In attesa del pronunciamento dell’EMA (European Medicines Agency o Agenzia europea del farmaco), l’AIFA (Agenzia italiana del farmaco) ha esteso in via precauzionale e temporanea il divieto di utilizzazione del vaccino AstraZeneca Covid-19 sul territorio nazionale. Si è trattato di una decisione assunta in linea con analoghi provvedimenti adottati da altri Paesi europei.
In attesa delle risultanze peritali sui possibili cluster specifici di casi legati a particolari patologie, ovvero allo status medico delle persone decedute o ammalatesi dopo la l’inoculazione del siero, si continua a ragionare sulle concrete possibilità di pervenire nel minore tempo possibile alla cosiddetta «immunità di gregge».
L’altalenante condotta di AstraZeneca
Venerdì scorso AstraZeneca aveva annunciato un nuovo taglio alle forniture al’Ue previste per il primo e il secondo trimestre di quest’anno. Da gennaio alla fine di marzo il colosso della farmaceutica consegnerà un totale di 30 milioni di dosi di vaccino a fronte delle 40 previste dal contratto (che ne prevedrebbe complessivi 120 milioni), mentre per il secondo trimestre (almeno prima del divieto dell’AIFA) ne avrebbe garantite 70 milioni invece delle 90 previste (sui 180 milioni inizialmente annunciati).
Il colosso farmaceutico non ce la fa a soddisfare la domanda di vaccini, non tutti i suoi stabilimenti industriali sono in produzione per rifornire i clienti dell’Ue. Di quattro impianti, due (in Gran Bretagna) sono operativi in via esclusiva per il Regno Unito, uno (in Belgio) lavora per l’Ue e l’ultimo (in Olanda) non ha ricevuto dall’EMA (perché non l’ha richiesta AstraZeneca) l’autorizzazione necessaria per la produzione di siero destinato ai Paesi Ue.
Ognun per sé, Dio per tutti
E così, qualche Paese membro comincia a cercarsi i vaccini per conto proprio, lamentandosi con Bruxelles per le asserite «enormi disparità nella distribuzione dei vaccini». Essi, che già in precedenza avevano rinunciato ai vaccini di Pfizer/BioNTech e di Moderna (ritenuti maggiormente costosi e problematici nella gestione logistica e medica), guardano ormai altrove.
Ennesimo pessimo segnale di coesione in ambito europeo.
Nel frattempo ha preso avvio il nuovo «piano vaccini» varato dal Governo, operazione affidata alla responsabilità del generale dell’Esercito Francesco Paolo Figliuolo, che dall’inizio di questo mese è stato nominato dal Presidente del Consiglio dei ministri Commissario straordinario per il contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19.
Il nuovo «piano vaccini» italiano
Un piano molto ambizioso ma, in ogni caso, ritenuto adeguato agli obiettivi prefissi, il principale dei quali è la vaccinazione della maggior parte della popolazione italiana entro il prossimo autunno.
L’argomento è stato trattato nel corso della consueta trasmissione “Capire per conoscere”, che vede interloquire su tematiche di natura economica il professor Mario Baldassarri (già viceministro dell’Economia e attualmente presidente del Centro studi economia reale) e il giornalista di Radio Radicale Claudio Landi.
Tuttavia, sul conseguimento di questo fondamentale risultato pendono due inquietanti incognite: la prima è quella relativa alla tempestività e all’efficacia della capillare campagna di vaccinazione, l’altra afferisce invece a un problema strutturale, quello della debolezza dell’industria farmaceutica europea (quindi anche italiana).
Reitera (con partecipazione di capitale di Invitalia) produrrà per l’Unione europea il vaccino russo Sputník su licenza?
Due grosse incognite
Secondo Baldassarri quest’ultima dovrebbe essere messa in condizioni di produrre i vaccini, poiché «è chiaro che questa vaccinazione dovrà essere fatta a tappeto il prima possibile, ma poi andrà anche ripetuta nei prossimi anni. Per farlo il Paese dovrà essere in grado di esprimere una capacità produttiva tale da rendere disponibili le dosi di siero necessarie», dato che dalla situazione emergenziale di questi mesi, prima o poi, si passerà a un regime sanitario ordinario.
I ritardi nelle consegne hanno evidenziato lo strapotere delle multinazionali del farmaco, che, a seconda delle loro convenienze (complice anche una buona dose di «ingenuità» in Europa) hanno dirottato quantità di siero ritardandone la consegna ad alcuni destinatari.
Tutelare i brevetti, ma…
In casi di pandemie come quella attuale lo sfruttamento dei brevetti relativi ai vaccini andrebbe però regolamentato a livello internazionale, magari facendo leva sul potere contrattuale potenzialmente detenuto da masse di consumatori quale, ad esempio, quella della popolazione dell’Unione europea (e qui Baldassarri è tornato sul concetto di monopsonio), al fine di indurre le «Big Pharma» quantomeno a concedere la licenza di produzione dei vaccini.
La tutela della proprietà intellettuale garantita attraverso i brevetti è molto importante, altrimenti nessuno più investirebbe una lira nella ricerca scientifica, ricerca che spesso è assai costosa.
Contemperare all’emergenza le garanzie alla proprietà intellettuale
Ma i termini di queste garanzie variano (per esempio nella durata) dall’Unione europea agli Usa, aspetto – eccepito dal giornalista Claudio Landi nel corso della trasmissione radiofonica – che, qualora tale periodo sia eccessivamente lungo, potrebbe determinare un’alterazione del mercato.
Fissato questo punto fermo, diviene però necessario una contemperamento di esso in ragione del suo sfruttamento in situazioni come quella che si sta verificando adesso. «Certamente non si possono espropriare le “Big Pharma” dei loro brevetti – ha quindi replicato Baldassarri -, ma si può far sì che la licenza di produzione venga concessa in varie parti del mondo».
Questo si rende necessario, poiché per evitare che la pandemia divenga endemica vanno vaccinate anche coloro i quali vivono nei paesi in via di sviluppo, che si trovano nella sostanziale incapacità economica di provvedere a una vaccinazione di massa della popolazione.
Vaccinazioni e governance globale
In caso contrario è evidente che il virus, magari nelle sue varianti africane, asiatiche o sudamericane, si ripresenterà nuovamente in Occidente, con le conseguenze immaginabili. Si tratta di quattro miliardi di persone almeno, come provvedere?
«A questo punto ci vuole un nuovo governo globale – ha affermato Baldassarri -, un nuovo G8 che focalizzasse la propria attenzione su questi temi, perché la pandemia è un fenomeno globale, conseguentemente occorre che venga presa una decisione a livello globale che renda disponibili i vaccini anche a questi quattro miliardi di persone. Questo mediante forniture pressoché gratuite per chi non può permettersi di pagarle. È una scelta politica che può essere assunta soltanto da un governo globale».
Una impresa davvero difficile, che se venisse realizzata costituirebbe un «embrione di welfare globale».
La nuova mappa economica del XXI secolo
Una governance globale al momento impensabile, «tuttavia – ha concluso Baldassarri – nell’ambito del G20 si potrebbe comunque iniziare in via informale a predisporre forme di accordo. In fin dei conti il mondo è già così: la “mappa economica del mondo” già prima del Covid era così, paradossalmente, la pandemia ci ha fatto scoprire quello che avremmo dovuto scoprire venti anni fa».
Già allora, secondo l’economista, «il G7 tutto occidentale più il Giappone era un “film in dissolvenza” che mostrava gli ultimi sfocati fotogrammi alla fine della pellicola. Oggi risulta sempre più necessario coinvolgere anche Africa e America Latina, non soltanto sulla pandemia, ma su tutti gli altri problemi di dimensioni globali, come quello delle nuove tecnologie o quelli delle regolamentazioni dei flussi finanziari e degli scambi commerciali internazionali. Siamo in ritardo ma possiamo fare ancora in tempo ad aprire gli occhi, soltanto così potremo guardare al XXI secolo, non dallo specchietto retrovisore. Partendo da una base comune concordata tra Europa e Stati Uniti d’America, poi allargata agli altri».