ISRAELE, Corte penale dell’Aja. Il Tribunale internazionale ha stabilito la propria giurisdizione sui Territori palestinesi: possibili inchieste a carico dello Stato ebraico e del gruppo islamista palestinese Hamas

Si tratta di presunti crimini di guerra che sarebbero stati compiuti in Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme est. Accolta dunque la richiesta della procuratrice Fatou Bensouda relativa all’apertura di un procedimento. Dura reazione di Gerusalemme, per il premier Netanyahu «oggi si è dimostrato ancora una volta che la Corte è un'istanza politica e non giudiziaria». Israele non riconosce alla Corte alcun potere di intervento

La Corte penale internazionale dell’Aja ha stabilito la propria giurisdizione sui Territori palestinesi accogliendo quindi la richiesta presentata dalla procuratrice Fatou Bensouda relativa all’apertura di un procedimento nei confronti sia dello Stato ebraico che del gruppo islamista palestinese Hamas in ordine a presunti crimini di guerra che sarebbero stati compiuti in Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme est.

I giudici hanno ritenuto che la Palestina si qualifichi come «lo Stato sul quale territorio» sono avvenuti i fatti contestati, che potranno formare veri e propri capi di imputazione qualora, a seguito dell’inchiesta preliminare condotta nel 2019, si pervenisse ad avviare un procedimento a carico dello Stato ebraico e del movimento islamista vicino ai Fratelli musulmani, che in precedenza aveva assunto con la forza il potere nella Striscia di Gaza, soppiantando la locale struttura dell’Amministrazione nazionale palestinese (ANP) controllata dal Fatah eliminando fisicamente, oppure cacciando, i suoi componenti.

Se si dovesse pervenire a un giudizio davanti alla Corte, i fatti oggetto di indagine e del successivo dibattimento verterebbero sul conflitto combattuto nella Striscia di gaza nell’estate del 2014, cioè la cosiddetta «operazione Protective Edge» (margine di protezione), sulla politica degli insediamenti israeliani e sulla risposta israeliana alle proteste al confine di Gaza.

2014: «Protective Edge»

Protective Edge prese avvio il 7 Luglio 2014 e vide impegnate le forze armate dello Stato di Israele (Tsahal, o Israel Defence Force IDF) principalmente contro la milizia armata di Hamas, oltreché di un’altra decina di organizzazioni della guerriglia e del terrorismo attive nel territorio palestinese, che in precedenza avevano intensificato le ostilità nei confronti dello Stato ebraico e dei suoi abitanti, ricorrendo principalmente a bombardamenti indiscriminati mediante lanci di razzi in territorio israeliano.

Tra gli obiettivi dichiarati della campagna militare decisa dal governo di Netanyahu e condotta inizialmente dall’aviazione e, solo in seguito, anche dalle unità militari terrestri di Tsahal, figurarono l’eliminazione materiale dei depositi di armi ed esplosivi di Hamas che la distruzione delle numerose gallerie sotterranee, secondo il ministero della Difesa israeliano trentadue, quattordici delle quali sottopassavano la linea di frontiera e le fortificazioni approntate dalle forze di sicurezza dello Stato ebraico e sbucavano in territorio israeliano, consentendo quindi l’infiltrazione di nuclei di terroristi armati.

Una giurisdizione contestata

Alla luce di questo pronunciamento, in linea teorica la situazione potrebbe mutare, tuttavia, né lo Stato ebraico e neppure gli Usa hanno mai riconosciuto il Tribunale internazionale penale per i crimini di guerra, che oggi si trova a estendere in forza di una propria sentenza la propria giurisdizione territoriale sui territori palestinesi che vennero occupati dagli israeliani nel 1967 a seguito della Guerra dei sei giorni.

All’Aja la maggioranza dei giudici chiamati a pronunciarsi sul delicatissimo caso internazionale si è espressa in maggioranza per l’affermazione della giurisdizione territoriale della Corte sulla Palestina, che, come si legge nel comunicato emesso in seguito, «è uno Stato parte dello Statuto di Roma sulla CPI». Una pronuncia propedeutica Bensouda, decisa ad avviare un procedimento di natura penale contro i presunti responsabili israeliani e palestinesi di crimini di guerra commessi in tutti i Territori palestinesi, cioè Cisgiordania (West bank), Striscia di Gaza e nel settore arabo di Gerusalemme.

Ovvia e, come prevedibile, molto dura la reazione del Governo israeliano, che per voce del primo ministro Benjamin Netanyahu ha criticato alla radice la decisione assunta all’Aja, non riconoscendo alla Corte internazionale alcun potere di intervento.

La dura reazione di Israele

«Oggi è stato dimostrato ancora una volta che la Corte è un’istanza politica e non giudiziaria», queste le parole di Netanyahu, che ha rincarato la dose affermando che: «La Corte penale internazionale ignora i crimini di guerra veri e al suo posto perseguita lo Stato di Israele, che invece è un paese profondamente democratico». Egli, dopo aver ricordato che lo Stato ebraico non ha aderito alla Corte, ha aggiunto che la decisione presa all’Aja «va contro il diritto dei paesi democratici di difendersi dal terrorismo, facendo così il gioco di coloro i quali minano gli sforzi tesi a espandere il cerchio della pace. Noi continueremo a proteggere i nostri cittadini e i nostri soldati in ogni modo dalla persecuzione legale».

Dal canto suo, il ministro degli esteri Gabi Ashkenazi ha affermato che la decisione della Corte dell’Aja «premia il terrorismo palestinese e il rifiuto dell’Autorità palestinese di tornare ai negoziati diretti con Israele, contribuendo efficacemente a un’ulteriore polarizzazione delle parti».

Egli ha poi concluso il suo intervento con la richiesta  «a tutti gli Stati che vedono l’importanza nel sistema legale internazionale e si oppongono al suo sfruttamento politico, di rispettare il diritto sovrano di scegliere di non accettare la giurisdizione del tribunale».

I dubbi di Washington

Dagli Usa il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha reso noto che il suo ufficio sta esaminando la decisione dell’Aja, tuttavia, egli ha chiarito che l’amministrazione presieduta da Joe Biden nutre «serie preoccupazioni riguardo ai tentativi esperiti dalla Corte penale internazionale di esercitare la sua giurisdizione sul personale militare e di sicurezza israeliano».

Al pari di Israele, neppure gli Stati Uniti d’America hanno aderito al Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra, mentre l’amministrazione nazionale palestinese è entrate farvi parte nel 2015.

Diverse le reazioni dei palestinesi

«Una vittoria della verità, della giustizia, della libertà e dei valori morali del mondo», così si è espresso il ministro degli affari civili dell’Autorità nazionale palestinese Hussein Al-Sheikh.

La Corte dell’Aja nella sua sentenza ha stabilito che «la Palestina si qualifica come lo Stato sul cui territorio» sono avvenuti i fatti in questione e che, inoltre, «la giurisdizione territoriale della Corte sulla situazione in Palestina, uno Stato membro dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, si estende ai territori occupati da Israele dal 1967».

Le motivazioni sancite in virtù della pronuncia ufficiale di oggi hanno quindi accolto il punto di vista del procuratore Bensouda, che nel 2019, nonostante si dicesse convinta che la Corte avesse per diritto quella giurisdizione, appunto sulla base dei principi stabiliti con il Trattato di Roma, chiese un giudizio dirimente.

Ora toccherà nuovamente a lei decidere se dare seguito alla inchiesta preliminare del 2019 e quindi incriminare Israele e Hamas per crimini di guerra.

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