ECONOMIA, Spagna. Crisi: la contrazione è dell’11%, il maggiore crollo dai tempi della guerra civile

La pandemia ha messo il Paese in ginocchio. Il prodotto interno lordo del quarto trimestre risulta pari soltanto allo 0,4%, un tasso insufficiente a compensare i danni causati dagli effetti del coronavirus sul sistema produttivo nazionale

La pandemia ha inferto un colpo micidiale all’economia spagnola, qualcosa che non si era mai vista negli ultimi anni. Nel 2020il crollo è stato dell’11% del prodotto interno lordo (Pil), il maggiore registrato negli ultimi ottantacinque anni, cioè praticamente dai tempi della guerra civile.

In termini monetari si tratta di una grandezza pari a 130 miliardi di euro, quasi l’equivalente della spesa pensionistica nazionale di un anno, un cifra che secondo le valutazioni delle agenzie di rating, del Fondo monetario internazionale e della Banca centrale di Spagna, Madrid impiegherà almeno tre anni per recuperare.

Piove sul bagnato, poiché il Paese soffre ancora una volta una recessione in una fase nella quale ai danni provocati dalla precedente crisi finanziaria non era stato ancora posto rimedio.

I precedenti storici

Secondo i calcoli dello storico dell’economia Leandro Prados de la Escosura, nel 1936 l’economia crollò del 26,8% a causa della guerra civile, nel 1868 fu del 13,3% a causa dello scoppio di una bolla di investimenti ferroviari e di cattivi raccolti. Nel 1896 fu del 10% a causa dell’escalation della guerra di Cuba. Nel 1945 la Seconda guerra mondiale e l’autarchia incisero negativamente sul Pil per l’8,1 per cento.

La crisi del 1929 fece perdere a Madrid il 4,9%, mentre la Grande depressione del 1873 aveva causato una contrazione dell’8,9 per cento, dati che portano lo studioso ad affermare che negli ultimi centosettanta anni soltanto nella guerra civile e nel 1868 si registrarono cali di maggiori dimensioni.

Per dare un’idea della grandezza del colpo, nei sei anni di crisi finanziaria, tra il 2008 e il 2013 si sono volatilizzati spariti 9,5 punti di Pil, mentre nella recessione del 1993 seguita alle Olimpiadi e all’Expo fu solo dell’1,1 per cento.

Di tutti i paesi dell’OCSE, la Spagna è stata, insieme al Regno Unito, quella che ha sofferto di più le conseguenze economiche del tentativo di arginare il coronavirus attraverso un blocco delle attività più lunga e stringente nel corso della prima ondata di contagi, che ha colpito in particolare quel tessuto produttivo fortemente dipendente da servizi come l’ospitalità e il turismo, settori che richiedono maggiore interazione sociale.

Le vittime della crisi

Ad accentuare la crisi hanno contribuito diversi fattori caratteristici del sistema economico spagnolo: il notevole numero di Pmi attive nel Paese iberico, strutturalmente meno capaci di resistere a rivolgimenti dell’economia di tali dimensioni; la elevata percentuale di posti di lavoro temporanei, i cui contratti precari sono più facilmente rescindibili al manifestarsi di turbolenze; la posizione fiscale molto deteriorata che ha fatto sì che il governo di Madrid non erogasse più aiuti diretti.

La precedente crisi finanziaria si era verificata a causa degli squilibri di competitività, del debito privato, degli eccessi nelle costruzioni (bolla immobiliare) e anche per il deficit pubblico. Stavolta si tratta di una crisi esogena che ha avuto un impatto disomogeneo su settori quali il turismo.

Ma, se il crollo del Pil è stato oltremodo sensibile, quello dei redditi non è stato parimenti drammatico. Infatti, i redditi delle famiglie si sono contratti soltanto di meno della metà della caduta del Pil grazie agli ammortizzatori sociali approntati gravando, però, sul debito pubblico, aspetto che espone l’economia spagnola a futuri problemi.

Il crollo in cifre

La spesa delle famiglie è crollata dell’8,4% su base annua, gli investimenti del 14,3%, le esportazioni del 20,6 per cento. Per quanto concerne le importazioni il tasso è del 14,1 per cento. Soltanto i consumi delle amministrazioni pubbliche è cresciuta del 7%, un aumento ritenuto eccezionale.

L’agricoltura cresce dell’8,7%, le banche del 5,4% e la pubblica amministrazione, l’educazione e la salute del 3,3%, mentre l’industria ha perduto il 4,3%, le costruzioni il 18,2% e i servizi il 9,8 per cento. All’interno di quest’ultimo settore i comparti di commercio, trasporto e ospitalità hanno registrato un meno 20,4 per cento. Più danneggiate di tutte le attività artistiche e ricreative, con un calo del 31,5; quelle professionali e scientifiche hanno invece reso il 12,9 per cento.

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