«La Repubblica Islamica dell’Iran non si tirerà indietro da una risposta forte e massiccia alla presenza di qualsiasi sottomarino israeliano nel Golfo Persico», questo è stato il commento alla vicenda in atto espresso da Abu al-Fadi Amoui, portavoce della Commissione parlamentare iraniana. Teheran accusa tato ebraico di cercare pretesti per trascinare la regione nel caos gli ultimi giorni della presidenza Trump.
Un sottomarino hi-tech israeliano, uno di quelli dell’ultima generazione, starebbe incrociando nelle acque in prossimità di quella inesauribile fonte di tensioni e conflitti che è il Golfo Persico e questo fatto non piace alla Repubblica Islamica dell’Iran.
Un passo indietro
Un passo indietro. La tensione si è andata alimentando a seguito della dichiarazione resa venerdì scorso da un portavoce delle Forze di Difesa israeliane (IDF) a un giornale saudita. In essa si affermava che i sottomarini di Heyl ḤaYam – la marina militare israeliana – stavano operando tranquillamente «ovunque».
Come gettare un fiammifero antivento acceso in una polveriera, poiché poche ore dopo da Teheran è giunta la prevedibile replica: una fonte anonima (si parla di un non ben precisato «funzionario iraniano») ha riferito all’emittente satellitare qatarina Al Jazeera che: «La risposta di Teheran a qualsiasi attacco alla sicurezza nazionale sarà forte e ampia».
Il pretesto per una escalation della tensione?
La medesima fonte anonima ha quindi aggiunto che: «Israele sta cercando un pretesto per trascinare la regione in un clima di tensione che creerà il caos».
Secondo Teheran la provocazione non sarebbe affatto casuale (ma quando mai lo sono…), poiché il momento in cui porla in essere sarebbe stato studiato ad arte: gli ultimi giorni del mandato presidenziale di Donald Trump.
Cerchiamo di interpretare la logica dei comunicatori della teocrazia persiana: il migliore alleato di «Bibi» Netanyahu tra poco si vedrà costretto, suo malgrado, a sloggiare dalla Casa Bianca e, siccome nel suo successore democratico Joe Biden a Gerusalemme non vengono riposte certezze riguardo alla futura fermezza dell’amministrazione statunitense nella regione, gli israeliani “avvelenano i pozzi”, rendendo così invivibile, o quanto meno assai difficile da mutare rispetto ai termini attuali, la realtà mediorientale.
Insomma, si tratterebbe uno dei tanti scherzetti da prete dei quali è piena la storia delle relazioni tra i due strategici alleati, gli Stati Uniti d’America e lo Stato ebraico.
Gente seria Dio l’aiuta…
Ma torniamo all’apparente escalation della tensione. Gli iraniani sono gente seria e non scherzano, tuttavia, negli ultimi tempi, seppure sicuramente giocoforza, a ogni attacco subito Teheran ha abituato le opinioni pubbliche mondiali alla consueta roboante e minacciosa risposta verbale che annunciava ritorsioni contro il «grande» e il «piccolo satana», limitandosi poi ad azioni dimostrative principalmente a uso propagandistico interno e regionale.
Questo non vuol dire che non abbiano i mezzi per colpire duramente, però non lo faranno finché non si troveranno per davvero con le spalle al muro, e ora non lo sono ancora.
E, allora, ecco le prevedibili dichiarazioni rese pubblicamente dai vertici religiosi, militari e politici.
Il placet di al-Sisi
L’ammiraglio Alireza Tangsiri, comandante in capo della componente navale del Corpo dei Guardiani della Rivoluzionarie islamica (IRGC) – i Pasdaran (Sepāh-e-Pāsdarān) dispongono di vere e proprie forze armate, che si affiancano a quelle del ministero della Difesa – ha ammonito che l’Iran è pronto a difendersi ed è preparato a qualsiasi scenario conflittuale.
Una dichiarazione giunta in replica a quella diffusa poco prima dal portavoce delle IDF Hidai Zilberman, che aveva reso noto tramite l’agenzia di stampa saudita “Elaph” il monitoraggio in atto da parte della Difesa dello Stato ebraico dei movimenti iraniani nell’intera regione, aggiungendo inoltre che «i sottomarini israeliani stavano tranquillamente navigando ovunque».
L’intervista era stata rilasciata dopo che, la scorsa settimana, un sottomarino di Heyl ḤaYam aveva attraversato il canale di Suez, concretizzando una sostanziale prova di forza agli occhi di Teheran, un’azione che non avrebbe potuto avere luogo senza il favore dell’Egitto, tant’è che fonti di intelligence arabe asseriscono che l’emersione del sottomarino israeliano dall’altra parte del Mar Rosso, in prossimità del Golfo Persico, altro no sarebbe se non un chiaro messaggio inviato all’Iran.
Attacco e difesa
Nel prosieguo Zilberman ci è andato giù pesante, poiché ha sottolineato come, sebbene Israele non fosse a conoscenza di piani specifici iraniani per attaccare lo Stato ebraico, le forze di Teheran potrebbero comunque sferrarlo dall’Iraq o dallo Yemen.
«Israele è in possesso di informazioni che indicano come l’Iran stia sviluppando velivoli senza equipaggio e missili intelligenti in Iraq e Yemen, armi in grado di colpire il territorio dello Stato ebraico».
Le IDF hanno effettuato centinaia di missioni in Siria dall’inizio della guerra civile nel 2011, operazioni di contrasto delle attività iraniane tese a stabilire una presenza militare permanente nel paese arabo, questo, tra l’altro, attraverso il trasporto di sistemi d’arma avanzati e il sostegno ai propri proxi nella regione, in primo luogo la milizia sciita libanese Hīzbūllāh.
Infine, le parole del capo di stato maggiore delle IDF, Aviv Kohavi, che dal canto suo ha ammonito i decisori politici e militari della Repubblica Islamica, poiché «lo Stato ebraico reagirà con forza contro qualsiasi aggressione».
Anchors Aweigh
Analogamente a quanto fatto dagli israeliani, lunedì scorso è stato segnalato anche l’attraversamento dello Stretto di Hormuz da parte di un sottomarino nucleare dell’US Navy.
Come affermato, le date non sono mai casuali, in quanto si stava avvicinando il giorno dell’anniversario dell’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani, potente capo della forza Quds, azione compiuta dagli americani a Baghdad il 3 gennaio di quest’anno mediante il ricorso a un velivolo senza pilota. Evidentemente a Washington temevano una ritorsione di Teheran e lo schieramento sulle basi saudite di bombardieri in grado di recare sul bersaglio armi nucleari faceva parte di una più ampia attività di dissuasione.