggiore è Hamas.
Hamas in vantaggio nei consensi
Nei Territori palestinesi non si vota più ormai da quindici anni, una procrastinazione artificiosa del rinnovamento della rappresentanza e della dirigenza politica locale che non fa che aumentare il diffuso clima di insoddisfazione tra la gente, questo in una società profondamente permeata dal fenomeno della corruzione e afflitta dal disagio economico e dalla sempre più insopportabile e violenta criminalità comune.
La Cisgiordania è divisa dalla striscia di Gaza, dove invece governano gli islamisti di Hamas, che alcuni anni or sono presero il potere con la forza cacciando la locale classe dirigente del Fatah. Da tempo Hamas, filiazione del movimento dei Fratelli musulmani, viene finanziata da Qatar, attiva petromonarchia del Golfo Persico che, periodicamente, israeliani permettendo, tramite i suoi emissari fornisce l’assistenza economica necessaria alla sopravvivenza delle strutture sociali e amministrative controllate dagli islamisti al potere.
Tuttavia, nelle ultime settimane nella derelitta striscia di Gaza hanno si sono recati personaggi del mondo palestinese che in precedenza ne erano invece rimasti alla larga. Chi sono? E perché vanno in pellegrinaggio dai Fratelli musulmani della striscia?
Alla ricerca di una possibile leadership alternativa
Il Fatah ha sicuramente perduto buona parte della sua forza, però per i suoi avversari indebolirlo ulteriormente non può che recare vantaggio, ed ecco quindi che Hamas ha iniziato a consentire il ritorno a Gaza di alcuni esponenti di spicco provenienti dal Fatah ma oggi in dura opposizione alla dirigenza del partito e ad Abbas.
Recentemente è stato il caso di Nasser al-Qudwa, già “ministro degli esteri” dell’Amministrazione palestinese ma in seguito entrato in contrasto con la sua formazione politica di appartenenza. Egli, il 14 aprile scorso è stato ricevuto dalla dirigenza di Hamas nella striscia di Gaza, entrandovi dal valico di confine di Rafah con l’Egitto.
Non è stato l’unico, poiché ad avere contatti con Hamas sono stati anche elementi ritenuti molto vicini a quel Mohammed Dahlan un tempo leader del Fatah nella striscia e, soprattutto, capo della temuta Forza di sicurezza preventiva. In vista delle previste elezioni politiche del 22 maggio e di quelle presidenziali indette per il 31 luglio, tutti questi personaggi avrebbero tentato di addivenire a un accordo di natura politica per sconfiggere Mahmoud Abbas e i suoi nelle urne.
Il nipote di Arafat cerca l’intesa con l’ex leader di Shabiba
Hamas si è dunque aperto a tutte le interlocuzioni utili con le fazioni palestinesi avversarie del Fatah e, in tale quadro, rientra anche l’incontro con al-Qudwa. Quest’ultimo, imparentato con Yasser Arafat, una volta estromesso dal Fatah ha fondato una corrente politica a esso antagonista, l’Assemblea democratica palestinese (PDA) e, successivamente, il 2 marzo scorso, formato una propria lista elettorale (Freedom List) assieme a Marwan Barghouti, già a capo del movimento Shabiba (articolazione giovanile del Fatah) nel corso della seconda Intifada.
Barghouti, attualmente detenuto nelle carceri dello Stato ebraico (ha a suo carico una serie di condanne all’ergastolo) è un personaggio di estremo rilievo nel panorama palestinese, oggetto anche delle attenzioni israeliane in vista di un cambio al vertice dell’Anp.
Appartenente a una importante famiglia palestinese, egli è una delle poche personalità palestinesi che gode ancora di popolarità tra la gente, dunque, malgrado il suo stato detentivo, molti lo vorrebbero candidato alle prossime elezioni presidenziali.
Il tandem al-Qudwa-Barghouti verrà «benedetto» dagli islamisti di Gaza?
Nasser al-Qudwa, che fino a poche settimane fa criticava pesantemente Hamas e le altre formazioni islamiste contestandone alla radice i loro presupposti, cioè l’Islam politico e gli obiettivi di esso, oggi afferma «di essere stato frainteso dalla stampa quando rilasciava quelle dichiarazioni». Egli, boicottato e minacciato in Cisgiordania, ha quindi incontrato la leadership di Hamas nella striscia di Gaza cercandone l’appoggio sulla base di un accordo politico in vista delle elezioni che sono state poi rinviate da Mahmoud Abbas.
Freedom List, ovviamente, sosterrà Marwan Barghouti qualora questi decidesse di candidarsi alle presidenziali, sulla base di quali programmi non è ancora del tutto chiaro, comunque, se così fosse, si tratterebbe davvero di una grossa novità in grado di imprimere una svolta alla stagnazione del potere nei Territori.
Aspettando le elezioni
Se i cosiddetti Accordi di Abramo hanno dimostrato nei fatti che per gli Stati arabi o musulmani un accordo con Israele è possibile, è allo stesso tempo vero che senza i Palestinesi (che quegli accordi hanno sempre sdegnosamente rifiutato isolandosi ulteriormente) un concreto dialogo per la pace è impensabile.
Alla luce di queste elementari considerazioni appaiono oltremodo importanti i prossimi sviluppi della situazione, sia politica che militare, nella Cisgiordania e a Gaza. Una ulteriore escalation della violenza e della tensione nel breve termine avvantaggerebbe Hamas, ma questo ripiomberebbe totalmente i Palestinesi nel tunnel, mentre, al contrario, l’esperimento elettorale (se e quando verrà concesso dal gruppo di potere di Ramallah) potrebbe rappresentare un’occasione per avviare dinamiche alternative a quelle attuali.
Su queste tematiche, a insidertrend.it ha svolto alcune considerazioni il giornalista italo-palestinese Samir al-Karyouti, corrispondente in lingua araba per France24 e opinionista di al-Jazeera e della BBC, nonché direttore del canale televisivo youtube RUA TV, la cui registrazione audio dell’intervista è disponibile su questo sito web (A325).