AFRICA, Ciad. La scomparsa di Idriss Déby Itno e gli equilibri nella regione

Ne ha trattato oggi sulla Revue Défense Nationale Emmanuel Dupuy, analista e presidente dell’IPSE esperto di Africa, articolo nel quale ventila la possibilità che la morte del presidente possa porre in discussione alle sue basi la relazione privilegiata tra Francia e Ciad

Dupuy, a una settimana di distanza dalla tragica scomparsa di Idriss Déby Itno dalle colonne della Revue Défense Nationale delinea un quadro della situazione in Ciad nella fase in cui il Paese africano orfano del suo presidente vive una non facile fase di transizione. https://www.defnat.com/e-RDN/vue-tribune.php?ctribune=1376 (RDN, 27 aprile 2021)

Trenta anni di potere a N’Djamena

L’analista francese articola il suo ragionamento partendo da un interrogativo: dopo trenta anni di potere di Déby a N’Djamena (e alla luce degli stretti rapporti da lui avuti con Parigi) dove condurrà questa transizione al vertice dello stato? In che modo si caratterizzeranno d’ora in poi le relazioni tra il Ciad e la Francia e tra i Ciad e i paesi confinanti?

La morte di Déby, ancora non del tutto chiarita nella sua dinamica, ha precipitato nell’incertezza questo paese «chiave» della regione centroafricana, ponendone addirittura in forse gli storici stretti legami con la Francia.

Come è noto, nelle ultime recenti elezioni che hanno avuto luogo in Ciad, Déby aveva ottenuto  79,32% dei consensi, preparandosi a venire proclamato presidente per la sesta volta di seguito da quando, in forza di un colpo di stato, trentuno anni prima aveva spodestato il presidente in carica Hissené Habrè.

I timori di Parigi

Oltralpe si teme dunque di perdere un alleato strategico di importanza fondamentale nella regione, una paura che traspare dalle stesse accorate parole pronunciate dall’inquilino dell’Eliseo in onore del Maresciallo ciadiano nell’immediatezza della sua morte, quell’Emmanuel Macron che è stato l’unico capo di stato non africano a essersi recato a N’Djamena ai funerali del presidente scomparso.

I Déby appartengono all’etnia Zaghawa, che rinviene la sua «roccaforte» ad Amdjarass, città situata nella regione nord-orientale di Ennedi. Una componente etnica, quella degli Zaghawa, che nel mosaico ciadiano rappresenta però soltanto l’1% del totale della popolazione, ma che grazie al sostegno francese finora è riuscita a mantenersi al potere.

In questi ultimi anni, infatti, sono stati numerosi i tentativi di abbattere il potere del Maresciallo e del suo gruppo, Dupuy li ricorda nel suo articolo pubblicato su RDN: nel febbraio del 2008 ci provarono i ribelli dell’Union des Forces pour la Démocratie et le Développement (UFDD) guidati dall’ex ministro della difesa Mahamat Nouri (un generale), quindi, undici anni dopo, nel febbraio 2019, il tentativo fallito fu dell’Union des Forces de la Résistance (UFR), formazione guidata dal cugino di Idriss Déby, Timan Erdimi.

Un alleato strategico

Déby si salvo sempre grazie al soccorso militare francese, anche quando nel 2008 i suoi nemici erano addirittura giunti a poche centinaia di metri dal palazzo presidenziale, respinti però a seguito del provvidenziale intervento in extremis di alcuni elicotteri Gazelle dell’Armée de Terre, mentre più di recente, nel 2009, furono i Mirage 2000 dell’Armée de l’Air ad arrestare l’avanzata dell’UFR e degli alleati di questa, il Consiglio del comando militare per la salvezza della Repubblica (CCMSR), guidato da Rachid Mahamat Tahir Saleh.

Nella regione permane acceso il sentimento antifrancese, legato anche alla figura del presidente scomparso. I ribelli hanno più volte denunciato il ruolo svolto da Parigi nei combattimenti verificatisi negli ultimi giorni nella provincia di Kanem, a nord della capitale. Tuttavia, i ribelli hanno rispettato il cessate il fuoco stabilito in occasione del lutto nazionale per la morte del presidente, esprimendo inoltre la loro disponibilità a impegnarsi in un dialogo con le forze di opposizione, la società civile, il Comitato militare di transizione e i sessantanove membri del Consiglio nazionale di transizione.

L’imbroglio politico-militare libico e ciadiano

Il Front pour l’alternance et la concorde au Tchad (FACT), organizzazione armata alla quale viene attribuita l’uccisione di Déby, ha però denunciato l’atteggiamento dei francesi, considerato ambiguo alla luce del (supposto) vantaggio di natura tattica concesso alle forze armate ciadiane mediante l’intervento di aerei e droni durante tutta l’avanzata della formazione antagonista che aveva mosso le sue truppe da Gran Fezzan meridionale libico nel pieno delle elezioni presidenziali per conquistare N’Djamena.

Si tratta di una milizia bene equipaggiata (dispone di ben 800 pick-up Toyota Land Cruiser pesantemente armati, le famigerate tecniche) che gode del supporto del generale libico Khalifa Haftar, ritenuto tuttora «amico» dai francesi nel quadro dell’azione di contrasto del terrorismo. Nel considerare queste liaison dangereuse Emmanuel Dupuy nel suo articolo giunge a definire la situazione ciadiana «paradossale», laddove «gli “amici dei miei amici” in questo imbroglio politico-militare libico e ciadiano sarebbero i nemici di colui che, invece, è stato il sostegno più fedele e affidabile alla lotta contro i gruppi armati terroristici, sia nella parte occidentale che centrale del Sahel».

Tra prove di forza e tentativi di mediazione

Sta di fatto che la perdita del presidente-maresciallo Idriss Déby Itno, immediatamente sostituito dal figlio Mahamat Idriss Déby, posto a capo del Comitato militare di transizione (la giunta attualmente al potere a N’Djamena), priva così la Francia di un prezioso alleato nella regione.

Il mancato rispetto del dettato costituzionale ciadiano culminato nello scioglimento dell’Assemblea nazionale dopo la morte di Déby, pone Parigi, e con essa la comunità internazionale di fronte al dilemma di riconoscere (otto mesi dopo l’altro golpe, quello del 18 agosto 2020 a Bamako) una giunta che ha assunto il potere in forza dell’ennesimo colpo di stato militare, che indebolisce ulteriormente la già fragile costruzione della democrazia nel continente africano.

A questo punto, la presidenza del G5-Sahel dovrebbe passare dal Ciad al Burkina Faso, mentre Mauritania e Niger sosterranno gli sforzi di mediazione profusi da Parigi, interponendo i propri buoni uffici tra le forze politiche, la società civile, il Comitato militare di transizione e, auspicabilmente, anche la ribellione, qualora da quest’ultima verrà accettato il dialogo.

Funerale a N’Djamena

Come affermato, Macron è stato l’unico capo di stato non africano a essersi recato a N’Djamena al funerale di Déby e non è cero un fatto casuale, poiché egli, assieme ai suoi consiglieri presso l’ambasciata di Francia ha avuto modo di incontrare i principali avversari politici del presidente scomparso, quali Saleh Kebzabo dell’Unione nazionale per lo sviluppo e il rinnovamento (UNDR), il leader del movimento “Les Transformateurs” Success Masra, Yaya Diallo Djerou del Nuovo fronte per il cambiamento (FNC) e Mahamat-Ahmad Alhabo, già ambasciatore plenipotenziario a Parigi.

Ieri, lunedì 26 aprile, il Comitato militare di transizione ha nominato primo ministro Albert Pahimi Padacké, del Rassemblement National des Démocratiques Chadiens (RNDT, Le Réveil), una scelta che – sempre ad avviso di Dupuy – parrebbe indicare la volontà di normalizzare la situazione nel paese, applicando un modello di transizione già sperimentato in Mali e in Sudan, dove il potere viene condiviso tra militari e civili.

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