VATICANO, finanze e patrimonio. IOR, riciclaggio e appropriazione indebita aggravata: condannati Caloia e Liuzzo

Storica sentenza emessa dal Tribunale vaticano presieduto da Giuseppe Pignatone, per la prima volta all’interno delle Mura leonine viene inflitto il carcere per un reato finanziario. I tre condannati, due dei quali molto anziani, restano a piede libero. Una pena ritenuta «molto pesante» nonostante i reati commessi e l’ammontare dell’oggetto dei reati commessi. Forse è un segno dei tempi

Angelo Caloia, ex presidente dell’Istituto per le opere di religione (la banca vaticana che fu di Marcinkus), e l’avvocato Gabriele Liuzzo sono stati condannati dal Tribunale vaticano a otto anni e undici mesi di reclusione per i reati di riciclaggio e appropriazione indebita aggravata, inoltre dovranno pagare una multa di 12.500 euro irrogata in relazione alla vendita di ventinove immobili di proprietà dello IOR e di una società a responsabilità limitata da esso controllata, la SGIR (Società Gestione Immobili Roma).

Una sentenza ritenuta di portata storica quella emessa dalla corte presieduta dall’ex Procuratore capo della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, coadiuvaato dai giudici Venerando Marano e Carlo Bonzano, poiché per la prima volta all’interno delle Mura leonine è stato inflitto il carcere per un reato finanziario attraverso l’irrogazione di pene pesanti, sia dal punto di vista della detenzione degli imputati (che, sicuramente, data la loro veneranda età non conosceranno le carceri vaticane) che da quello delle sanzioni pecuniarie.

Infatti, l’ottantunenne ex presidente dello IOR Angelo Caloia è stato condannato in contumacia nel primo grado di giudizio a otto anni e undici mesi di reclusione per riciclaggio e appropriazione indebita aggravata, inoltre sarà tenuto al pagamento di una multa pari a 12.500 euro, mentre il suo coimputato, l’avvocato Gabriele Liuzzo (anch’egli molto vecchio, ha novantasette anni) si è visto irrogare la pena di otto anni di carcere.

Infine Lamberto Liuzzo, cinquantacinquenne avvocato figlio di Gabriele Liuzzo, è stato condannato a cinque anni e due mesi e al pagamento di una multa di 8.000 euro. Inoltre, tutti e tre gli imputati sono stati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici vaticani.

Il Tribunale ha altresì disposto a loro carico la confisca di somme complessivamente pari a trentotto milioni di euro, nonché la condanna al risarcimento dei danni subiti dallo IOR e dalla SGIR, costituitisi parti civili in giudizio, quantificati in ventitré milioni di euro, ordinando allo scopo la confisca di quattordici milioni depositati presso lo IOR medesimo, somma già da tempo in sequestro, e di altri undici depositati presso banche svizzere.

Una sentenza storica

Quella a carico di Caloia e dei due avvocati Liuzzo è senza dubbio una sentenza storica poiché per la prima volta il Tribunale vaticano ha applicato la normativa introdotta nel dicembre 2018 nel quadro del generale adeguamento della legislazione di oltre Tevere agli standard internazionali in materia di contrasto al riciclaggio, alla corruzione e ad altri gravi reati, inoltre, dopo una serie interminabile di scandali finanziari che hanno visto protagonisti uomini del Vaticano, in Vaticano viene inflitta una pena detentiva per un reato di natura finanziaria.

Un’importanza epocale che è stata sottolineata mediante un comunicato ufficiale anche della Sala stampa della Santa Sede.

Il dibattimento in primo grado, andato avanti per ventitré udienze in aula di Giustizia, era iniziato il 9 maggio di quello stesso anno e aveva avuto oggetto la vendita a prezzi ribassati di quasi tutto il patrimonio immobiliare dello IOR, operazione che fece parlare di una vera e propria «svendita», svendita per effetto della quale gli imputati si avvantaggiarono sul piano personale.

Va comunque anche rilevato che, per una parte dei ventinove immobili di proprietà dello IOR oggetto di cessione tra il 2001 e il 2008 gli imputati sono stati assolti per insufficienza di prove dai reati precedentemente ascrittigli e, nel caso di Lamberto Liuzzo, con la formula della non sussistenza del reato di autoriciclaggio.

Gli immobili di Santa Madre Chiesa

Oggetto del processo erano dunque ventinove beni immobili di proprietà dello IOR e della SGIR situati prevalentemente in quartieri residenziali o del centro storico della capitale: via Bruno Buozzi, via Boezio, via Emanuele Filiberto, via Portuense, via della Pineta Sacchetti, viale Regina Margherita, via Aurelia, via Casetta Mattei, viavdella Traspontina, via del Porto fluviale e altri, nonché in provincia di Roma, a Frascati e a Fara Sabina, e anche a Milano a Porta nuova e Genova in piazza della Vittoria.

Le indagini condotte a partire dal 2014 dal gruppo Promontory, hanno accertato che i condannati, d’intesa con l’allora direttore generale dello IOR Lelio Scaletti, nel frattempo deceduto, tra il 2002 e il 2007 avevano venduto gli immobili a un prezzo di gran lunga inferiore al valore di mercato, appropriandosi successivamente della differenza ricavata dai due valori, stimata in quasi sessanta milioni di euro, denaro poi in parte riciclato in Svizzera grazie anche all’intervento del figlio di Liuzzo.

All’esito di tali indagini, il Tribunale vaticano «ha ritenuto provato che in alcuni casi gli imputati si sono effettivamente appropriati di parte del denaro pagato dai compratori, o comunque di denaro dello IOR e della SGIR per un importo complessivo di circa diciannove milioni di euro».

Gli avvocati patrocinanti l’ex presidente dello IOR Caloia hanno annunciato il ricorso in appello. «La decisione – si legge in una loro nota diffusa alla stampa -, che pure cade in un clima complessivamente poco favorevole a chi si difende, non accoglie l’ipotesi massimalista dell’accusa e pronuncia assoluzione con riferimento alla maggior parte degli immobili», in ogni caso, essi hanno poi aggiunto, «il dispositivo della sentenza è molto articolato e resterà poco decifrabile fino al deposito delle motivazioni».

Caloia Angelo: chi era costui?

Angelo Caloia, esponente della finanza cattolica lombarda e dirigente di primo piano nel sistema bancario italiano dei decenni scorsi, venne insediato alla presidenza dello IOR a seguito dell’uscita di scena del vescovo statunitense Paul Casimirus Marcinkus, personaggio noto alle cronache che rimase coinvolto nel crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.

Caloia guidò il «torrione» per venti anni a partire dal 1989, fino a quando, posto sotto accusa, dovette dimettersi dalla carica. Era il periodo nel quale presso alcune banche italiane erano stati aperti i cosiddetti «conti misti» della banca vaticana, utilizzati per lo svolgimento di attività di riciclaggio, conti che vennero chiusi d’autorità nel 2010 dalla Banca d’Italia.

Va inoltre ricordato che fu proprio attraverso lo IOR presieduto da Caloia, che all’inizio degli anni Novanta transitarono in varie tranche i soldi della maxitangente Enimont, definita dalla Procura della Repubblica di Milano come «la madre di tutte le tangenti pagate a politici italiani, miliardi frutto delle malversazioni rese possibili dalle manovre di scaltri personaggi che sfruttarono le dinamiche avviatesi con il grande progetto di fusione tra pubblico e privato della chimica italiana negli anni Ottanta.

Il processo che ha avuto a oggetto gli immobili dello IOR, al pari di quello del noto «palazzo di Londra» – che vedono entrambi nelle vesti di pubblico ministero il Promotore di Giustizia aggiunto vaticano Alessandro Diddi – è stato avviato per iniziativa dello IOR medesimo, banca attualmente rappresentata dal suo direttore generale Gianfranco Mammì, ritenuto uomo di assoluta fiducia di Bergoglio, pontefice che negli ultimi anni si è impegnato in un’azione volta a fare trasparenza nel mondo della finanza di oltre Tevere.

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