Come i cosiddetti «pony express» una volta, oggi sono i riders la nuova frontiera dello sfruttamento del lavoro. Ebbene, oggi i riders sono scesi in piazza nelle maggiori città italiane per protestare contro questa loro condizione.
Infatti oggi è il «Delivery Day», nel quale i fattorini che nel corso di questo drammatico e disagevole periodo di contagi e blocco delle attività, si sono rivelati un elemento indispensabile del sistema logistico nazionale, poiché hanno effettuato recapiti a domicilio praticamente di tutto, dai generi di prima necessità alle pizze. Essi andrebbero annoverati di diritto tra le categorie degli «angeli del lockdown», invece permangono schiavi di un algoritmo che ne «ottimizza» le prestazioni lavorative.
Il loro appello lanciato oggi alla gente è stato quello di non fare acquisti ricorrendo al sistema del delivery, una rinuncia in segno di solidarietà. Hanno anche inviato una lettera aperta sia ai clienti delle compagnie per le quali prestano il loro lavoro, sia all’opinione pubblica più in generale. La mobilitazione di oggi ha visto protagonisti in modo particolare i fattorini del settore del food delivery, cioè la consegna a domicilio del cibo.
Si tratta di una iniziativa di protesta che è stata confermata nonostante la precedente firma di un protocollo tra sindacati e imprese del settore finalizzato al perseguimento della legalità e al contrasto del fenomeno del caporalato, dell’intermediazione illecita e dello sfruttamento del lavoro.
Essi chiedono un «vero» contratto di lavoro che garantisca tutele reali, equità e rispetto del lavoro e che, inoltre, preveda la corresponsione di una retribuzione adeguata, un contratto collettivo nazionale.
Nella lettera aperta si afferma che i riders si trovano in un «situazione paradossale, seppure diffusa nel mondo del lavoro contemporaneo, sempre più simile a una jungla. Siamo pedine nelle mani di un algoritmo, eppure veniamo considerati lavoratori autonomi: siamo inseriti in una organizzazione del lavoro, ma non abbiamo alcun potere e non veniamo considerati neppure lavoratori dipendenti».
Una evidente contraddizione che spesso si finge di non vedere.