a cura di Utilitalia – La Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche presenta il Libro bianco sull’incenerimento dei rifiuti urbani, uno studio realizzato dai Politecnici di Milano e di Torino e dalle Università di Trento e di Roma 3 Tor Vergata. In termini di emissioni climalteranti, la discarica ha un impatto 8 volte superiore a quello del recupero energetico. Diversi flussi di rifiuti, se non recuperati energeticamente, hanno come alternativa il solo smaltimento in discarica. Per gli inceneritori ci sono limiti molto stringenti alle emissioni che non hanno eguali nel panorama delle istallazioni industriali. Relativamente alle PM10, il loro contributo è pari allo 0,03% contro il 53,8% delle combustioni commerciali e residenziali.
Impianti di incenerimento
Gli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani svolgono un ruolo fondamentale nell’economia circolare, hanno impatti minimi sulla qualità dell’aria e forniscono un contributo importante nel contrasto al cambiamento climatico.
Nell’emergenza legata al coronavirus hanno garantito la tenuta del sistema a fronte dell’aumento di rifiuti indifferenziati di guanti e mascherine o a rischio sanitario e di altri rifiuti non altrimenti gestibili, ma proprio le difficoltà di questi mesi hanno dimostrato la necessità di mettere in campo soluzioni strutturali per scongiurare nuove possibili crisi nel prossimo futuro.
Sono alcuni degli elementi che emergono dal Libro bianco sull’incenerimento dei rifiuti urbani, uno studio realizzato per conto di Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche) dai Politecnici di Milano e di Torino e dalle Università di Trento e di Roma 3 Tor Vergata.
Emissioni climalteranti
Emissioni climalteranti, gli impatti delle discariche sono otto volte superiori a quelle degli inceneritori; attualmente in Italia sono attivi 37 inceneritori: nel 2019 al loro interno sono state trattate 5,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e rifiuti speciali da urbani, producendo 4,6 milioni di MWh di energia elettrica e 2,2 milioni di MWh di energia termica; questa energia (rinnovabile al 51%) è in grado di soddisfare il fabbisogno di circa 2,8 milioni di famiglie.
L’Unione europea ha fissato al 2035 gli obiettivi del riciclaggio effettivo pari al 65% e della riduzione del ricorso alla discarica al di sotto del 10%: la tecnologia del recupero di energia tramite incenerimento delle frazioni non riciclabili può fornire un valido contributo, riconosciuto anche dalle pronunce della Commissione europea sul tema.
“In Germania – spiega Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia – sono attivi 96 inceneritori, in Francia 126. Nel nostro Paese, soprattutto al Centro e al Sud, si registra una carenza impiantistica e se non si inverte questa tendenza, continueremo a ricorrere in maniera eccessiva allo smaltimento in discarica: attualmente ci attestiamo al 20% e dobbiamo dimezzare il dato nei prossimi quattordici anni”.
Chiudere il ciclo dei rifiuti
Aumentare la capacità di trattamento degli impianti è fondamentale per chiudere il ciclo dei rifiuti, perché la raccolta differenziata ed il riciclo producono scarti che vanno smaltiti nella maniera ambientalmente più corretta e perché il recupero energetico evita lo smaltimento in discarica. Il Libro bianco evidenzia che, in termini di emissioni climalteranti, la discarica ha un impatto otto volte superiore a quello del recupero energetico negli inceneritori.
Diversi flussi di rifiuti, se non recuperati energeticamente, hanno come alternativa il solo smaltimento in discarica: gli scarti del riciclaggio delle frazioni organiche, 127 mila tonnellate di scarti del riciclaggio della plastica, 300 mila tonnellate del riciclaggio della carta e 180 mila tonnellate del riciclaggio dei veicoli a fine vita.
Gli impatti ambientali degli inceneritori: PM10, contributo dello 0,03% contro il 53,8% delle combustioni commerciali e residenziali
Per quanto riguarda gli inceneritori, oltretutto, ci sono limiti molto stringenti alle emissioni che non hanno eguali nel panorama delle istallazioni industriali. Relativamente alle PM10, lo studio evidenzia che il contributo degli inceneritori è pari solo allo 0,03% (contro il 53,8% delle combustioni commerciali e residenziali), per gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) è pari allo 0.007% (contro il 78,1% delle combustioni residenziali e commerciali) e per le diossine ed i furani si attesta allo 0,2% (contro il 37,5% delle combustioni residenziali e commerciali).
Ceneri avviate a processi di riciclaggio
L’85% delle ceneri pesanti prodotte dalla combustione, inoltre, sono ormai interamente avviate a processi di riciclaggio, con ulteriori miglioramenti degli impatti ambientali rispetto all’utilizzo delle materie vergini in attività quali la produzione di cemento e la realizzazione di sottofondi stradali.
“I dati sulla gestione dei rifiuti in Italia – sottolinea Brandolini – dimostrano che anche la raccolta differenziata e gli impianti non sono due elementi contrapposti, anzi: i territori che registrano le percentuali più alte di raccolta differenziata, non a caso, sono proprio quelli in cui è presente il maggior numero di impianti. L’emergenza coronavirus ci ha confermato che se non si pianifica e si realizza un sistema infrastrutturale nazionale che tenda all’autosufficienza nella gestione dei rifiuti, il nostro paese resta esposto a periodiche situazioni di crisi, che possono essere dovute a cause molto differenti ma con effetti comunque negativi”.
Le indagini epidemiologiche nelle aree con inceneritori
La seconda parte della ricerca è dedicata all’analisi di studi epidemiologici condotti in diverse aree del pianeta in cui sono presenti inceneritori. Per gli impianti rispondenti alle Best available techniques (Bat) – conformi alla legislazione sull’incenerimento dei rifiuti e di conseguenza anche ai prestabiliti limiti alle emissioni – emerge come gli inceneritori non si possono considerare fattori di rischio di cancro o di effetti negativi sulla riproduzione o sullo sviluppo umano.
I livelli di emissione degli impianti di ultima generazione, sono di molti ordini di grandezza inferiori rispetto a quelli di impianti operanti in territori in cui studi epidemiologici condotti hanno individuato associazioni negative in termini di salute. Gli studi sulla valutazione del rischio indicano inoltre che la maggior parte dell’esposizione è prodotta dalle abitudini alimentari e non attraverso una via diretta quale quella emissiva.
Il rilievo dei livelli di diossina riscontrabili nella popolazione residente in ambienti prossimi agli impianti di incenerimento, oltretutto, non ha evidenziato livelli superiori rispetto a quelli riscontrabili in una popolazione che vive in aree non interessate da questi impianti.