a cura del BG Giuseppe Morabito (ITA A) membro del Direttorio NATO Defence College – Con l’opinione pubblica occidentale concentrata sulle notizie connesse con la pandemia da Covid-19, sta passando, quasi non considerata, la preoccupante situazione in Libia dove almeno 20.000 combattenti stranieri , in buona parte mercenari, sono schierati sul territorio dell’ex stato nord africano e stanno causando una “grave crisi”, mentre forniture per nulla controllate di armi continuano a riversarsi nel paese devastato da anni di guerra.
Quanto precede, è al centro della dichiarazione, della settimana passata, di un alto funzionario delle Nazioni Unite.
«Questa è una scioccante violazione della sovranità libica… una palese violazione dell’embargo sulle armi», ha dichiarato l’inviata delle Nazioni Unite per la Libia, Stephanie Williams, in una riunione online del Libyan Political Dialogue Forum.
Il Forum, composto settantacinque membri, sta cercando di convincere le parti in conflitto a concordare un meccanismo che istituisca un’amministrazione di transizione per guidare il Paese attraverso le elezioni presidenziali e parlamentari, nel dicembre 2021.
Quanto indicato appare molto difficile e fa parte degli sforzi delle Nazioni Unite per porre fine al caos nel paese che è al centro di un sanguinoso conflitto da quando la rivoluzione del 2011 ha rovesciato il leader storico Muhammar Gheddafi. La Libia come noto, è un importante produttore di petrolio dove l’Italia e l’Eni, in particolare, hanno e avevano grandissimi interessi.
La Libia resta divisa
Dal 2015 il Paese è dominato da gruppi armati e diviso tra due amministrazioni opposte: la prima, il Governo di Accordo Nazionale (GNA), riconosciuto, a suo tempo, dalle Nazioni Unite e supportato oggi principalmente sia dalla Turchia, per la parte militare, sia dal Qatar, per la parte economica, la seconda, a est, guidata dal generale Khalifa Haftar e sostenuta a vario titolo, fino ad oggi, da Russia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto.
«Spetta a tutti gli attori rispettare le richieste libiche di lasciare il paese in modo che i libici possano unirsi, in modo che il cessate il fuoco possa effettivamente essere attuato, che le forze militari possano ritirarsi», ha, inoltre, dichiarato la Williams in un’intervista ad Al Jazeera.
Le sue dichiarazioni riflettono la sua esasperazione per la mancanza di progressi sulla partenza di combattenti stranieri e mercenari dalla Libia, cosa che faceva parte di un accordo di cessate il fuoco firmato a ottobre.
«Il tempo non è dalla parte di nessuno», ha ella aggiunto «ci sono timori ben giustificati, una giustificata mancanza di fiducia tra le diverse parti. Ma il paese sta scivolando via».
Tagliagole a migliaia
Il cessate il fuoco aveva fissato un termine di tre mesi ai mercenari stranieri per lasciare la Libia. I potenziali “tagliagole” – tra i quali figurano siriani, turcomanni, sudanesi, russi e ciadiani – provenienti principalmente da Turchia e Russia, sono migliaia, secondo le stime degli esperti delle Nazioni Unite, in area di combattimento.
La Williams ha anche criticato alcuni governi (non specificando quali) per “essersi comportati nella totale impunità” e per aver “arricchito” il conflitto libico con mercenari e armi.
Il Generale Haftar aveva lanciato un’offensiva su Tripoli nell’aprile 2019, ma è stato sconfitto a giugno dal GNA grazie al determinante supporto militare della Turchia in un’operazione che ha visto respinte le sue truppe nella città costiera e centrale di Sirte, città natale di Gheddafi.
La Williams ha anche avvertito di un incombente «collasso della rete elettrica», in Libia, a causa della corruzione e della cattiva gestione, rilevando che è immediatamente necessario un investimento di un miliardo di dollari in infrastrutture, perché solo 13 delle 27 centrali elettriche presenti nel Paese nordafricano stanno funzionando. Ella ha aggiunto poi che 1,3 milioni degli oltre 6,8 milioni di libici avranno bisogno di assistenza umanitaria a gennaio.
Emergenza umanitaria
A questa emergenza umanitaria si lega la prima di quella che si spera sia una serie di fake news o rumors.
Si tratterebbe del fatto che a causa della guerra e della seguente promiscuità dei combattenti, in assenza di un sistema sanitario credibile, a causa della distruzione della maggior parte degli ospedali, la pandemia proveniente da Wuhan si stia presentando in maniera notevole anche in Libia.
La conseguenza immediata, perché non è nemmeno pensabile a un tracciamento pandemico nell’area, sta nel fatto che esista la concreta possibilità che i barchini diretti in Sicilia da questi territori siano potenzialmente “vettore di alcuni positivi” e forse di qualche “mercenario non recuperabile” da chi l’ha mandato in Libia. Inoltre s’inizia a pensare che chi, in Libia, ha la sensazione di avere avuto contatti, paghi per “partire subito non interessandosi di chi è con lui” nella speranza di essere curato a fine traversata.
Erdoğan e Tripoli
Com’è noto, il presidente Erdoğan è recato in visita a Tripoli, dove ha sede il governo da lui sostenuto, anche in maniera non consona ai comportamenti di un Paese aderente alla NATO.
Erdoğan, si dice, ha ora chiesto i dividendi del suo appoggio a Tripoli e nel contempo la posizione dell’Unione europea nei confronti della crisi in Libia è quanto meno indecifrabile.
La Libia è un problema complesso di per sé, l’UE pare si concentri solo su tre macro-aree che sono l’integrazione del suo mercato regionale, gestire trasformazione del mondo arabo e, appunto, fare tentativi di trovare un modus vivendi con la Turchia.
L’UE si presenta come il polo socio-economico principale per le regioni vicine, ma forse sottovaluta sia lo spostamento del potere dall’Europa sia il rischio di attirare i migranti. Quando si relaziona con la Libia, deve davvero far emergere il suo impegno verso sud, soprattutto nei confronti della Turchia, che i fondati rumors geopolitici, accusano di aver armato, da sempre, i flussi migratori sul suo fianco meridionale.
Altro problema è quello della sorte dei nostri pescatori detenuti dai clan seguaci di Haftar. Atteso che è speranza di tutti rivedere i nostri concittadini a casa “ subito e a qualunque costo”, come dovrà muoversi l’Italia in un contesto siffatto?
Come riusciremo a salvare i nostri connazionali rispettando trasparenza, legalità e democrazia?
L’Italia rimane in mezzo
Per ultimo, sono di questi giorni le dichiarazioni di Salahuddin Al-Namroush, ministro della Difesa del Governo di Accordo Nazionale presieduto da Fayez al-Sarraj, in un’intervista rilasciata al quotidiano romano “Il Tempo” in occasione della sua visita nella capitale italiana.
Egli ha fatto sapere che «quando ad aprile 2019 Haftar ha lanciato l’attacco su Tripoli abbiamo chiesto supporto a cinque paesi: Usa, Gran Bretagna, Algeria, Italia e Turchia. Abbiamo resistito per un po’, ma poi siamo stati costretti a chiedere ulteriore aiuto. Hanno risposto solo Turchia e Algeria. L’Italia non ha risposto».
Ha inoltre aggiunto: «L’Italia è rimasta in mezzo: né con noi né con Haftar. L’accordo con la Turchia è stato fatto alla luce del sole. E senza l’intervento di Ankara anche l’Italia avrebbe perso i suoi interessi in Libia (chiaro riferimento all’Eni). Haftar non aveva buone intenzioni, e già un anno fa dissi che la nostra porta è aperta e chi vuole collaborare può entrare. La Turchia ha risposto alla nostra richiesta di aiuto appoggiando il governo legittimo di al-Sarraj e noi questo non lo dimenticheremo».
I rumors dicono che «adesso Roma starebbe correndo» per recuperare ma che ormai l’Eni sarà soggetta a pressioni turche per poter «lavorare con profitto» in Libia e che in cambio Erdoğan potrebbe chiedere favori nella contesa per lo sfruttamento dei giacimenti di gas nell’area di Cipro.
In conclusione, quando si scrive di Libia tra mezze verità, mezze bugie, notizie palesemente false e ipotesi astruse, bisogna fare attenzione perché è possibile essere smentiti e, in molti casi, si spera tanto di esserlo. Chi scrive «riporta», tuttavia solo il tempo potrà un giorno dire chi aveva ragione.