di Paola Batistoni, Marco Ciotti (*) e Alessandro Dodaro (**), articolo pubblicato il 27 aprile 2021 dal periodico “l’Astrolabio”, newsletter dell’associazione Amici della Terra http://astrolabio.amicidellaterra.it/node/2352 – Ci scrivono dall’ENEA Dipartimento fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare, proponendo ai lettori de l’Astrolabio un articolo che sintetizza le ragioni, le opportunità e le prospettive della partecipazione italiana al progetto internazionale per lo sviluppo dell’energia da fusione e per la costruzione del primo reattore a fusione sperimentale. Lo pubblichiamo volentieri.
Il costante aumento dei consumi di energia elettrica nel mondo è destinato ad una brusca impennata, a causa della diffusione dell’uso della elettrificazione nella mobilità, all’aumento della popolazione globale, al sempre maggiore uso del condizionamento degli ambienti e dei sistemi elettronici.
Uno degli obiettivi strategici del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è rappresentato dalla transizione energetica e, una parte consistente delle risorse disponibili andrà ai progetti e agli interventi per realizzarla. Il Piano, in linea con il Green Deal lanciato dall’Unione Europea alla fine del 2019 con la volontà di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050, dovrà finanziare iniziative finalizzate al miglioramento dell’efficienza energetica e all’incremento della produzione da fonti rinnovabili.
È possibile raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica nei tempi previsti?
In base alle previsioni della EIA la crescita nell’uso delle energie rinnovabili, a livello mondiale, non sarà in grado, nel periodo 2018-2050, neanche di compensare l’aumento dei consumi. Pertanto, sono previsti in crescita anche i consumi di petrolio, gas naturale (+40% nel periodo di riferimento) e addirittura il carbone.
Data la situazione è innegabile che, al fianco delle politiche di risparmio, certamente utili, ma quantitativamente poco influenti, occorre perseguire un continuo sostegno alla ricerca, sia di base che applicata, e in tutti i settori nei quali si possa ‘scorgere un barlume di speranza’ nel dare un contributo ad una produzione di energia carbon-free.
Nella prospettiva di una rapida decarbonizzazione delle fonti energetiche, il nucleare da fissione continuerà a giocare il suo ruolo a livello mondiale per fornire, in presenza di fonti rinnovabili intermittenti, il carico di base e mitigare i rischi dovuti ai cambiamenti climatici. In particolare, in Asia, decine di nuove centrali nucleari sono attualmente in costruzione e rimarranno operative per alcune decenni. Contemporaneamente, i Paesi più sviluppati, Europa compresa, focalizzano la ricerca su un nucleare nuovo, come la fusione, per rendere il mix energetico pienamente sostenibile nel tempo.
In questa prospettiva, i Paesi economicamente avanzati investono nello sviluppo dell’energia da fusione e stanno collaborando alla costruzione del primo reattore a fusione sperimentale. Tenuto conto dello sviluppo raggiunto dalle tecnologie in questo campo e supponendo che il livello attuale degli investimenti si mantenga nel tempo, si prevede la produzione di energia elettrica da fusione a partire dalla metà del secolo.
L’interesse per l’energia da fusione è giustificato dai vantaggi che essa presenta:
è virtualmente illimitata e diffusa – nell’acqua di mare c’è abbastanza combustibile (deuterio e litio) per mandare avanti la Terra con gli attuali consumi per alcune decine di milioni di anni;
la disponibilità del combustibile, essendo uniformemente distribuito ed utilizzabile da tutti i popoli del mondo, non genera tensioni geopolitiche;
la reazione su cui si basa non produce gas serra;
è intrinsecamente sicura;
è rispettosa dell’ambiente – la reazione di fusione non produce scorie radioattive. Nel corso delle operazioni diventano radioattive le pareti della camera di reazione ma con un’opportuna scelta dei materiali la radioattività decade in alcune decine di anni.
Un reattore a fusione produce molta più energia per unità di massa di combustibile di qualunque reazione chimica come il bruciamento di benzina, gas o carbone. Ad esempio, una centrale a carbone da 1GW consuma 2.7 milioni di tonnellate di combustibile/anno, mentre una centrale a fusione di pari potenza si stima consumerà 250 kg di combustibile/anno. All’interno del reattore saranno presenti pochi grammi di combustibile in ogni momento, caratteristica che renderà questi reattori particolarmente sicuri.
E questo significa evitare oleodotti, navi cisterna, treni colmi di carbone, o di gas, rigassificatori, piattaforme petrolifere, e deturpazioni del panorama con distese sconfinate di torri eoliche o di pannelli fotovoltaici.
Ma soprattutto quasi tutti i conflitti dell’ultimo secolo sono stati causati dal controllo delle fonti energetiche, distribuite in modo disuniforme sul pianeta. Avere la possibilità di un combustibile diffuso uniformemente e accessibile a tutti sarebbe un notevole progresso verso l’allentamento di molte tensioni geopolitiche
A che punto siamo?
Per ottenere reazioni di fusione occorre riscaldare i reagenti (due isotopi dell’idrogeno, deuterio e trizio, quest’ultimo prodotto a partire dal litio) a temperature di circa cento milioni di gradi – superiori persino a quelle che si incontrano nei nuclei delle stelle. A temperature così elevate la miscela di reagenti si trova nella forma di gas ionizzato (plasma) e deve essere confinata mediante intensi campi magnetici. Così come il plasma nelle stelle, anche quelli di laboratorio sono sistemi complessi. Essi esibiscono una varietà di fenomeni turbolenti e instabilità che tendono a deteriorare il loro confinamento. I plasmi di laboratorio sono stati “addomesticati” a poco a poco grazie ad un imponente sforzo scientifico di tipo sperimentale e teorico.
Negli esperimenti attualmente in funzione sono già raggiunti valori di densità e temperatura del plasma simili a quelli richiesti in un reattore a fusione. Tuttavia, la potenza iniettata nella camera di reazione per raggiungere queste condizioni è stata finora sempre superiore a quella rilasciata dalle reazioni di fusione, con un record di 16MW di potenza di fusione ottenuto sulla facility europea JET a fronte di 25MW di potenza iniettata.
Il primo esperimento in cui la potenza di fusione dovrebbe superare ampiamente quella iniettata nella camera sarà ITER [1], in costruzione a Cadarache in Francia.
ITER è realizzato nell’ambito di una collaborazione tra le sette maggiori potenze economiche (Unione Europea, Cina, India, Giappone, Corea, Russia e Stati Uniti) che rappresentano il 50% della popolazione e l’85% del PIL globale. Tutti questi paesi hanno programmi di ricerca avanzati sulla fusione motivati, in alcuni casi, dalla urgente necessità di accesso a nuove fonti di energia.
L’Unione europea ha da sempre la leadership mondiale delle ricerche in questo campo e sta sostenendo circa la metà dei costi di costruzione di ITER con l’obiettivo di avere il massimo ritorno scientifico da questo investimento e progredire nei tempi più brevi possibili verso un reattore dimostrativo DEMO. ITER ha di recente completato circa il 70% della costruzione ed è previsto entrare in funzione nel corso di questo decennio.
ITER rappresenta un’estrapolazione rispetto agli esperimenti attuali sufficientemente piccola da renderci confidenti nel raggiungimento degli obiettivi ma significativa per la dimostrazione delle potenzialità dell’energia da fusione. ITER produrrà 500MW di potenza termica di fusione a fronte di 50MW di potenza iniettata nella camera di reazione – un fattore di amplificazione della potenza pari a 10 – per impulsi della durata di alcune centinaia di secondi fino a circa un’ora.
Quali sono le sfide?
La costruzione di ITER ha permesso di misurarsi con le principali sfide di ingegneria della costruzione di un reattore a fusione:
Magneti superconduttori di grandi dimensioni e elevate prestazioni
Camere da vuoto di oltre 11 metri di altezza e 19 metri di diametro, con tolleranze di costruzione di pochi millimetri.
Sistemi di generazione di onde elettromagnetiche di alta potenza e fasci di atomi neutri di elevata energia ed elevata corrente.
Componenti affacciate al plasma che devono sopportare elevati tassi di erosione ed elevati carichi termici.
Manutenzione remotizzata delle componenti dentro la camera
Sistemi di estrazione, stoccaggio e manipolazione di elevate quantità di trizio
Sistemi di misura delle proprietà fisiche del plasma effettuate in un ambiente altamente radiogeno.
La costruzione di ITER ha rappresentato un’opera di estrema complessità, svolta in completa sinergia fra scienziati e ingegneri di numerose nazionalità, etnie, religioni e lingue, contribuendo alla coesione fra i popoli, oltre che un’occasione importante di innovazione in molti settori ad alta tecnologia.
Le sfide poste dalla costruzione di ITER sono state affrontate e superate grazie a un dettagliato programma di ricerca e sviluppo che ha coinvolto l’industria europea e ha visto l’industria italiana in prima linea, aggiudicandosi circa 1.3B€, oltre il 50% del valore delle commesse se si escludono gli edifici e le infrastrutture. L’Italia è quindi nella posizione migliore per sfruttare il ritorno di know-how industriale dalla costruzione di ITER.
D’altro canto, le ricadute in settori diversi da quello dell’energia sono un chiaro esempio di “effetti collaterali” benefici degli sforzi affrontati nella ricerca fusionistica: i treni Maglev, resi possibili dai progressi nel campo della superconduttività, sono forse il caso più eclatante, ma ve ne sono molti altri che costituiscono un valore aggiunto inestimabile.
Cosa resta da fare?
La via verso la costruzione del reattore dimostrativo DEMO prevede, in parallelo ad ITER, di procedere prioritariamente a:
sviluppare e qualificare nuovi materiali capaci di mantenere le proprie caratteristiche termo-meccaniche anche sotto l’effetto del danneggiamento da parte dei neutroni prodotti nelle reazioni di fusione;
perfezionare le tecnologie per la generazione del trizio – prodotto all’interno del reattore a partire dal litio;
consolidare il quadro di conoscenze dei meccanismi di base della fisica del plasma in condizioni reattoristiche.
Per completare in tempo utile tutti gli sviluppi che consentano, nel momento in cui ITER consegua l’obiettivo di un guadagno in energia pari a 10, l’inizio della costruzione di DEMO, l’Unione europea ha sviluppato una Roadmap [2] che conduce verso la generazione di elettricità da fusione. DEMO, oltre a produrre una potenza termica in quantità molto superiore a quella di ITER, dovrà dimostrare la generazione netta di energia elettrica e l’autosufficienza nella produzione di trizio. DEMO inoltre dovrà dimostrare che è possibile costruire un reattore a fusione con costi di investimento compatibili con la sostenibilità economica della fusione.
Il successo di questo programma dipende dalla capacità di superare una serie di sfide scientifiche e tecnologiche. Tra queste quella forse più importante è la capacità di smaltire il calore generato dalle reazioni di fusione e utilizzato per mantenere il plasma alla temperatura di cento milioni di gradi. La soluzione individuata prevede di convogliare tale flusso di calore su un componente dedicato, detto divertore, composto da piastre raffreddate attivamente sulle quali i carichi termici possono raggiungere valori di alcune decine di MW/m2, dello stesso ordine del flusso di calore che si ha sulla superficie del sole! ITER utilizzerà la configurazione di divertore oggi più studiata, ma questa configurazione potrebbe non essere estrapolabile a DEMO.
Per studiare configurazioni alternative di divertore, la Roadmap all’elettricità da fusione ha proposto la realizzazione di una nuova macchina con lo scopo di trovare una soluzione estrapolabile a DEMO, chiamata Divertor Tokamak Test (DTT) facility [3]. L’Italia si è impegnata, d’accordo con i partner europei, a costruire questa facility per un investimento totale di circa 600 M€. DTT rappresenta una grossa opportunità di crescita per il sistema ricerca italiano e sfrutterà al meglio le competenze conseguite dall’industria e dai laboratori di ricerca italiani durante la realizzazione ed utilizzo delle macchine Tokamak dei laboratori Enea di Frascati, FT e FTU, e nella partecipazione alla realizzazione di ITER.
Perché insistere nel voler imbrigliare un sole (o molti) sulla terra?
Il sole è già la fonte energetica che, in modo diretto o indiretto, garantisce la quasi totalità delle fonti rinnovabili: energia solare, eolica, idroelettrica, geotermica e da biomasse devono tutte al sole la propria generazione. Una risposta romantica potrebbe stare nel fatto che riuscendo a costruire un sole sintetico e a mantenerlo “in vita” in un reattore a fusione avremmo in qualche modo “domato” il motore del sistema energetico naturale del pianeta.
Più pragmaticamente si può affermare che tutti gli studi sulla penetrazione dell’energia da fusione mostrano che essa può vantaggiosamente contribuire alla produzione di elettricità verso la fine del secolo fornendo il carico di base in un mix energetico a forte presenza di fonti intermittenti, anche con sostanziale disponibilità di energy storage. Il successo di tale penetrazione dipenderà, da un lato, dalla economicità dell’energia prodotta ovvero dalle soluzioni tecnologiche adottate. D’altro lato, essa dipenderà in buona misura anche dalla determinazione con la quale la società vorrà perseguire l’obiettivo della decarbonizzazione.
Inoltre, il capitale umano, scientifico ed economico del sistema-Paese impone all’Italia di partecipare da protagonista a questa partita: ne va della competitività nelle sfide energetiche del futuro.
(*) Paola Batistoni e Marco Ciotti (dirigenti di ricerca dell’ENEA)
(**) Alessandro Dodaro (direttore del Dipartimento fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare dell’ENEA)
NOTE
[1] www.iter.org
[2] European Research Roadmap to the Realisation of Fusion Energy, www.euro-fusion.org/eurofusion/roadmap/
[3] DTT – Divertor Tokamak Test facility – Interim Design Report (“Green Book”) (https://www.dtt-project.enea.it/downloads/DTT_IDR_2019_WEB.pdf)