USA, diritti umani. «La Bibbia e il fucile», il motto che continua a ispirare la visione del mondo del presidente Trump

Nel Paese ci sono più di 2.250.000 persone in prigione, il record mondiale d’imprigionamento, circa 2.500 detenute nel braccio della morte e sette esecuzioni federali sono state effettuate da luglio a oggi

di Sergio D’Elia, dell’associazione Nessuno tocchi Caino – La pena di morte non può essere considerata la parte per il tutto di un Paese. Meno che mai se si tratta degli Stati Uniti d’America, che sono anche la più antica democrazia del pianeta, l’ancora di salvezza e la terra promessa per perseguitati e rifugiati di tutto il mondo.

La sua ripresa a livello federale, dopo decenni di caduta in disuso, può essere però indicativa del modo d’essere del suo Presidente, un segno anche del (suo) destino e di una maledizione (autoinflitta).

È il tragico destino del capo di uno Stato che nella sua legittima difesa di Abele arriva all’eccesso o degrada nel difetto – è la stessa cosa – di diventare esso stesso Caino. È la maledizione che colpisce i fini giusti quando sono perseguiti con mezzi sbagliati, con mezzi che li prefigurano, li pregiudicano, li distruggono.
Non bastava la maledizione di una pandemia che ha flagellato per mesi gli Stati Uniti con il suo carico di dolore e di morte e che il comandante in capo ha sfidato con il viso scoperto, consigli e intrugli da apprendista stregone. Donald Trump ha voluto metterci del suo.

Alla morte per cause naturali ha aggiunto e inflitto agli americani anche quella per mano dello Stato. Erano diciassette anni che non accadevano esecuzioni federali, da sessantasette una donna non veniva mandata al patibolo.

Quest’anno era stata solo la “fascia della Bibbia”, il sud del Paese, il Texas, la Georgia, l’Alabama, il Tennessee, il Missouri, a praticare il rito arcaico dell’occhio per occhio, dente per dente, che lo stesso Antico Testamento concepisce come limite e misura – non più di un occhio, non più di un dente – e pure tempera con il monito divino “nessuno tocchi Caino”.

L’apprendista presidente ha esteso la “fascia della morte” a tutti gli Stati Uniti, che con le sue esecuzioni, non di un singolo Stato ma di tutta la Federazione, oggi appare agli occhi del mondo come un Paese mortifero, al pari dei primatisti mondiali della pena capitale, la Cina, l’Iran, l’Arabia Saudita e come altri stati canaglia che il presidente americano ha messo nella sua lista nera per le più gravi violazioni dei diritti umani.

Donald Trump non si è posto limiti e misure. Da luglio ha iniziato a svuotare il braccio della morte federale di Terre Haute.

Non ha liberato i condannati a morte, seguendo l’esempio di governatori americani – democratici e repubblicani – che negli ultimi due anni, dalla California al Colorado, hanno stabilito moratorie o abolito la pena capitale. Li ha fatti fuori, ne ha uccisi sette che erano in attesa da venti o trent’anni.

Li ha fatti giustiziare su un lettino a forma di croce, il simbolo universale di pace e amore convertito e tradito nello strumento di un estremo supplizio capitale.
Non può essere “crudele e inusuale”, ha stabilito la Corte Suprema, se la pena di morte in America vuole essere “legittima”.

Christopher Vialva è stato giustiziato il 24 settembre a Terre Haute per il furto d’auto e l’omicidio di due giovani pastori dell’Iowa nel 1999, quando aveva 19 anni. È stato ucciso con una dose letale di Pentobarbital, un veleno che provoca una sensazione di panico, soffocamento, annegamento.

Se nulla fermerà la mano del boia, i primi di dicembre, Lisa Montgomery diventerà la prima donna a essere giustiziata da quasi settanta anni per un delitto talmente efferato da dubitare della sua capacità di intendere e volere al momento del fatto (ha strangolato una donna, ha tagliato il suo addome con un coltello da cucina, ha prelevato il feto di otto mesi ed è scappata).

L’ultima donna a essere messa a morte negli Stati Uniti era stata Bonnie Heady che fu uccisa nella camera a gas del Missouri nel 1953, ai tempi del Presidente Ike Eisenhower, il generale che aveva denunciato il complesso militare-industriale come un pericolo mortale per il mondo e gli stessi Stati Uniti.

Ai nostri tempi, per Donald Trump, il complesso militare-industriale non è più un pericolo, il complesso carcerario-industriale è in costante crescita e la pena di morte è tornata di moda a livello federale.

In America, ci sono più di 2.250.000 persone in prigione, il record mondiale d’imprigionamento, circa 2.500 detenute nel braccio della morte, sette esecuzioni federali sono state effettuate da luglio a oggi.

Non siamo più ai tempi del Far West e dei pionieri alla ventura in un mondo sconosciuto e irto di pericoli, ma la regola di vita, pura e semplice, di allora, “la Bibbia e il fucile”, continua a ispirare la visione del mondo di oggi del Presidente Trump.
Il suo modo di pensare, di sentire e di agire ha letteralmente avvelenato la campagna elettorale americana.

Il Presidente ha iniettato odio, paura e morte nelle vene degli americani, non solo dei condannati a morte. Con l’uso cinico della pena capitale a fini elettorali, con il suo esercizio aberrante e abusivo del dolore altrui, ha fatto della più solida democrazia liberale del mondo, terra di grandi contrasti, diversità e promesse, uno Stato-Caino, testimone e vittima della aberrante logica della vendetta, della catena perpetua nella quale odio si aggiunge a odio, violenza a violenza, dolore a dolore.

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