ECONOMIA, coronavirus e crisi. Ci mancava la «crisi al buio» a mettere a rischio i finanziamenti europei

L’economia italiana alla luce delle ultime dinamiche interne e l’analisi critica di ciò che si vorrebbe spendere con i soldi europei (Recovery Plan) e ciò che invece sarebbe concretamente disponibile (in realtà molto di più del Recovery Fund). Come di consueto è possibile fare il punto della situazione con il professor Mario Baldassarri e il giornalista Claudio Landi, intervenuti nel corso della trasmissione “Capire per Conoscere”, in onda ogni lunedì mattina sulle frequenze di Radio Radicale

Una giornata particolare quella del 25 gennaio 2020, poiché era da poco giunta la notizia dell’apertura della crisi di governo, con il Presidente del Consiglio che aveva annunciato la rassegnazione delle proprie dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica.

Un momento di estrema incertezza sul piano politico, che, ovviamente, non potrà non riflettersi negativamente su quello economico. Infatti, se malauguratamente questa «crisi al buio» che è stata aperta dovesse complicarsi al punto da condurre il Paese a uno stallo politico e a elezioni anticipate (per altro da svolgere in regime di emergenza sanitaria causa Covid), si porrebbe una seria ipoteca sul normale corso della procedura di finanziamento europea, cioè, in buona sostanza se tutto andrà bene i primi soldi del Recovery Fund l’Italia li vedrà nel prossimo autunno.

Debito italiano e fondi europei

Il 2021 dovrà essere l’anno dell’implementazione del Recovery Fund, con l’erogazione dei primi finanziamenti europei all’Italia, si tratta di denaro che consentirebbe al Paese di effettuare una serie di importanti investimenti senza però andare a gravare ulteriormente in modo eccessivo sul di per sé già gigantesco debito pubblico nazionale.

Pur senza voler smorzare gli entusiasmi, va tuttavia fatta una operazione di chiarezza, riconducendo a quella che è la realtà i termini della questione, dato che (forse) arriverà soltanto un primo acconto pari al 10% del totale concordato a Bruxelles.

Infatti, come ha ricordato il professor Baldassarri, «sarà lo Stato italiano che dovrà presentare prima un piano coerente e concreto di investimenti e di riforme strutturali. In precedenza si è affermato che la bozza presentata dal Governo Conte il 7 dicembre era “quasi indecente”, poi è molto migliorata e quasi tutti hanno detto: “Ma come mai, se il Recovery Plan è migliorato, visto che alla fine avevano ottenuto dei risultati, perché Matteo Renzi e Italia Viva hanno ritirato i propri ministri dall’esecutivo?».

Aspettando il Recovery Fund

Secondo il presidente del Centro studi economia reale, il problema non risiede nel fatto che siano state apportate delle migliorie al testo originario del documento governativo, quanto in quello se questa stesura del Recovery Plan sia «ricevibile» da parte della stessa Commissione europea.

«A oggi – ha sottolineato Baldassarri -, l’Italia non ha un Recovery Plan che gli consenta di accedere al fondo europeo, cioè non ha predisposto un elenco di una quindicina di progetti che indichino anche tempi e modi della loro realizzazione».

Al riguardo va ricordato ancora una volta che i finanziamenti europei verranno erogati a stato di avanzamento dei lavori, «quindi, allo stato attuale delle cose,  per l’immediato futuro c’è da aspettarsi soltanto un acconto del dieci per cento. Lo stesso Commissario europeo all’Economia Gentiloni ha recentemente richiamato questo aspetto, sollecitando il governo italiano, perché “il Recovery Plan non era quello di cui finora si era discusso a Roma”».

Finanziamenti a fondo perduto e incremento del debito pubblico

È noto che non tutti i finanziamenti europei saranno “a fondo perduto” (graveranno infatti sul debito pubblico europeo), poiché una buona parte di essi verranno erogati sotto forma di prestiti, seppure agevolati. Si tratterà di altro debito pubblico, che però graverà meno sul bilancio dello Stato italiano in termini di interessi rispetto a quanto lo sarebbe se le medesime somme Roma le andasse a cercare sui mercati.

Si tratta di un aspetto di non poco conto sul quale vale la pena riflettere, in quanto tale soluzione conferisce maggiore stabilità a un Paese i cui titoli vengono considerati soltanto due gradini sopra al livello «junk», cioè titoli spazzatura, con tutto quello che ne conseguirebbe in termini di speculazione finanziaria e onerosità degli interessi da corrispondere a fronte di tassi elevati.

Detto questo, replicando a una osservazione del giornalista Claudio Landi, Baldassarri ha evidenziato come di fatto, oltre ai 209 miliardi del Recovery Fund, siano potenzialmente disponibili anche altre forme di finanziamento europeo: «Ci sono infatti i 36 miliardi del MES, i 20 della BEI, i 20 del SURE, ma non solo, perché ci sono ancora oggi 35 miliardi da spendere che fanno parte del bilancio ordinario scaduto nel 2020 e ci saranno altri 45-50 miliardi del fondo del bilancio ordinario europeo 2021-2027. Quindi, teoricamente per l’Italia sarebbero disponibili quasi 370 miliardi ricavabili dai fondi europei»

I soldi che …già ci sarebbero, tuttavia…

Insomma, tutto il dibattito e la polemica politica è concentrata sul Recovery Fund, ma non si parla mai di questa «valanga» di risorse che transitano attraverso il bilancio dello Stato italiano.

Ogni anno lo Stato mette a bilancio circa 900 miliardi di euro (la spesa pubblica), dei quali il 98% è destinato alla spesa corrente e soltanto il 2% agli investimenti. Per fare questo raccoglie 800 miliardi e più di tasse dai cittadini, che per il loro 70% vengono pagati dalle fasce reddituali medio-basse della popolazione, prevalentemente da lavoratori e imprese.

A questo punto è d’obbligo una riflessione: «È giusto discutere su come impiegare bene i fondi europei, però non è possibile non mettere in discussione anche l’altra ingente quantità di risorse presenti nel bilancio pubblico che ogni anno vengono spese».

Un esempio concreto: nel complesso delle risorse messe a disposizione da Bruxelles figurerebbero 80 miliardi da utilizzare nell’arco di sei anni, sulla base delle indicazioni della Commissione europea, per finanziare le attività di riconversione ambientale. Ebbene, dal bilancio pubblico italiano ogni anno vengono tratti 20 miliardi allo scopo di erogare sussidi a coloro i quali ricorrono invece a fonti energetiche fossili: un comportamento contradditorio. Ma, 20 miliardi all’anno moltiplicato per sei anni fa 120 miliardi di spesa per fonti inquinanti come gli idrocarburi, cioè una volta e mezza quello che l’Europa finanzia per il «green».

Il punto sarebbe tutto qua: come indurre a rinunciare tutti quei portatori di interessi che fino a oggi hanno beneficiato di tali sussidi (petrolieri, parte degli agricoltori, autotrasportatori, eccetera)?

Di seguito è possibile ascoltare l’audio integrale della registrazione della trasmissione andata in onda il giorno 25 gennaio 2021 (A297)

A297 – ECONOMIA, CRISI DI GOVERNO E RECOVERY PLAN: QUANTI SOLDI DAVVERO POTRÀ SPENDERE L’ITALIA?  La caduta del Governo Conte 2 tra i suoi effetti comporta anche quello di porre a rischio i finanziamenti europei, poiché lo stallo politico e le possibili elezioni anticipate procrastineranno il procedimento attraverso il quale Roma può accedere alle erogazioni del Next Generation EU.
L’economia italiana alla luce delle ultime dinamiche interne e l’analisi critica di ciò che si vorrebbe spendere con i soldi europei (Recovery Plan) e ciò che invece sarebbe concretamente disponibile (in realtà molto di più del Recovery Fund). Come di consueto è possibile fare il punto della situazione con il professor MARIO BALDASSARRI (presidente del Centro studi economia reale e già viceministro dell’Economia) e il giornalista CLAUDIO LANDI, intervenuti nel corso della trasmissione “Capire per Conoscere”, andata in onda lunedì 25 gennaio 2021 sulle frequenze di Radio Radicale, emittente organo della Lista Marco Pannella.
Il 2021 dovrà essere l’anno dell’implementazione del Recovery Fund, con l’erogazione dei primi finanziamenti europei all’Italia, si tratta di denaro che consentirebbe al Paese di effettuare una serie di importanti investimenti senza però andare a gravare ulteriormente in modo eccessivo sul di per sé già gigantesco debito pubblico nazionale.
Pur senza voler smorzare gli entusiasmi, va tuttavia fatta una operazione di chiarezza, riconducendo a quella che è la realtà i termini della questione, dato che (forse) arriverà soltanto un primo acconto pari al 10% del totale concordato a Bruxelles.
È noto che non tutti i finanziamenti europei saranno “a fondo perduto” (graveranno infatti sul debito pubblico europeo), poiché una buona parte di essi verranno erogati sotto forma di prestiti, seppure agevolati.
Si tratta di un aspetto di non poco conto sul quale vale la pena riflettere, poiché tale soluzione conferisce maggiore stabilità a un Paese i cui titoli vengono considerati soltanto due gradini sopra al livello «junk», cioè titoli spazzatura, con tutto quello che ne conseguirebbe in termini di speculazione finanziaria e onerosità degli interessi da corrispondere dati gli elevati tassi.
Di fatto, oltre ai 209 miliardi del Recovery Fund, siano potenzialmente disponibili anche altre forme di finanziamento europeo: i 36 miliardi del MES, i 20 della BEI, i 20 del SURE, i 35 del bilancio ordinario scaduto nel 2020 che non sono stati spesi e i 45-50 miliardi previsti dal bilancio ordinario europeo 2021-2027; quindi, teoricamente, per l’Italia sarebbero disponibili quasi 370 miliardi ricavabili da fondi europei.
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