Il suo pubblico lo ha lasciato ieri, all’età di ottantadue anni nella sua casa di Milano, afflitta da una malattia che le aveva fatto perdere progressivamente l’uso delle gambe e la memoria. Milva, se ne è dunque andata, co al suo fianco la figlia Martina e la sua affezionata segretaria. Un’altra grande artista di rango, allo stesso tempo donna impegnata, che ha vissuto la propria esistenza tra grandi difficoltà e, parimenti, grandi soddisfazioni.
L’avevano soprannominata la «Pantera di Goro» a Maria Ilva Biolcati, questo per via dei suoi stupendi capelli rossi e di quella terra che l’aveva partorita, quell’ultimo lembo estremo di Delta del fiume Po, sponda emiliana della foce del grande fiume.
E Milva quella terra l’aveva tutta in sé: calda, passionale, affascinante, per certi aspetti crudele. Come i vongolari di Gorino, la frazione ancora più isolata del suo paese, che spesso si contendevano i molluschi bivalvi a fucilate con gli altri vongolari, quelli veneti arrivati in barca dalla sponda chiozzotta.
Narrava Pier Paolo Pasolini in un suo documentario girato negli anni Sessanta per la Rai che a volte, nei primi pomeriggi d’estate, nel silenzio della campagna si riusciva a udire il «suono» delle macchine in transito sulla Statale Romea, la strada per Venezia che passava qualche chilometro più in là.
A un certo punto, da piccola, Milva dovette lasciare quella terra magica e povera per trasferirsi ospite in casa di sua cugina nel popolare quartiere bolognese della Bolognina.
L’esordio in balera, poi Sanremo e quindi Strehler
A Bologna studiò a scuola, ma per poco, infatti iniziò a cantare nelle balere, quei locali dove, soprattutto sul Piano padano, allora la gente andava a ballare il sabato sera e alla domenica.
Era bella Milva e forte era la sua personalità, come inconfondibile il suo timbro vocale. Nel 1960 la svolta della sua vita: il Festival della canzone italiana di Sanremo, importante palcoscenico al quale approdò dopo essersi affermata in un concorso per voci nuove. All’Ariston partecipò per nove anni di seguito, classificandosi al terzo posto con Adriano Celentano e Don Backy rispettivamente nel 1968 e nel 1969.
A un certo punto, alla metà degli anni Sessanta, il felice incontro con Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano, che la immergerà ina fase della sua carriera impegnata ed esaltante. Prima interprete dei canti della Resistenza, quindi dei testi musicati di Bertold Brecht, divenendo protagonista di una drammaturgia scritta su “L’opera da tre soldi” che le aprì la strada del successo anche all’estero.
«Posso affermare con certezza – avrebbe affermato in seguito l’artista – che se oggi, dopo oltre quarant’anni di carriera, sono ancora qui e sono ciò che sono, è grazie a lui. Il cento per cento di quello che so l’ho imparato da Strehler. È riuscito a tirare fuori da me il meglio senza mai impormi nulla, la sua grandezza era la sua umiltà».
Emancipazione e impegno
Milva, dunque, si emancipò culturalmente e politicamente attraverso il connubio tra arte e politica, impegnandosi in prima persona contro le diseguaglianze sociali ed economiche. Sarà il percorso che la caratterizzerà negli anni Settanta e Ottanta, la fase apicale della sua attività artistica.
Bertold Brecht, Lili Marlen, le collaborazioni con Astor Piazzolla, i Vangelis, Kurt Weill, Luciano Berio, Franco Battiato, Mikis Theodorakis, Alda Merini, Ennio Morricone, con quante personalità ha collaborato nella sua vita.
Una esistenza caratterizzata dall’impegno si è detto, poiché al pari di Strehler anche Milva era socialista, ma anche una vita segnata da momenti di amore e di profonda sofferenza e da lutti.
Adesso che non c’è più la ricorderemo attraverso le molte cose che ha fatto e che ci ha lasciato. Per i suoi bei capelli rossi, la sua voce, il suo bel volto, le sue parole e, soprattutto, le sue belle canzoni.