L’agricoltura rappresenta l’11% del prodotto interno lordo angolano, 94,6 miliardi di dollari secondo le stime elaborate dal Fondo monetario internazionale nel 2019.
Ora, uno degli effetti della pandemia di Covid-19 è stato la riduzione dei prezzi del petrolio, materia prima energetica della quale il Paese africano è produttore, fatto che ha indotto il governo di Maputo a intensificare i propri sforzi di diversificazione della propria economia nazionale al fine di salvaguardare i livelli di reddito.
Il settore agricolo, in buona parte a livelli economici di sussistenza, occupa attualmente il 46 % della complessiva forza lavoro locale.
Prima della guerra civile combattuta dal 1975 al 2002, l’ex colonia portoghese era un importante esportatore di caffè, canna da zucchero, banana e cotone, rendendosi autosufficiente in tutte le colture alimentari tranne il grano. Ma con il conflitto la produzione agricola subì una interruzione e milioni di persone si trovarono a essere sfollate.
Oggi l’’Angola importa una quota maggiore della metà del suo fabbisogno alimentare, tuttavia possiede le risorse per divenire uno dei principali produttori agricoli africani, questo grazie alla fertilità ei suoi suoli in grado di venire messi a frutto con varie colture e a pascolo.
Il problema è, allo stato attuale, ne viene coltivato soltanto una minima parte pari al 10% del totale, lasciando improduttivi gli oltre cinquanta milioni di ettari di terreno agricolo disponibili.
Si stima che il 90% delle aziende agricole angolane siano di piccole e medie dimensioni, condotte quasi esclusivamente a fini di sussistenza attraverso la produzione di manioca, banane, patate, mais, agrumi e ananas.
Nel dicembre 2004, il governo di Luanda ha approvato il Decreto n. 92/04, che limita la produzione di prodotti geneticamente modificati, un disposizione di legge che si prevede quale misura provvisoria in attesa della creazione di un organico sistema nazionale di biosicurezza che permetta il controllo correttamente delle importazioni, dell’ingresso, dell’uso e dell’eventuale produzione di organismi geneticamente modificati nel Paese.