Ieri si è celebrata l’ormai tradizionale Giornata della Terra, un evento in occasione del quale è stato ribadito come ormai in tutto il mondo si stia correndo contro il tempo al fine di tagliare la CO₂ e tentare in questo modo di arrestare il global warming.
La scienza lancia continuamente l’allarme sollecitando così le classi dirigenti del pianeta, in primis politica e finanza, a una inversione della tendenza attuale.
Le minacce sono note e si chiamano riscaldamento globale (in verità contestato da una minoranza di esponenti del mondo scientifico), sfruttamento delle risorse naturali e inquinamento, questi sono i fattori che determinano il degrado ambientale generando i pericoli.
A essi va aggiunta un’altra causa importante, quell’esplosione demografica che ha portato il totale degli abitanti della Terra a quasi otto miliardi di persone, con la previsione del raggiungimento dei dieci miliardi nel 2050.
Secondo il World Population Prospect dell’Onu pubblicato lo scorso anno fra trent’anni la popolazione residente nei centri urbani raggiungerà i sei miliardi di unità (nel 1950 erano 746 milioni).
Attualmente, Cina Popolare e Unione Indiana incidono per il 36% sul totale della popolazione mondiale, mentre da paesi quali Pakistan, Congo Etiopia, Tanzania, Indonesia, Egitto e Stati Uniti d’America ci si attende una prossima crescita demografica esponenziale, con la Nigeria che, da sola, tra pochi decenni supererà in numero la popolazione dell’Unione europea.
La pandemia di coronavirus in atto sta poi aggravando la situazione, poiché le restrizioni e l’impoverimento provocate dall’emergenza potrebbero provocare delle sensibili interruzioni dell’erogazione di servizi di base quali la fornitura di contraccettivi moderni alle donne nei paesi a medio e basso reddito, con la conseguenza di un incremento delle gravidanze non desiderate nell’ordine dei milioni di casi.
«Restore Our Earth»
«Restore Our Earth», ripariamo la nostra Terra, è lo slogan della Giornata mondiale della Terra di questo 2021, evento giunto alla sua cinquantunesima edizione e che ha ricevuto la benedizione del Papa, che come sempre si è espresso in maniera chiara sull’argomento. «Abbiamo spezzato i legami che ci univano al Creatore, agli altri esseri umani e al resto del creato – ha infatti tweettato ieri Bergoglio -; abbiamo bisogno di risanare queste relazioni danneggiate, che sono essenziali per sostenere noi stessi e l’intero tessuto della vita».
Ai consueti eventi in tutto il mondo organizzati da associazioni nazionali e coordinati dalla organizzazione non governativa statunitense earthday.org, si è aggiunto anche un summit virtuale sul clima al quale hanno preso parte quaranta capi di stato e di governo, un incontro promosso dal presidente americano Joe Biden.
Si tratta dei «grandi della terra», tra i quali figuravano i rappresentanti di diciassette paesi responsabili dell’80% delle emissioni di gas serra. Dunque, sul banco degli imputati permangono i mutamenti climatici indotti dai cosiddetti climalteranti , che, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, tutti affermano di voler abbatterne il tasso entro il 2030 al fine di eliminarli nel 2050.
A tale scopo Biden si è impegnato a raddoppiare il taglio delle emissioni negli Usa, portandole tra il 50 e il 52% entro i prossimi nove anni.
I gas climalteranti oggi
Secondo i dati pubblicati nel Rapporto Copernicus climate change service (C3S) sullo stato del clima in Europa, il 2020 è stato «l’anno più caldo» mai registrato nel Vecchio continente, con «almeno 0,4 gradi sopra la media dei cinque anni più caldi, tutti nell’ultimo decennio» e temperature elevate nelle stagioni autunnale e, soprattutto, invernale, nel corso della quale è stata registrata una media superiore di 3,4 gradi; nella Siberia artica quello appena trascorso è stato l’anno più caldo da sempre. Inoltre sono aumentate le precipitazioni meteoriche.
Questo il quadro della situazione, grave seppure mitigato dagli effetti delle restrizioni alle attività antropiche imposte dall’emergenza Covid-19, che hanno portato a minime riduzioni delle emissioni.
Copernicus è il programma di osservazione della Terra varato dall’Unione europea e coordinato e gestito dalla Commissione, il cui Rapporto sul clima e le relative previsioni sul medio termine contribuiscono a fornire un quadro descrittivo dell’attuale contesto globale con particolare riferimento alle condizioni in Europa, incluso un focus sull’Artico.
Due gli elementi chiave considerati: la crescita dei gas serra e la tendenza al riscaldamento delle temperature.
Rapporto Copernicus climate change service (C3S)
Le concentrazioni di gas serra sono aumentate – relaziona al riguardo il Rapporto -, la CO₂ dello 0,6% nel 2020 ma a un ritmo «leggermente inferiore rispetto agli ultimi anni», mentre il metano (CH4) dello 0,8% «più rapidamente».
Lo scorso anno le concentrazioni atmosferiche di gas serra hanno raggiunto la media annuale globale più alta dal 2003, le misurazioni a terra mostrano parimenti una costante tendenza all’aumento. Tuttavia, alcuni effetti hanno «indotto leggere riduzioni delle emissioni causate dall’uomo nei periodi del lockdown imposto dell’emergenza Covid-19».
Per quanto invece concerne le temperature.. a livello globale gli ultimi sei anni sono stati i più caldi mai registrati, con temperature superiori alla media rilevate principalmente in Siberia settentrionale e in alcune zone adiacenti all’Artide, dove «le anomalie – recita ancora il rapporto – hanno raggiunto i sei gradi, questo mentre nel Pacifico equatoriale sono state registrate temperature inferiori alla media».
«Potremmo fare molto di più per essere verdi, ma dobbiamo fare attenzione, perché alcune misure potrebbero essere “letali” per le categorie più colpite dalla crisi», questo il commento espresso dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani nel corso di un’intervista rilasciata ieri all’emittente televisiva Sky Tg24, dove ha parlato degli interventi per il contrasto dei mutamenti climatici, riguardo ai quali, ha concluso, occorre «il giusto equilibrio tra le diverse istanze, anche perché la sostenibilità è una conquista che deve essere graduale e ragionevole».
Ma quanto costa per davvero la «sostenibilità»?
Una decarbonizzazione rapida e profonda in tutto il mondo è lo scenario elaborato dalla International Energy Agency (IEA), che per riuscire a contenere l’aumento delle temperature medie nel modo più rapido possibile ventila un ricorso massivo all’impiego delle tecnologie cosiddette «green», quindi pannelli fotovoltaici, impianti eolici, sistemi di accumulo e mobilità elettrica.
Però, la realizzazione di questi dispositivi richiederà l’impiego di enormi quantità di risorse non rinnovabili e, per sostenere questa richiesta, la World Bank stima che nei prossimi venticinque anni sarà necessario estrarre 3,5 miliardi di tonnellate di metalli. Si tratta di una quantità colossale, poiché la quantità di rame estratto nel prossimo quarto di secolo sarà maggiore di tutta quella estratta nei precedenti cinquemila anni di storia dell’umanità.
Inoltre, a causa della carenza di efficaci tecnologie per il riciclo dei materiali provenienti dall’obsolescenza dei dispositivi prodotti verranno generate enormi quantità di rifiuti.
Nel suo ultimo saggio “Energia verde? Prepariamoci a scavare: i costi ambientali e sociali delle energie rinnovabili”, l’ingegnere Giovanni Brussato ha analizzato nel dettaglio gli impatti di simili obiettivi su più livelli.
Un scomoda verità
Egli, dal punto di vista estrattivo ha realizzato un percorso attraverso il Pianeta allo scopo di descrivere gli impatti ambientali e sociali dell’industria mineraria: dai boschi dell’Alaska alla foresta andina ecuadoregna, dal deserto di Atacama all’isola di Sulawesi, fino a prendere in considerazione l’intenzione, già avanzata da più parti, di sfruttamento minerario dei fondali oceanici.
In seguito ha descritto le principali conseguenze derivanti dalle attività estrattive: dal drenaggio acido che contamina le risorse idriche ai potenziali disastri legati alle dighe di sterili, come quelli recentemente verificatisi in Brasile, fino alle diverse conseguenze dell’estrattivismo sulle popolazioni residenti nei luoghi interessati da queste attività.
Infine, egli evidenzia una verità scomoda spesso taciuta dall’informazione mainstream: la maggior parte dei metalli viene e verrà consumata dai cittadini di pochi paesi ricchi, mentre le conseguenze ambientali, sociali e culturali, ricadranno sempre più sulle popolazioni di quei paesi poveri nei quali vengono estratti.
L’analisi di Brussato viene poi integrata da considerazioni di carattere geopolitico, che pongono l’evidenza su come queste materie prime critiche, fondamentali per centrare gli obiettivi degli Accordi di Parigi sui cambiamenti climatici, comportino una dipendenza nelle forniture da paesi in diretta competizione, in primo luogo la repubblica Popolare cinese, e come, pertanto, la dipendenza attuale dai combustibili fossili verrebbe sostituita da un’altra dalle materie prime.