TURCHIA, condizione femminile. Erdoğan abbandona la Convenzione di Istanbul

Il presidente turco, sempre più schiacciato dalle pressioni del suo ingombrante alleato di governo (il partito di ultradestra vicino ai famigerati Lupi grigi) e gli islamisti più intransigenti, rivede le posizioni di civiltà del suo paese e lo ritira dal Trattato internazionale (vincolante) sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne. Le partecipate e pacifiche proteste di piazza represse dalla polizia. Un ulteriore pessimo segnale perviene da Ankara. Di seguito, l’analisi della dottoressa Emanuela Locci (*)

Erdoğan abbandona la Convenzione di Istanbul, di Emanuela Locci – Migliaia di persone hanno manifestato a Istanbul per chiedere al presidente Recep Tayyip Erdoğan di rivedere la sua decisione di abbandonare la Convenzione di Istanbul del 2011, il primo trattato vincolante concepito allo scopo di prevenire e combattere la violenza sulle donne.

Si susseguono dunque i colpi di scena in Turchia: dopo la proposta governativa di dichiarare fuori legge il terzo partito politico del paese, il filo-curdo Hdp e dopo l’ennesima rimozione di un governatore della Banca centrale, il terzo in due anni che subisce la medesima sorte.

Ma eccone un altro di colpo di scena: il Governo di Ankara ha deciso di ritirare la propria adesione alla  Convenzione di Istanbul del 2011, trattato, per altro, fortemente voluto proprio dalla Turchia. Infatti fu sua la prima ratifica. A oggi il primo trattato, al quale hanno aderito trentaquattro paesi, che ha come scopo la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e viene considerato il documento che definisce gli standard internazionali per la protezione delle donne dalla violenza.

Esso, nei suoi articoli impone agli Stati aderenti di dotarsi di una serie di norme giuridiche che condannino la violenza, gli abusi e ogni altro tipo di danno, come ad esempio lo stupro coniugale e le mutilazioni genitali femminili.

Violenza domestica e femminicidio in Turchia

Violenza domestica e femminicidio costituiscono un problema molto grave nel Paese anatolico, secondo gli ultimi dati relativi al 2020, trecento donne sono state uccise da persone alle quali erano legate da rapporti di parentela o sentimentali, mentre in questi pochi mesi del 2021 le vittime per mano di uomini sono finora già settantacinque.

Secondo i dati forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità almeno il 40% delle donne turche è vittima di violenza compiuta dal proprio partner, rispetto a una media europea che si attesta al 25 per cento.

Noncurante di questo grave problema sociale, il presidente Erdoğan ha firmato il decreto che sancisce l’abbandono del Trattato internazionale da parte della Turchia, lo ha fatto su pressione dei gruppi conservatori, in particolare degli alleati di governo del partito ultranazionalista MHP, che ritengono la Convenzione deleteria per la famiglia tradizionale (in particolare per la sua unità), che incoraggi il divorzio e che i suoi contenuti riferiti alla parità di genere e all’uguaglianza tra uomo e donna vengano utilizzati e strumentalizzati dalla comunità LGBTQI, nelle loro battaglie per l’affermazione e la tutela dei diritti civili.

Reazioni e proteste

La decisione assunta dal governo turco ha provocato vive rimostranze a livello  internazionale. Marija Pejcinovic Burić, segretario generale del Consiglio d’Europa, ha al riguardo dichiarato che: «L’azione turca è un enorme passo indietro che compromette la protezione delle donne nel paese» e, inoltre, che il Consiglio d’Europa «non ha avuto alcun preavviso circa la decisione che Ankara si apprestava a prendere».

Tra le prime reazioni registrate in Turchia quella della leader del Partito popolare repubblicano (CHP), formazione politica erede del kemalismo che, attualmente,  è principale partito di opposizione in parlamento. Canan Kaftancioglu, che ha subito sulla propria pelle le minacce e i soprusi del governo di Erdoğan ha dichiarato: «Non ci faremo intimorire: riconquisteremo i nostri diritti che sono stati usurpati».

Ovviamente, non si è fatto attendere il profondo disappunto delle donne turche, espresso in diverse piazze delle principali città del Paese da gruppi organizzati che hanno sfilato pacificamente per manifestare contro la decisione governativa al grido: «Ritira la decisione! Rispetta la Convenzione!».

La guerra alle donne dichiarata da Erdoğan

Le attiviste hanno etichettato l’azione governativa come «una vera e propria dichiarazione di guerra alle donne», questo in un paese nel quale ogni giorno tre donne perdono la vita per femminicidio. Infatti, per le vittime di violenza di genere la Convenzione di Istanbul rappresentava uno dei pochi strumenti disponibili per cercare di fare riconoscere e proteggere i propri diritti, in una realtà nella quale la condizione femminile è estremamente dura e in cui la lotta per il rispetto dei diritti fondamentali si rende necessaria ogni giorno.

(*) Emanuela Locci, PhD History and Institutions of Modern and Contemporary Asia and Africa Historical, Political and International Department Faculty of Political Sciences University of Cagliari (Italy)

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