ENERGIA, Green New Deal. Contraddizioni e limiti della transizione energetica: l’ipoteca cinese sulla «neutralità carbonica» dell’Occidente

Grande entusiasmo sotto il cielo nell’era delle transizioni epocali, infatti l’orizzonte è «verde», almeno negli auspici di molti. Tuttavia, in Europa si continua a generare elettricità ricorrendo soprattutto al carbone e al nucleare; gli idrocarburi vengono dopo, seppure le opinioni pubbliche siano convinte che «tutto vada a gas». Per l’idrogeno è ancora presto, mentre riguardo alle energie alternative andrebbe fatto un discorso a parte, poiché…

I più autorevoli maestri di giornalismo ammoniscono sempre riguardo al fatto che un articolo di stampa non vada iniziato ponendo un interrogativo, ebbene, stavolta invece ne porremo almeno quattro:

Le fonti fossili sono divenute (almeno per il momento) irrinunciabili? Il recente orientamento dei fondi di investimento del calibro di Black Rock verso il carbone parrebbe fornire una risposta affermativa al quesito.

E ancora, l’energia nucleare è davvero finita in soffitta oppure, sotto sotto, nessuno vuole spegnere i propri reattori, anche perché gli conviene dal punto di visto dei costi?

L’idrogeno va considerato ancora un sogno da realizzare?

Scenari apocalittici o normale fase di transizione?

A insidertrend.it torniamo a trattare l’argomento dell’energia e della sua produzione, sia che essa venga impiegata per accendere lampadine e fornelli in cucina, sia che vada ad alimentare autoveicoli. Una materia delicata, anche visti i presupposti che ci accingiamo a elencare di seguito, che sono quelli dell’attuale forte impronta carbonica, dei seri dubbi posti sulla rapida transizione energetica, del «Green New Deal» occidentale fortemente condizionato dal Partito comunista cinese anche in ragione della indisponibilità per tutti delle materie prime necessarie alla realizzazione di batterie e apparecchiature.

Di tutto questo ne abbiamo parlato con un esperto, Giovanni Brussato, ingegnere minerario e consulente scientifico dell’associazione ambientalista Amici della Terra. Ma, procediamo per gradi.

Disinformacija e manifesti di Folon

Erano davvero belli i manifesti acquerellati dal pittore e illustratore belga Jean-Michel Folon, vere e proprie leggiadre opere d’arte che negli anni Ottanta pubblicizzavano i vantaggi del metano che la Snam erogava agli utenti della sua rete in Italia, manifesti che lasciarono il segno, e non soltanto sul piano meramente artistico.

Erano bei tempi quelli della lotta tra il gas socialista e il nucleare democristiano, si viveva tutti meglio. Poi ci fu Černobyl e il repentino abbandono italiano dell’atomo per elettro generazione. Il gas invece rimase e, nel corso degli anni successivi si impose addirittura al petrolio, materia prima energetica del quale in un passato poi non così lontano veniva considerato una scoria, al punto che lo si bruciava.

Una digressione romantica, questa, che non ha lo scopo di riportare a una dimensione esistenziale antecedente, a un piccolo mondo antico che non c’è più, bensì quello di sottolineare come l’opinione pubblica, nella sua massima parte, è convinta che in Europa si bruci soltanto gas naturale in vista dell’imminente transizione energetica «decretata» a Bruxelles. No, non è del tutto vero.

Equazione energetica: lo conto non torna

Se in Europa di equazione energetica si può parlare, essa attualmente rinviene i propri fattori principali in due fonti, una fossile (il tanto vituperato carbone), e una nucleare.

Già, è proprio così. Nel Vecchio continente colpito dalla perdurante crisi economica, per altro oggi aggravata pure dalla pandemia, il gas naturale resta la materia prima di transizione verso il futuro e auspicato «New Green Deal», però bisogna fare i conti con quello che concretamente si può bruciare in caldaia.

Intanto, va rilevato che la domanda energetica in Occidente viene condizionata principalmente dalla flessione dell’economia e dalle passate delocalizzazioni delle produzioni industriali, dinamiche che hanno fatto sì che in Europa non si realizzassero più grandi programmi di realizzazione di impianti di elettro generazione.

Atomkraft? Ja! danke: il paradigma tedesco

Ma sugli approvvigionamenti energetici pendono diverse spade di Damocle, dall’accresciuto fabbisogno interno di alcuni Paesi produttori nordafricani al confronto sul piano strategico tra le potenze, mondiali e regionali, con annessa guerra dei gasdotti, condotte che impongono vincoli ancora più stringenti di quelli degli oleodotti, soprattutto a fronte del mutevole contesto internazionale.

Un altro luogo comune per molti è quello che in Europa si stiano spegnendo tutti i reattori nucleari delle centrali di elettro generazione. Nulla di più inesatto, chi le ha se le terrà in funzione finché potrà farlo e questo per varie ragioni, non ultima la citata insicurezza degli approvvigionamenti di gas dalla Russia e dal Nord Africa, anche al netto dei fornitori alternativi di gas naturale liquefatto (LNG), dato il suo apporto ancora trascurabile al mix energetico dei Paesi del Vecchio continente.

Dunque bisogna necessariamente continuare a ricorrere al carbone e al nucleare. Quello che fanno nella «verde» Germania, dove a venire chiusi sono soltanto gli impianti più vecchi, quelli di prima generazione costruiti negli anni Sessanta, gli altri no.

Il conto della serva

I tedeschi sono decisamente orientati a non realizzare nuove centrali nucleari, tuttavia non si sognano neppure lontanamente di spegnere i reattori di quelle esistenti, poiché hanno il massimo interesse a mantenerli in funzione, in primo luogo perché rappresentano la loro sicurezza energetica, in subordine (ma poi mica tanto…) perché si tratta di impianti dai costi di realizzazione ormai ammortizzati grazie all’esercizio, che conseguentemente producono energia elettrica a un costo bassissimo rispetto al chilowatt/ore generato ricorrendo ad altre fonti.

Infatti, nel caso del nucleare, il combustibile incide soltanto per una quota del 5% sul prezzo complessivo dell’energia prodotta, con evidenti effetti sull’abbattimento dei costi generali per l’economia.

Il grande sogno

Ed eccoci all’argomento trattato quest’oggi con l’ingegner Brussato: le materie prime indispensabili alle nuove tecnologie «verdi», le contraddizioni insite nel loro impiego e i condizionamenti derivanti dalle posizioni di quasi totale monopolio delle aziende cinesi fornitrici.

Litio, rame, terre rare, cobalto, ferro, manganese, si tratta di vocaboli al giorno d’oggi entrati a far parte del lessico quotidiano, in quanto essenziali al funzionamento di oggetti di uso comune quali i telefoni cellulari, i computer e le auto elettriche, ma soprattutto indispensabili nella produzione di energia da fonti cosiddette «rinnovabili», nonché in sofisticati sistemi d’arma.

Alcuni di essi sono metalli divenuti sempre più scarsi a fronte di una domanda crescente sul mercato, generata dall’incremento del loro impiego da parte dell’industria. Sostanze la cui estrazione e lavorazione implica un forte impatto ambientale, che in Occidente fino a questo momento si è evitato.

Posizione dominante di mercato

Negli ultimi anni le aziende della Repubblica Popolare cinese si sono assicurate il buona parte delle fonti di queste fondamentali risorse, esse hanno fatto sì che Pechino, direttamente o indirettamente, giungesse a esercitare praticamente il controllo dell’intera filiera produttiva delle terre rare dopo averne privato del primato gli Usa.

Non solo, si riscontra una crescente presenza di aziende cinesi nel settore produttivo delle turbine eoliche, in particolare di quelle offshore, delle quali sono i fornitrici esclusive dei magneti permanenti essenziali al loro funzionamento (attualmente detengono l’82% della produzione mondiale).

Esse forniscono all’incirca il 60% dei materiali che servono alla produzione delle turbine eoliche e il 50% dei materiali processabili, lasciando alle industrie europee del settore la fase residuale dell’assemblaggio degli apparati.

Il pericolo giallo

Nel prossimo decennio le maggiori case produttrici dell’automotive contano di investire la considerevole cifra di 300 miliardi di dollari per le elettrificazioni delle proprie linee di veicoli da immettere sul mercato, è evidente, quindi, quali potranno essere le dimensioni del business correlato alla gigantesca domanda di materiali necessari allo sviluppo dei progetti nello specifico settore.

Ora, a questo punto una riflessione è indefettibile: Per legge lo Stato cinese impone rigidi controlli sia sulle attività estrattive di materie prime che sulla loro esportazione, subordinando queste ultime alla rispondenza del paese destinatario alla condizione che esso non costituisca una minaccia attuale o potenziale alla propria sicurezza strategica.

Già tale aspetto sarebbe sufficiente a ingenerare qualche dubbio sul tranquillo futuro Green New Deal, se poi vengono prese in considerazione anche le possibilità che di tali leggi la Repubblica Popolare potrebbe farne un uso strumentale in favore delle proprie imprese commerciali e della propria economia, beh, allora il quadro della situazione si complicherebbe ulteriormente.

Di seguito è possibile ascoltare l’audio integrale dell’intervista registrata il 9 febbraio 2021 (A300)

A300 – GREEN NEW DEAL, CONTRADDIZIONI E LIMITI DELLA TRANSIZIONE ENERGETICA: L’IPOTECA CINESE SULLA «NEUTRALITÀ CARBONICA» DELL’OCCIDENTE. Grande entusiasmo sotto il cielo nell’era delle transizioni epocali, infatti l’orizzonte è «verde», almeno negli auspici di molti.
Tuttavia, in Europa si continua a generare elettricità ricorrendo soprattutto al carbone e al nucleare; gli idrocarburi vengono dopo, seppure le opinioni pubbliche siano convinte che «tutto vada a gas». Per l’idrogeno è ancora presto, mentre riguardo alle energie alternative andrebbe fatto un discorso a parte, poiché sullo sviluppo di esse incombono non poche incognite, dalla scarsità delle materie prime necessarie, all’impatto ambientale, senza parlare della posizione dominante di mercato delle aziende cinesi.
Di tutto questo insidertrend.it ha parlato con un esperto, GIOVANNI BRUSSATO, ingegnere minerario e consulente scientifico dell’associazione ambientalista Amici della Terra.
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