SICUREZZA, pirateria marittima. Contrasto del fenomeno: quegli indefiniti «contractors» italiani

Le “guardie particolari giurate” prestano servizio armato a bordo della navi battenti bandiera italiana, le loro funzioni sono quelle di anti-pirateria navale, tuttavia, il quadro legislativo che norma questa particolare attività limiterebbe il loro impiego, riducendo al contempo il fatturato delle imprese nazionali del settore a tutto vantaggio di quelle estere; insidertrend.it ha approfondito questo argomento con Simonluca Cardinale, manager della Septu

Probabilmente in Italia non c’è una chiara consapevolezza di cosa sia il lavoro svolto dalle cosiddette guardie particolari giurate che prestano servizio in funzione anti-pirateria marittima a bordo delle navi battenti bandiera nazionale sulle rotte maggiormente rischiose.

Dopo la nota vicenda dell’arresto nello stato indiano del Kerala dei due graduati del Raggruppamento San Marco della Marina italiana è parso evidente quali conseguenze potesse avere l’impiego di personale in uniforme nella scorta all’estero delle navi mercantili italiane.

Il problema è recentemente tornato all’attenzione della politica a seguito dell’interrogazione parlamentare presentata dall’Onorevole Salvatore Deidda, al quale nel corso di un question time alla camera ha fornito una risposta il sotto segretario all’Interno Matteo Mauri.

La moderna pirateria marittima. La pirateria marittima è un problema particolarmente sentito nelle acque dell’Estremo Oriente, dell’Asia sudorientale e dell’Africa occidentale, in particolare lungo le coste della Nigeria, oggi meno nel Golfo di Aden e in Somalia.

Gli obiettivi delle organizzazioni e delle aggregazioni criminali sono le grandi navi portacontainer, le petroliere, le imbarcazioni cariche di profughi e i natanti da diporto.

Esistono diversi livelli di organizzazione di queste bande. Quelle di maggiore consistenza e articolazione agiscono sulla base di una pianificazione degli attacchi elaborata  grazie a una preventiva acquisizione di dettagliate informazioni sulle navi da aggredire (stazza, rotte, carico trasportato, eventuale protezione a bordo, eccetera).

Esse esprimono gruppi formati anche da decine di elementi armati in grado di gestire il sequestro di una nave e del suo equipaggio (se non lo eliminano nel momento immediatamente successivo all’arrembaggio) in una zona per loro sicura.

I gruppi criminali di minori dimensioni si pongono invece obiettivi meno paganti, attaccando spesso le loro vittime quando sono ancorate non lontano dalla costa oppure addirittura ormeggiate nei porti.

Mutano le zone a rischio. Se il meccanismo di funzionamento è rimasto grossomodo il medesimo – attacchi alle navi in transito od ormeggiate e, in alcuni casi, minacce preventive agli armatori risolte attraverso l’interposizione di compiacenti broker che a Londra trovano un accordo con gli assicuratori, evitando così grane a tutti – a essere mutate sono le aree di azione dei pirati, poiché alcuni luoghi fino a qualche anno fa infestati di criminali, oggi non lo sono più.

Ad esempio nel Corno d’Africa, dove le organizzazioni avrebbero perso buona parte della protezione di cui godevano sia in mare che nei loro santuari sulla costa somala. Ovviamente il fenomeno della pirateria marittima non si è estinto, poiché permane in non poche aree del pianeta, in particolare in Asia e in alcuni tratti della costa dell’Africa occidentale.

Non c’è dubbio che l’incrociare in quelle acque delle unità di diverse marine militari, sia occidentali che russe, nel vasto e strategico spazio che si estende dal Mar Rosso fino al Golfo Persico, oltreché la recente presenza di forze armate della Cina Popolare nella base di Gibuti, abbia mutato i rapporti di forza, tuttavia, le persone informate dei fatti asseriscono che un contributo fondamentale alla riduzione dei termini del problema sia derivato dall’intervento degli Emirati Arabi Uniti.

Nel 2008 gli emiri hanno staccato l’assegno dal blocchetto e, grazie alle somme investite nella sicurezza, in particolare nella regione del Puntland, hanno fatto sì che dalle coste della Somalia partissero molti meno barchini di pirati.

Le guardie particolari giurate. Nell’anti-pirateria le imprese italiane attive – che si caratterizzano per diversi livelli di professionalità – si attengono a procedure di ingaggio restrittive, poiché non è possibile fare il “tiro al piccione” con i pirati. Al momento dell’avvistamento del natante dei criminali la nave inizia a fare delle manovre evasive aumentando contestualmente la velocità, questo per distanziarsi dai pirati ma anche, e soprattutto, fare comprendere a questi ultimi che sono stati avvistati. Qualora questi entrino nei seicento metri a ridosso della nave protetta, il personale di sicurezza a bordo effettua un warning shot, cioè spara dei colpi di avvertimento. Soltanto a questo punto, se il gruppo di assalitori non interrompe l’azione di abbordaggio il team della sicurezza apre il fuoco contro i barchini.

In Italia gli istituti di vigilanza sono le uniche società private autorizzate dalla legge alla gestione di servizi di protezione armata anti-pirateria a bordo delle navi mercantili battenti bandiera italiana.

A svolgere questo particolare compito sono le citate guardie particolari giurate, che in virtù del loro incarico sono abilitate anche al porto di armi lunghe non da guerra per difesa personale, come quelle in calibro 12, .223 e .308 (art. 42 Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza – TULPS).

Per poterlo fare, esse devono conseguire un’abilitazione concessa dal Prefetto a seguito di un corso di formazione articolato in varie fasi, incluse una cartolare di ambientamento navale a La Spezia, dove gli vengono impartiti i rudimenti essenziali di conoscenza di una nave civile, e un’altra invece presso il San Marco a Brindisi.

La cornice normativa. In Parlamento, presso la I Commissione e la Commissione Difesa, giacciono alcune proposte di legge di regolamentazione dello specifico settore non ancora calendate, dunque, allo stato attuale si fa necessariamente riferimento al Decreto legge nr. 107/2011, al Decreto ministeriale nr. 139/2019 oltreché ad altre fonti, quali ad esempio il citato TULPS.

Il recente blocco delle attività imposto in conseguenza del diffondersi sul territorio nazionale dell’epidemia di Covid-19 (cosiddetto lockdown) ha però, di fatto, sospeso anche questi corsi di abilitazione. Da qui l’interrogazione parlamentare presentata alla Camera dei Deputati dall’Onorevole Salvatore Deidda, avente a oggetto la richiesta al Governo di un intervento nelle more di questo periodo di blocco.

La risposta del sottosegretario all’Interno Matteo Mauri è stata nel senso di colmare tale transitoria lacuna mediante l’impiego in via emergenziale di detto personale anche in assenza dell’autorizzazione amministrativa ottenuta con il superamento degli esami abilitativi sostenuti presso le commissioni prefettizie a seguito della frequentazione delle sessioni formative a Brindisi e La spezia.

Allo scopo – ha assicurato il sottosegretario Mauri – è prevista l’adozione di un Decreto del ministro dell’Interno di concerto con quelli della Difesa e delle Infrastrutture e Trasporti.

Un vacatio che favorisce la concorrenza estera. Nel frattempo, la vacatio normativa costringe gli armatori committenti ad affidare il servizio a società estere di contractors.

Una materia senza dubbio delicata che insidertrend.it ha cercato di approfondire interpellando Simonluca Cardinale, operatore del settore della sicurezza.

Egli è un elemento apicale della Septu Group, impresa italiana attiva nei campi dell’anti-pirateria marittima e della protezione di installazioni e personale a terra, come nel caso dell’Oil & Gas e della sicurezza diplomatica all’estero, che si contende i contratti con la concorrenza dei giganti francesi, americani, russi e israeliani.

A275 – SICUREZZA, PIRATERIA MARITTIMA: CONTRASTO DEL FENOMENO, QUEGLI INDEFINITI «CONTRACTORS» ITALIANI. Le guardie particolari giurate prestano servizio armato a bordo della navi battenti bandiera italiana, le loro funzioni sono quelle di anti-pirateria navale, tuttavia, il quadro legislativo che norma questa particolare attività limiterebbe il loro impiego, riducendo al contempo il fatturato delle imprese nazionali del settore a tutto vantaggio di quelle estere; insidertrend.it ha approfondito questo argomento con SIMONLUCA CARDINALE, manager della Septu Group.

La pirateria marittima è un problema particolarmente sentito nelle acque dell’Estremo Oriente, dell’Asia sudorientale e dell’Africa occidentale, in particolare lungo le coste della Nigeria, oggi meno nel Golfo di Aden e in Somalia.
Se, rispetto al recente passato, il meccanismo di funzionamento è rimasto grossomodo il medesimo – attacchi alle navi in transito od ormeggiate e, in alcuni casi, minacce preventive agli armatori risolte attraverso l’interposizione di compiacenti broker che a Londra trovano un accordo con gli assicuratori, evitando così grane a tutti – a essere mutate sono le aree di azione dei pirati, poiché alcuni luoghi fino a qualche anno fa infestati di criminali, oggi non lo sono più.
Il recente blocco delle attività imposto in conseguenza del diffondersi sul territorio nazionale dell’epidemia di Covid-19 ha però, di fatto, sospeso anche questi corsi di abilitazione. Da qui l’interrogazione parlamentare presentata alla Camera dei Deputati avente a oggetto la richiesta al Governo di un intervento nelle more di questo periodo di blocco.
A040 – SICUREZZA, PORTI. Traffici illeciti e infiltrazioni jihadiste nei porti italiani: quali soluzioni? Roma Eventi Fontana di Trevi, Sala Carducci, piazza della Pilotta 4 Roma.
17 ottobre 2018, Seminario organizzato da ISPI, Turtle Group Consulting e Italilan Port Security; interventi di LORENZO VIDINO (ISPI, George Washington University), CLARISSA SPADA (Turtle Group Consulting), MICHELE DEL PRETE (Direzione Investigativa Nazionale Antimafia e Antiterrorismo), GIUSEPPE MARRA (Comando Generale della Guardia di Finanza), MARIO CALIGIURI (Università della Calabria).
A084 – PIRATERIA MARITTIMA, ECOMAFIE E TERRORISMO: il problema e le possibili soluzioni; intervista con il generale FABIO MINI, esperto di strategia, ORA ZERO, trasmissione del 30 aprile 2009, a cura di Gianluca Scagnetti. Due grandi poli di concentrazione della pirateria navale: Corno d’Africa e coste di Malesia e Indonesia (non casualmente i due punti di massima estensione dello tsunami, che ha distrutto le microeconomie locali);
Il fenomeno della pirateria navale e le regioni da esso interessato; come agiscono le organizzazioni criminali, gli attacchi «veri» e quelli «civetta»: le “mediazioni” tra società armatrici e organizzazioni criminali dedite alle pirateria marittima e i casi di pirateria non denunciati, col pagamento di un riscatto “preventivo” la pirateria si trasforma in racket; il 70% delle azioni avvengono all’interno dei porti; le armi a disposizione dei criminali e la loro sempre maggiore potenze di fuoco; i collegamenti col terrorismo; le contromisure assunte dagli armatori e il ricorso a forze di sicurezza private (contractors); accordi tra ecomafie e warlord somali: i rifiuti tossici sotterrati in Somalia al costo di 30 dollari alla tonnellata; lo strategico Stretto di Malacca e gli altri fondamentali “colli di bottiglia”; i vari livelli di affidabilità delle diverse compagnie di contractors; spostamento del baricentro delle attività jihadiste nell’Estremo Oriente e le forme di terrorismo strettamente connesse al fenomeno della pirateria marittima; la “flotta fantasma” di al-Qaeda segnalata nel Mar Mediterraneo; Mumbay e Lahore, l’azione delle Small Unit Precision Attack (piccole squadre per l’attacco terroristico di precisione).
Condividi: