«Nella Rete l’hate speech inizia a essere sempre meno legato allo spontaneismo digitale e sempre più legato al fenomeno dei cosiddetti appaltatori dell’odio. Dal punto di vista investigativo, infatti, emerge sempre di più come la comunicazione dell’odio sia organizzata e strutturata. Le centrali dell’odio assumono una connotazione pericolosa, perché vivono in un rapporto trilatero con gli influencer dell’odio e i ripetitori dell’odio. Le centrali dell’odio sono vere e proprie centrali di produzione del materiale, di contenuti precostituiti, molto spesso con soggetti giovani che hanno relazioni facilitate con gli influencer dell’odio; questi ultimi normalmente utilizzano il cosiddetto hate speech soft, quello che più facilmente riesce a volare al di sotto dei radar dell’Intelligenza Artificiale, anzi più correttamente degli algoritmi, i quali non riescono a bloccare quei concetti che utilizzano allusioni o meccanismi mimetici per veicolare il reale pensiero. A fronte di questo ci sono i ripetitori dell’odio, ovvero, tutti quei soggetti che, apparentemente slegati tra di loro, non fanno altro che rimbalzare, riportare e ri-veicolare, con un meccanismo di ramificazione che, ad un certo punto, dà anche idea di una consistenza particolarmente nutrita e numerosa e che, di conseguenza, va a vestire di credibilità questo meccanismo di auto-amplificazione».
Questi sono alcuni degli aspetti emersi nell’intervento dell’avvocato professore Roberto De Vita, presidente dell’Osservatorio cybersecurity dell’Eurispes, alla conferenza online promossa da UNAR sull’antisemitismo e l’odio online: “Il complottismo al tempo di Internet”.
Da leggere su L’Eurispes.it del 20 novembre 2020, il magazine dell’istituto di ricerca Eurispes
https://www.leurispes.it/gli-hate-speech-online-quando-la-comunicazione-dellodio-e-organizzata/