CRIMINALITÀ, mafia nigeriana. Potenti organizzazioni delle quali si parla ancora troppo poco

L’ultimo episodio in ordine di tempo giunto alla ribalta della cronaca nera è stato quello di Verona, città divenuta una delle maggiori basi logistiche dei sodalizi criminali originati nel Paese africano. L'operazione «Underground», condotta dalla Polizia di Stato italiana era stata avviata a Trento, una lucrosa piazza di spaccio e di prostituzione. Ieri la Squadra Mobile veronese ha smantellato un'organizzazione traendo in arresto sedici persone

Nell’editoriale a firma del professor Renato Caputo (*) del trimestrale dell’ultimo numero monografico  del periodico “Diritto penale della globalizzazione”, edito da Pacini Giuridica e diretto da Ranieri Razzante e Giovanni Tartaglia Polcini, viene affrontato un argomento delicato, che investe varie sfere dell’agire malavitoso umano che, tuttavia, si caratterizzano nella loro totalità per l’efferatezza e la capillare e intensiva ricerca del massimo profitto attraverso le attività criminali. Organizzazioni strutturate, i clan nigeriani, legati alle loro originarie consorterie africane ma anche, in non pochi casi, in via di parziale emancipazione da quelle linee di comando e filiere.

I clan nigeriani: una mafia di cui si parla ancora troppo poco.

Pensando alla criminalità nel continente africano, si è portati a credere che si tratti di un fenomeno collegato all’attività di piccoli gruppi criminali, male organizzati e non in grado di porre in essere condotte delittuose pianificate a livello strategico.

Questa ipotesi è però del tutto priva di fondamento, come dimostrano i numerosi procedimenti posti in essere dalle Direzioni distrettuali antimafia. La criminalità organizzata in Nigeria non nasce nel degrado e nella povertà, come qualcuno potrebbe erroneamente ritenere, ma nei campus universitari di Lagos e Benin City.

Il contesto è quello delle confraternite, di cui fanno parte i figli delle famiglie benestanti, che, a partire dagli anni Settanta, mettono in atto in modo sistematico pratiche intimidatorie ed azioni violente per imporre la propria egemonia agli altri studenti.

Questi gruppi criminali hanno l’obiettivo di creare ricchezza, che viene impiegata in Nigeria, con il fine di infiltrare economia e potere. «Molte società fragili sono intrappolate in un circolo vizioso in cui la criminalità organizzata crea le basi per la propria crescita e i Paesi sono indeboliti nella loro capacità di combatterla e nella possibilità di garantire sicurezza e sviluppo». (¹)

In Italia, la mafia nigeriana è coinvolta nel riciclaggio di denaro sporco, nel traffico di stupefacenti, nella prostituzione, nella tratta di esseri umani, nella gestione abusiva dei parcheggi, del caporalato e della questua. Ecco perché, quello che potrebbe sembrare a prima vista un fenomeno lontano da noi, è in effetti molto più vicino di quanto si possa credere.

I principali cult (così vengono chiamati i clan nigeriani a connotazione mafiosa), sono stati oggetto negli ultimi anni di molteplici inchieste giudiziarie sul territorio. Anche l’attenzione dell’intelligence è rimasta elevata per quanto concerne i sodalizi nigeriani che, seppure duramente colpiti sul piano investigativo e giudiziario, hanno continuato ad evidenziare un sostenuto attivismo specie nel narcotraffico e nello sfruttamento della prostituzione.

Le evidenze informative hanno riguardato, tra l’altro, le modalità di trasferimento in Nigeria degli ingenti introiti, incluse le somme di denaro drenate all’interno della comunità di connazionali, che confluiscono nelle casse delle consorterie maggiormente rappresentative (The Black Axe Confraternity, The Supreme Eiye Confraternity, The Supreme Vikings Confraternity, The Maphite Organization e The Buccaneers Confraternity).

Attraverso l’intermediazione degli African shop, dislocati sull’intero territorio nazionale, vengono messe in atto sia attività di intermediazione finanziaria illegale sia forme di occultamento e reinvestimento dei proventi delle attività illecite.

Basti pensare, al cosiddetto Euro to Euro che «è un sistema di intermediazione finanziaria illegale, gestito esclusivamente da cittadini nigeriani, alternativo ai circuiti ufficiali di money transfer, fondato sulla movimentazione di contante a mezzo di corrieri transfrontalieri. Il circuito è alimentato da una serie di centri di raccolta, sparsi sul territorio nazionale, direttamente collegati ad omologhe strutture nella madrepatria, presso le quali è possibile incassare, entro ventiquattro ore, le remissioni di denaro. Euro to Euro rappresenta una evoluzione combinatoria del metodo degli “spalloni” (²) e del noto sistema hawala, con modalità e meccanismi calibrati a seconda delle esigenze dettate dalle diaspore nigeriane e della necessità di trasferire in sicurezza il denaro nel Paese d’origine». (³)

Altra forma di occultamento e di reinvestimento del denaro praticata, soprattutto dai circuiti nigeriani dediti allo sfruttamento della prostituzione, è l’Osusu. Si tratta di una sorta di cassa comune, sovente frutto di un accordo all’interno di un gruppo di maman (⁴), alimentata dal versamento periodico da parte di ciascuna di esse, a scadenze prefissate, di una quota di denaro, con la possibilità di utilizzare, a turno, il totale delle quote versate.

Si procede sino a quando tutti i membri non abbiano goduto delle somme di volta in volta accumulate; in questo modo, ciascuno dei partecipanti all’Osusu fruisce di un “capitale” da poter impiegare anche per ampliare il proprio business.

Come detto, i gruppi criminali nigeriani sono coinvolti anche nel traffico di sostanze stupefacenti, dalla cocaina all’eroina, dalla cannabis alle droghe di sintesi. I corrieri hanno solo rapporti con colui che direttamente dispone il viaggio e con il soggetto che li attende nel luogo di destinazione, perciò, in caso di arresto, non sono in grado di rivelare nulla dell’organizzazione.

Mentre, nel caso si tratti di ragazze da “reclutare” per essere avviate alla prostituzione, il contatto e l’avvicinamento, nonché l’opera di convincimento, avvengono attraverso una figura femminile, la maman, che ha la funzione di individuare giovani connazionali interessate all’espatrio, per poi consegnarle a chi materialmente le porterà in Europa e, quindi, anche in Italia.

La maman assume così un ruolo centrale, stabilendo un legame molto stretto con le giovani donne, basato su riti di iniziazione chiamati “juju”. Le ritualità magiche e fideistiche costituiscono un fattore di coesione molto elevato, che, unite al vincolo etnico e alla forte influenza nella gestione da parte delle lobby in madrepatria, producono un forte assoggettamento psicologico, usato solitamente per lo sfruttamento della prostituzione di giovani donne costrette in schiavitù da dove è difficilissimo svincolarsi.

L’analisi condotta restituisce l’immagine di una criminalità nigeriana che, nonostante la pluralità dei gruppi e cult che la compongono, si presenta compatta e con una fisionomia del tutto peculiare.

Le più recenti investigazioni, sviluppate sia attraverso attività tecniche di intercettazione sia con articolati e dinamici servizi di diretta osservazione e pedinamento sul territorio, hanno consentito di individuare i vertici nazionali, in costante e diretto contatto con i leader operanti in Nigeria.

Da quanto è emerso nel corso dell’attività investigativa, l’organizzazione presenta tutti i caratteri di un’associazione di tipo mafioso, poiché connotata, anzitutto, da una precisa struttura gerarchica con ruoli e cariche ufficiali, a cui corrispondono compiti ben precisi.

Le affiliazioni sono caratterizzate da atti violenti e rigidi rituali, che si traducono in un serio e concreto pericolo per la stessa vita degli aspiranti affiliati, che vengono sottoposti ad azioni brutali, al termine delle quali manifestano l’accettazione del codice comportamentale dell’associazione mafiosa e la loro fedeltà indiscussa.

Altrettanto spietate sono le conseguenze previste in caso di violazione delle regole dell’organizzazione, che si traducono in sanzioni corporali talmente efferate da sfociare talora in tentativi di omicidio. La violenza rappresenta, quindi, lo strumento di comunicazione privilegiato per affermare la forza dell’organizzazione sul territorio e creare lo stato di soggezione necessario per accrescere il proprio potere.

D’altro canto, le attività di contrasto sono rese complesse anche dal fattore linguistico, che rappresenta un ulteriore ostacolo sia nel corso delle indagini sia a livello processuale. Basti pensare che i periti nei primi processi si rendevano irreperibili per paura delle possibili ritorsioni.

Ciò nonostante, l’attività degli inquirenti ha permesso di ricostruire nel dettaglio la struttura del sodalizio criminale, caratterizzato da un’organizzazione piramidale, che si connota con la presenza di un organismo operante a livello nazionale e di numerose articolazioni locali, attive in singole città italiane, soprattutto del centro-nord, ma non solo.

Si tratta di clan che nel tempo sono stati in grado non solo di avviare importanti sinergie criminali con le organizzazioni mafiose autoctone, ma di diventare essi stessi associazioni di stampo mafioso, perseguibili ai sensi dell’art.416 bis c.p..

In tale quadro, riflettere su come la mafia nigeriana, nel corso dell’ultimo ventennio, sia riuscita ad espandere la propria sfera di influenza in Italia non è uno sterile esercizio di approfondimento teorico.

È importante comprendere che tutte le organizzazioni criminali costituiscono una minaccia all’esistenza stessa delle democrazie e non c’è spazio per sottovalutarne alcuna.

(¹) United Nations Office on Drugs and Crime – UNODC (2005), Crime and Development in Africa.

(²) Fino al XIX secolo, gli spalloni caricavano le merci di contrabbando nella bricolla, un cesto di paglia intrecciata da portare in spalla, e salivano sulle montagne del confine, dal Nord Italia verso la Svizzera e l’Austria, soprattutto nella zona del lago di Como. Al giorno d’oggi, la maggior parte degli spalloni in Italia si occupa soprattutto dell’esportazione fisica di capitali provenienti da evasione fiscale e da altri reati.

(³) Presidenza del Consiglio dei Ministri – Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica, “Relazione sulla politica dell’informazione per la Sicurezza 2019”, dato alle stampe nel febbraio 2020, pag. 72.

(⁴) Donne incaricate di gestire le giovani connazionali da avviare alla prostituzione nonché di organizzare le spedizioni punitive all’indirizzo di donne appartenenti alle confraternite rivali.

(*) Renato Caputo è membro del Comitato scientifico della rivista “Il Diritto penale della globalizzazione”, inoltre è docente universitario di Diritto internazionale e normative sulla sicurezza (IUS/13) nell’ambito del Master di II Livello in Scienze informative per la Sicurezza, infine ricopre la carica di vicepresidente dell’Albo Nazionale Criminologi

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