Di Mario Baldassarri, pubblicato da “Il Sole 24 Ore” il 13 novembre 2020 – La seconda ondata della pandemia e le conseguenti restrizioni e chiusure hanno cambiato le carte in tavola in Europa ed in Italia.
A luglio la Commissione Europea aveva previsto una andamento a “V” della crescita nella zona euro. Dopo una caduta del -8% del Pil in questo 2020, aveva infatti previsto un rimbalzo del +6,1% nel 2021.
Purtroppo, dopo il forte rimbalzo del 3º trimestre, in questo 4º trimestre 2020 il Pil della zona euro scenderà del -8% e si prevede allo 0% nel primo trimestre del 2021.
Ecco allora che nelle sue previsioni di autunno la Commissione mantiene attorno al -8% la riduzione di Pil di quest’anno ma riduce al 4% ed al 3% la sua previsione di crescita per il 2021 e 2022. Quella che era una ripresa a “V” diventa una ripresa ad “U”.
Per l’Italia la Commissione appare abbastanza benevola, prevede infatti una riduzione del Pil al -10% quest’anno ed una ripresa al +4% l’anno prossimo ed al +2,8% nel 2022. L’Italia dovrebbe quindi recuperare il livello di Pil del 2019 nel 2024, circa un anno dopo la media dell’area euro.
La Nadef, il Documento Programmatico di Bilancio e la bozza di legge finanziaria 2021 sono tutte basate su previsioni del governo ancora più ottimistiche ed oggi inattendibili ed irraggiungibili. La caduta del Pil del 2020 è indicata nel -9% e soprattutto la ripresa del 2021 è data al +6% con una spinta “spontanea-tendenziale” del +5,1%. Il Debito pubblico in rapporto al Pil è previsto scendere dal 158% di quest’anno al 153% nel 2022.
Molto onestamente però il governo nella stessa Nadef ha indicato uno scenario alternativo di rischio (come fatto anche dalla Banca d’Italia) ed ha scritto quanto segue.
«Se la ripresa dei contagi …si aggravasse sensibilmente nei mesi finali del 2020, portando anche ad un sensibile aumento dei ricoveri ospedalieri… ciò indurrebbe il Governo a reintrodurre misure precauzionali…».
Pertanto
«Dopo il rimbalzo del periodo estivo, il PIL subirebbe una nuova caduta nel quarto trimestre. Ipotizzando la continuazione di alcune misure restrittive nei primi mesi del prossimo anno, il PIL continuerebbe a scendere…L’andamento dell’epidemia migliorerebbe solo nei mesi primaverili, ma la distribuzione di massa dei vaccini avverrebbe più tardi di quanto ipotizzato. L’attività economica riprenderebbe nel secondo trimestre 2021 ed il riavvicinamento alla situazione pre-crisi sarebbe più lento…Il riacutizzarsi della crisi da Covid-19 sarebbe accompagnato da analoghi se non peggiori sviluppi in altri Paesi. L’economia italiana sarebbe pertanto impattata anche attraverso minori esportazioni di beni e servizi. L’impatto complessivo dei fattori domestici ed internazionali legati allo scenario di rischio pandemico porterebbe la previsione annuale di caduta del PIL per il 2020 dal -9,0% al -10,5%. La crescita del PIL nel 2021 si fermerebbe all’1,8%, contro il 5,1% del tendenziale ed il 6% del programmatico. Dal punto di vista della finanza pubblica…il deficit sarebbe pari a circa l’11,5% nel 2020 e al 7,8% nel 2021…il rapporto debito/PIL andrebbe ad un livello superiore di oltre 4 punti percentuali in confronto al tendenziale. Queste valutazioni non includono il possibile impatto sul saldo di bilancio e sul debito di eventuali interventi aggiuntivi che si rendessero necessari nello scenario di forte recrudescenza dell’epidemia in Italia».
Purtroppo i dati e le decisioni recenti dicono che lo scenario di rischio è diventato oggi lo scenario …di BASE.
Il Centro Studi Economia Reale già da giugno scorso aveva indicato che, in queste condizioni, il Pil sarebbe sceso quest’anno dell’11% e la ripresa per il 2021 si sarebbe fermata ad un +1,5 per cento. Di conseguenza il rapporto Debito/Pil sarebbe stato al 160% quest’anno e sarebbe cresciuto verso il 170% nel successivo biennio.
Ma, al di là dei singoli numeri, ciò che conta oggi è prendere subito atto che la forte ripresa della pandemia ha cambiato radicalmente la scena.
Cosa debbono fare quindi l’Europa e l’Italia?
La Bce dovrebbe annunciare subito un prolungamento ed un rafforzamento del quantitative easing, confermando il whatever it takes di Mario Draghi. Ma ora più che allora questo non basta.
Adesso occorre un «what ever it takes» in politica di bilancio. Ma l’Europa non ha un bilancio federale. Certo si è proposto il Recovery Plan a sostegno dei bilanci nazionali, ma quelle risorse saranno disponibile solo nella seconda metà del 2021.
L’Europa dovrebbe allora decidere subito di anticipare a gennaio prossimo almeno il 20% di quelle risorse e magari cominciando con i grant, cioè i trasferimenti a fondo perduto.
E l’Italia?
Innanzitutto si dovrebbe non ripetere la presa in giro dei ristori alle imprese indicando 2,5 miliardi di sussidi a fronte di perdite di fatturato di oltre 30 miliardi.
Poi, il governo dovrebbe riscrivere la legge di bilancio, prendendo atto di quanto scritto nella Nadef in termini di scenario di crisi diventato di BASE e varando una manovra 2021 di 100 miliardi e non di 30 come annunciato nel Documento Programmatico già inviato alla Commissione. Questi debbono contenere 30 miliardi di investimenti pubblici, 30 miliardi per la sanità, 20 per le scuole e 20 per i trasporti pubblici.
Come già indicato nel DPB, 25 miliardi sarebbero raccolti direttamente sui mercati. Per gli altri, 36 miliardi devono venire dal MES, 20 miliardi dal SURE e 20 miliardi dal Recovery Fund.
La vera sfida non sta però nelle risorse disponibili quanto piuttosto nella capacità di approvare subito una vera strategia di attacco con progetti concreti e definiti nei modi e nei tempi.
Su questa strategia occorre il consenso di tutta la politica, delle parti sociali e di tutte le forze vive della produzione e della società italiane.
Un secolo fa Luigi Sturzo lanciò l’appello ai liberi e forti per fondare un nuovo partito.
Oggi occorre un appello a tutti i liberi di pensiero, i trasparenti nei numeri e i determinati nelle decisioni, non per fondare un partito, ma per salvare l’Italia.