di Rosario Sprovieri – Il libro di Libero Rossi: “Burini a Roma La cucina di mamma mia e de Zzio”, potremmo definirlo un gorgheggio armonico e suadente, come il canto dell’usignolo che inspirò Stravinskij, un canto melodico, che sale e viene su, fra il fumo dei fornelli di cucina, di case di quartiere e di borgate, di una Roma che ammaliò Vespignani, Ungaretti, Moravia e Pasolini. Di quella Roma che l’autore, ha vissuto ed amato e, che porta per sempre nel cuore.
L’ispirazione la devo a mia figlia. Lei fa la guida turistica e, molte volte, accompagnando per l’Urbe tante comitive che giungono dall’estero, ha pensato che oltre alle tradizionali visite guidate ai monumenti, ai Musei vaticani, alle aree archeologiche, alle pinacoteche, alle biblioteche e agli archivi monumentali, fosse anche opportuno seguire ancora un percorso. Una specie di “via dei sapori e del gusto” che prendesse in esame la cucina della tradizione romana e le linfe vitali delle gastronomie “affluenti”, poiché anche la cucina è un bene culturale, così come lo sono gli storici posti di ritrovo.
«Ho raccolto il suo appello – ci confida l’autore -, ritenendo l’idea assai allettante. E allora ho iniziato a catalogare i ricordi della cucina tradizionale della mia famiglia, i burini appunto, perché approdammo a Roma da San Vito Romano nell’ormai lontano 1956 ».
Approntare un libro attingendo ai ricordi più cari è anche un modo per ricostruire la storia della propria famiglia, «per ricordare nonna Maddalena, mia madre», come sottolinea l’autore.
Quindi riscoprire un po’ la tradizione “burina”, ma svelare al contempo il fervido incrocio con la cucina prettamente romana e con quella ebraica.
«Ho cercato di andare alla ricerca di come nasceva la cucina contadina, sino alla incontro con l’arte culinaria della tradizionale romana. Il tentativo è quello di riproporre le ricette di cui conservo memoria viva; che sono parte delle cose belle e sostanzialmente molto diverse dai piatti di oggi; le ricette erano la passione di mia madre, io ho cercato prima d’inquadrate e poi ho provato a riproporre la convivialità di quell’arte di “far cucina” che adesso è difficile ritrovare».
«Natale era sempre una festa speciale – prosegue Rossi -, anche per me che sono laico. Il ricordo va al raduno dei figli, dei parenti e a quegli aromi che impregnavano le narici, a profumi giammai dimenticati».
Una mescolanza di prodotti genuini, cose speciali ma semplici, «roba a meno di chilometri zero, materia prima che arrivava direttamente dall’orto».
L’importanza della verdura nella cucina di Roma è fondamentale; gli erbaggi speciali che stanno alle fondamenta della dieta mediterranea, che oggi è diventata, per bontà e merito, bene dell’Unesco.
Le donne del nostro Sud poi, sono riuscite straordinariamente a nobilitare la ricchezza della natura e dei prodotti dell’agricoltura, facendone materia prima per la “cucina povera”, – come si è soliti definire –, povera ma condita di elementi incredibilmente atti a trattenere e a valorizzare una molteplicità di gusti.
La tradizione fa della cucina Italiana un vero valore non solo nutrizionale ma anche artistico e storico. Con un occhio ho riguardato e cercato di correlarmi all’Arte del mangiar bene, di Pellegrino Artusi.
Oggi, impazzano numerosissime trasmissioni televisive che vertono sulla cucina, un esercito di chef bardati a festa propongono piatti arzigogolati ma irripetibili, mentre la parte più bella, quella tradizionale è un po’ messa in ombra. La mia cucina, quella del libro, era la consuetudine dei fornelli e dei forni nelle nostre case, semplice e pura; si tramandava da bocca in bocca, da madre a figlia.
Erano soprattutto le donne, le nostre mamme che ne portavano la conoscenza a corredo della propria famiglia. La storia di ogni nucleo familiare passa per “la Cucina” e, per questo, qualche anno addietro, era normale trovare diffusamente osterie e cucine in ogni rione di Roma.
Erano gli anni dei grandi mercati popolari, oggi quasi tutti chiusi e sostituiti da supermercati e grande distribuzione. Il secolo scorso ha segnato un cambiamento radicale «l’avvento dei fast food, l’apericena, le friggitorie e i Mac Donalds…», manca la cucina che si faceva a casa.
Questo libro ripercorrere la strada da dove siamo venuti, l’incontro e l’innesto della cucina romana con quella ebraica, le contaminazioni e le integrazioni millenarie. Il ricordo corre ai locali storici, fra quelle strade e stradine della città: a “Er bucatino” a Testaccio, a “Checchino” al Mattatoio, poi alla “Vecchia Roma”.
Un almanacco per intenditori, per signori e signorine, tutto squisitezze da assaporare, manicaretti e ghiottonerie per palati fini.
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