La novità è quella che l’aeroporto internazionale della capitale libica dovrebbe venire completato dal consorzio italiano Aeneas entro il prossimo anno, almeno stando a quanto dichiarato da una fonte certamente bene informata, l’ambasciatore italiano a Tripoli Giuseppe Buccino, che si è espresso in tal senso nel corso di un incontro avuto con il ministro dell’economia libico Mohamed Hwej, durante il quale sarebbe stato discusso il tema relativo al ritorno delle imprese italiane nel Paese nordafricano.
Sempre secondo quanto riferito dal ministero dell’economia di Tripoli, il nuovo governo di unità nazionale sarebbe intenzionato a riavviare quanto prima i progetti di investimento e quelli infrastrutturali che nel recente passato non si sono potuti portare a compimento a causa della guerra.
Dal canto suo l’ambasciatore Buccino ha confermato la massima disponibilità delle imprese italiane a riprendere le attività nel Paese, «ultimando lo sviluppo dei progetti lasciati in sospeso e avviandone di nuovi nei settori delle costruzioni e dell’industria».
Lo scalo aeroportuale era stato chiuso nell’estate del 2014 dopo essere rimasto seriamente danneggiato a seguito dei combattimenti tra le milizie rivali che ebbero luogo nel corso della cosiddetta «operazione Fajr Libya» (Alba della Libia).
Il progetto e il relativo «cronoprogramma»
Nel 2017 Aeneas si era aggiudicato la gara d’appalto relativa alla ricostruzione dell’aeroporto internazionale di Tripoli e i lavori avrebbero dovuto avere inizio nel luglio dell’anno seguente. Appalti e date che erano state confermate ufficialmente dallo stesso presidente del consorzio di imprese, Elio Franci, che aveva specificato la ragione del «leggero ritardo dell’avvio di tali attività» dovuta, si disse, «a una riprogettazione dell’infrastruttura» che era stata richiesta dalle autorità libiche.
In una dichiarazione resa al periodico specializzato “InfoAfrica” aveva altresì aggiunto che in quei giorni era giunta a Roma una delegazione del ministero dei trasporti libico «per l’approvazione definitiva del nuovo progetto», passaggio a seguito del quale si sarebbe quindi potuto procedere con i lavori veri e propri per i quali la durata prevista nei termini contrattuali avrebbe dovuto essere di dieci mesi.
Il ministero dei trasporti e delle comunicazioni libico aveva infatti portato a termine il complesso delle procedure di natura tecnica e finanziaria preliminari all’avvio dello sviluppo del progetto, tuttavia mancava la cosa più importante: il raggiungimento degli accordi affinché si addivenisse a un’adeguata cornice di sicurezza nella zona dei lavori.
Il valore del contratto
Il valore del contratto veniva allora indicato in 79 milioni di euro, somma che avrebbe dovuto coprire la spesa relativa alla costruzione due terminal, uno destinato ai voli nazionali, l’altro quelli internazionali, realizzati in un’area aeroportuale dalla superficie complessiva di 30.000 metri quadrati, con una capacità di movimentazione annua di sei milioni di passeggeri.
Anche se il consorzio si è formato nel giugno 2017, secondo il Libya Herald già nel settembre del 2016 Secondo lo stesso giornale, nel dicembre 2016 il ministro Matoug aveva annunciato al forum della Aviation Holding Company che la partita sarebbe stata assegnata a “una compagnia italiana”.
Il consorzio Aeneas era stato costituito nel giugno del 2017 dalla società di consulenza e progettazione ingegneristica Two-Seven, da quella specializzata nel settore della sicurezza Axitea, dalle imprese di costruzioni Nuct Aviation e da quella facente capo all’ingegner Orfeo Mazzitelli e, infine, da Lion Consulting.
In effetti, però, già nell’inverno precedente l’allora ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni Silveri si era adoperato per mettere queste cinque imprese in contatto con il ministro dei trasporti libico Milad Matoug allo scopo di promuovere in qualche modo l’intesa, grazie anche alla buona pubblicità ottenuta grazie al risultato di alcuni interventi da esse in precedenza effettuati all’aeroporto di Catania.
La contrastata storia dell’appalto assegnato agli italiani
Le previsioni erano quelle di terminare i lavori entro due anni, cioè nella primavera del 2019, con le imprese italiane che avrebbero posto a disposizione dei libici il proprio know how nonché e i materiali necessari, supervisionando inoltre i lavori, mentre i partner locali avrebbero fornito principalmente la manodopera da impiegare nei cantieri.
Una storia contrastata quella dell’appalto all’Aeneas, nel vero senso del termine, poiché, praticamente da subito, sulla sua concreta attuazione venne indirizzato il fuoco di fila di diversi portatori di interessi e di soggetti che non volevano che l’operazione andasse a buon fine.
Tra questi figurarono l’altro governo libico, quello con sede a Tobruk e guidato dal generale Khalifa Haftar, che negò legittimità al governo avversario (quello ufficialmente riconosciuto dall’Onu e presieduto da Fajez al-Sarraj) in materia di concessioni di autorizzazioni (nel caso specifico a Aeneas) riguardo allo scalo aeroportuale tripolino.
Non solo, il Lybian Businessmen Council dichiarò che quel contratto costituiva «un’esplicita violazione delle leggi locali», mentre in Italia il gruppo Emaco, operante nel settore delle costruzioni, già presente e attivo in Libia da alcuni decenni, direttamente interessato alla partecipazione al progetto dell’aeroporto, affermò la propria contrarietà per la mancanza di un bando di gara pubblico.
I preesistenti interessi francesi su Tripoli
Infine i francesi di Aeroports de Paris Ingenierie (ADPI), che nel 2007 avevano ottenuto dal colonnello Muhammar Gheddafi la commessa per l’ammodernamento dello scalo della capitale, oltre alla realizzazione di due nuovi aeroporti a Bengasi e Sebha. Nel 2011, alla caduta del regime libico (provocata anche dagli stessi francesi mediante il loro attacco militare alla Libia) i lavori di realizzazione dell’opera rimasero incompiuti, inoltre rimase insoluta una esposizione debitoria di un centinaio di milioni di dollari in capo alle nuove autorità che avevano assunto la guida del Paese nordafricano, debito del quale, però, queste ultime non vollero farsi carico.
Una vicenda che si andò a inserire nel complesso delle relazioni non sempre idilliache tra Parigi e Roma, alleati in Europa e nella NATO ma, non infrequentemente, con interessi contrastanti in affari.