Il sistema di sorveglianza sanitaria dell’Unione europea parrebbe dunque avere funzionato anche in una situazione di assoluta emergenza, poiché è riuscito a fornire una risposta chiara in poco tempo basandola sui dati scientifici disponibili.
Allo stato dei fatti il rapporto tra i casi trombotici e le inoculazioni del vaccino non è dimostrabile, seppure, ovviamente, in futuro vada ancora continuamente monitorato, stante per altro che il totale degli episodi critici finora rilevati a seguito di vaccinazioni risultano comunque in numero minore rispetto a quelli in reazione ad altri vaccini nei confronti di diversi virus, quali ad esempio l’antipolio.
A questo punto si procederà a integrare il cosiddetto «bugiardino», cioè il foglietto delle istruzioni che è associato a ogni confezione di farmaci, aggiungendo le necessarie indicazioni dirette in modo particolare a quei soggetti particolarmente a rischio, malati, donne in gravidanza o in menopausa, eccetera, allo scopo di stimolarne l’ulteriore attenzione.
Secondo l’economista Mario Baldassarri, intervistato ieri ai microfoni di Radio Radicale dal giornalista Claudio Landi, la breve sospensione della campagna di vaccinazione in Italia con il siero di AstraZeneca non dovrebbe complicare eccessivamente la situazione, seppure «andrà certamente corretto l’impatto psicologico generato sulla popolazione».
Il successo dei britannici
Diverso, invece, il discorso relativo alla reciprocità con gli altri Paesi nella fornitura di vaccini, recentemente la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha lamentato l’eccessiva esportazione fuori dall’Unione europea di vaccini AstraZeneca, in particolare nel Regno Unito.
«La von der Layen ha ragione – ha sottolineato Baldassarri -, le esportazioni non devono venire regolate politicamente, ma ci deve comunque essere una forma di bilateralità e questo anche se Londra ormai è fuori dall’Unione europea».
Dopo una drammatica e ondivaga fase iniziale di contenimento della diffusione dei contagi e dei conseguenti decessi, i britannici sono riusciti a gestire la pandemia con ottimi risultati, tuttavia, si tratta sempre di un paese con una popolazione di alcune decine di milioni di persone. Un aspetto che induce a riflettere sul possibile approccio, ammesso che si riesca d averne uno in comune, nei confronti dei miliardi di persone che vivono in Asia, Africa e America Latina.
I vaccini come strumento di influenza all’estero
«I Paesi asiatici, ma in una qualche misura anche la Russia, dal momento in cui ne hanno avuto la disponibilità dei vaccini hanno proceduto a inocularli soltanto a una minima parte delle loro popolazioni, nella Repubblica Popolare cinese soltanto il 4% del totale, mentre in Russia il 5 per cento: perché? Perché Pechino e Mosca usano lo “Sputník” e il “Sinovac” come uno strumento di neocolonizzazione, cioè preferiscono sottrarli all’uso interno per impiegarli come strumenti di influenza politica ed economica all’estero, questo mentre nei Paesi dell’Occidente si sono raggiunte quote del 60% di vaccinati, con il Regno Unito attualmente al 33% e gli Usa al 35% addirittura con la doppia dose, quella di richiamo».
Tuttavia, permane sempre una incognita.
Il «tema vero» per tutti
«Ammesso che in Occidente, in Cina e in Russia si riesca a completare la campagna di vaccinazione della popolazione – rimarca Baldassarri -, resteranno sempre scoperti quattro miliardi e mezzo di persone che vivono nel Terzo e nel Quarto Mondo, potenziali fonti di ritorni di ondate pandemiche dovute alla mancata totale immunizzazione della popolazione del Pianeta».
Insomma, un ipotetico governo mondiale del XXI secolo dovrà farsi carico della prevenzione di questa catastrofe attraverso il ricorso a una vaccinazione globale di massa. Occorre dunque pervenire a un embrione di welfare mondiale che poggi sulla sua prima pietra rappresentata dalla sanità.
«Il mondo deve garantirsi dalle epidemie – ha concluso l’economista – mettendo in piedi subito un sistema del genere per vaccinare che non possono permettersi neppure di pagare un vaccino cinque dollari. Il rischio “boomerang” è concreto, non soltanto per l’Occidente, ma anche per Cina e Russia».
E questo al netto delle incubazioni delle varianti più letali di quelle attuali del virus Covid, come quelle che, per esempio, si stanno generando in paesi come il Brasile.